Più particelle di micro-plastiche in mare che stelle nella galassia. Contaminati oltre ai pesci, anche birra, miele e sale da cucina



















Una quantità sempre maggiore di plastica sta finendo nei nostri piatti. Non ce ne accorgiamo perché si tratta di particelle piccolissime, di dimensione comprese tra 1 nanometro e 5 millimetri, denominate “micro o nano-plastiche” e i cui effetti sulla salute umana adesso non sono quantificabili. Derivano da rifiuti e , attraverso diversi percorsi entrano nella catena alimentare arrivando fino al cibo. L’habitat privilegiato di questi minuscoli frammenti sono gli oceani, dove isole di detriti di plastica, alcuni grandi come la Francia, galleggiano in sospensione (leggi approfondimento sugli uccelli marini).
Queste particelle si trovano lì per svariate cause: gettati in mare come spazzatura o trasportati attraverso fogne o corsi d’acqua dove convergono scarichi privati e industriali inquinati. Una volta nel mare, i detriti degradano lentamente, soprattutto se esposti alla luce solare, creando miliardi di pezzi microscopici che i pesci e altri abitanti dell’ecosistema scambiano per cibo.


















Recenti studi hanno dimostrato l’ampia portata del fenomeno. Su 504 pesci prelevati dal Canale della Manica, 184 contenevano piccoli granelli di microplastiche. Altre ricerche su pesci pescati al largo della costa portoghese hanno rilevato che 17 su 26 specie avevano residui nel corpo. Fortunatamente non tutti i pezzettini ingoiati dai pesci arrivano sulle nostre tavole. In alcuni casi ristagnano nel tratto gastrointestinale , per cui sono eliminati quando il pesce viene eviscerato  prima di essere consumato (vedi articolo). Nel caso di piccoli pesci e dei molluschi, i tratti intestinali non vengono rimossi e le particelle alla fine finiscono così nello stomaco. Un  esempio di inquinamento da microplastiche  trattato in recenti studi, riguarda le “micro-perle” di dimensione inferiore ai 5 millimetri, utilizzate in prodotti cosmetici (gel doccia e trattamenti viso) che veicolate dagli scarichi domestici possono contaminare la fauna. Un’inchiesta condotta dal governo britannico stima che un piatto di ostriche può contenere fino a 50 unità.
È sbagliato pensare che il pesce sia l’unico alimento contaminato. In 19 campioni di miele, prelevati in Germania, Francia, Italia, Spagna e Messico sono state trovate micro-plastiche (200 granelli circa per ogni chilo)  e le fonti sono tuttora sconosciute. Più recentemente, la rivista francese 60 Millions de consommateurs edito dall’Institut national de la consommation (INC), ha riscontrato risultati simili. Analisi condotte su 12 campioni di miele confezionato hanno rilevato che tutti i prodotti contenevano i contaminanti (nello studio si fa riferimento a residui in forma di “fibre” di origine tessile, “frammenti” presumibilmente derivanti dalla degradazione di rifiuti, e “granuli” provenienti da rifiuti cosmetici ed industriali. In questo caso il dato peggiore arriva a 265 microparticelle per chilo di alimento, in linea con i risultati dello studio tedesco.
























Ma mentre i ricercatori tedeschi ritengono che la contaminazione del miele sia dovuta alle micro-plastiche  presenti anche nell’acqua piovana e nei fiori, dalla Francia  non si escludono contaminazioni derivanti dal processo produttivo successivo al prelievo del miele dalle arnie.
Sempre in Germania, un’analisi condotta dall’Università di Oldenburg su 24 diverse marche di birra tedesca, ha evidenziato che tutti i campioni contenevano fibre, frammenti e materiale granulare. Come le birre siano state contaminate resta una questione aperta: malfunzionamento dei macchinari, bottiglie sporche, orzo e luppolo contaminati sono solo alcune delle ipotesi.
















In Cina, i ricercatori di due università di Shanghai hanno analizzato 15 marche di sali da tavola venduti nei supermercati e hanno contato  fino a 600 particelle per chilogrammo nel sale marino. Piccoli granelli sono stati trovati anche nei cristalli provenienti da laghi, ma in quantità decisamente inferiori (circa la metà) rispetto a quelli marini.
Sebbene non siano stati condotti studi specifici, c’è anche la possibilità che i frammenti arrivino sulle nostre tavole attraverso la carne. Pollame e suini vengono infatti nutriti anche con farina ricavati da piccoli pesci che possono essere  contaminati. L’Istituto tedesco per la valutazione del rischio alimentare (BfR) ha invitato l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) a indagare per capire quali  gli effetti sulla salute umana. La valutazione dell’EFSA  è stata sino ad ora inconcludente e ha evidenziato significative “lacune conoscitive”. In buona sostanza, è troppo presto per dire se questi corpuscoli siano o meno dannosi per i consumatori. Tuttavia c’è la potenziale preoccupazione  che queste particelle portino con sé inquinanti molto pericolosi: PCB, bifenili policlorurati, e bisfenolo A sono solo alcuni esempi.

















Per le eventuali soluzioni, molto dipenderà dai progressi scientifici per  stabilire i reali rischi per la salute. Il dato certo è che stiamo parlando di ben 51.000 miliardi di particelle sparse in mare e negli oceani  (500 volte il numero di stelle che si stima siano presenti nella nostra galassia). Certamente dovranno essere implementati sistemi in grado di consentire la cattura delle micro-plastiche nei mari e negli oceani e dovranno essere messi a punto sistemi per ridurre l’ingresso nei corsi d’acqua. Dovrà essere vietato l’impiego di “micro-perle”  introdotte nei cosmetici e nei prodotti destinati alla pulizia industriale. Il ruolo dei  governi sarà di agire a livello legislativo come si è fatto in Francia dove  è vietata la commercializzazione di piatti, bicchieri e posate monouso in questo materiale. Ma potrebbe non essere abbastanza. Secondo le Nazioni Unite, se anche si dovesse sospendere lo sversamento di rifiuti nell’ambiente, la quantità di micro-plastiche presenti in mare continuerebbe comunque ad aumentare a causa della frammentazione di quelle già presenti. Ci vorranno anni, se non secoli per completare il processo di degradazione. La sfida più grande per l’industria alimentare sarà riuscire  a ripulire l’intero sistema dalle microplastiche, per evitare che arrivino sulle nostre tavole.

fonte: www.ilfattoalimentare.it