Abitare il desiderio di comunità
















Cresce il desiderio di cohousing. Vi sono sempre più persone e famiglie che cercano soluzioni abitative condivise. La gamma della casistica possibile è varia. Si va dalle comuni dove, oltre alla visione del mondo, si condividono i redditi, alle case-famiglia che ospitano persone in difficoltà, dai condomini solidali agli eco-villaggi, dagli appartamenti multipli in cui vivono, ad esempio, anziani e studenti, ai cohousing sociali in case in affitto di edilizia pubblica. Per tutti il motivo di base che spinge le famiglie a tale scelta è il desiderio di creare con il vicinato una comunità intenzionale, un gruppo legato da rapporti fiduciari e il più possibile solidali. Insomma, cresce l’avversione verso gli anonimi alveari residenziali che inducono relazioni anaffettive, oltre che a modi di abitare scomodi, ad alto impatto ambientale e costosi.
Nell’ambito di una ricerca sull’abitare sostenibile condotta dagli studenti durante il corso di Politica dell’Ambiente, tenuto dalla geografa Isabelle Dumont presso l’ateneo di Roma Tre,  è stato realizzato un documentario (un estratto è visionabile qui) su alcune significative esperienze italiane di condomini gestiti in modo partecipato in ambito urbano e di comunità ecosostenibili in contesto rurale.
La Comune di Bagnaia, vicino a Siena, e il Villaggio Verde di Cavallirio, vicino a Novara, sono esperienze storiche di comunità sorte a cavallo tra gli anni Settante e Ottanta per affinità ideali – decisamente anarchiche la prima, ecosofiche la seconda. Sono sorte in campagna, ognuna ospita circa venti persone e al loro interno sono nate due piccole aziende agricole.
Altre due esperienze documentate dalla ricerca sono invece cohousing urbani di ultima generazione: Numero Zero nel centro di Torino è un recupero di un fabbricato, Ecosol a Fidenza è un edificio di nuova costruzione. La loro prima preoccupazione è stata la sostenibilità ambientale: fabbisogno energetico minimizzato ed interamente autoprodotto con impianti fotovoltaici, acque piovane recuperate, materiali di bioedilizia. Ma la parte più impegnativa delle due realizzazioni è stata la progettazione dei distributivi interni. Le otto famiglie nel caso di Torino e le quattordici (con numerosi bambini) di Fidenza hanno dovuto faticare non poco per scegliere quali e quanti spazi dedicare a servizi e attività comuni (salone con possibilità di cucina, dispensa refrigerata, lavanderia, alloggio per ospiti, posti auto…) e quali invece preservare per garantire privacy e autonomia alle singole famiglie che sono proprietarie degli appartamenti. I progettisti assicurano che i maggiori costi sono ampiamente compensati dai risparmi ottenuti nei consumi. Ciò che più sorprende è che questi edifici sono diventati presto un punto di riferimento anche per il quartiere. Luogo di incontro per il locale gruppo di acquisto, per la banca del tempo, per il doposcuola…
Come ha sottolineato un abitante di Ecosol, non c’è pericolo che i cohousing diventino micro gate-comunity.

Paolo Cacciari

fonte: http://comune-info.net/

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