Riciclare non basterà a tenere testa alla sempre crescente domanda di
risorse naturali, ma è oggi più che mai evidente che non possiamo farne a
meno
«L’economia circolare è sulla bocca di tutti, ma dietro questa bella
etichetta si nasconde il sogno impossibile dell’industria che la
circolarità possa risolvere il problema di un consumo eccessivo di
risorse. In ogni caso dobbiamo consumare meno perché il riciclo al 100
per cento è una chimera». Chiara Campione, senior corporate strategist
di Greenpeace Italia, lascia cadere l’attacco dell’associazione
ambientalista in contemporanea con l’apertura della Settimana della moda
di Milano, puntando l’indice in particolare contro il fast fashion e il conseguente consumo eccessivo di capi d’abbigliamento, che hanno un impatto ambientale insostenibile.
Come documenta il rapporto Greenpeace Fashion at the crossroads, il «Pulse Report on the State of the Fashion Industry presentato al recente Copenaghen fashion summit
descrive un futuro in cui l’industria della moda continuerà il suo
attuale percorso di crescita, con un incremento delle quote di mercato
dei grandi marchi. Ciò porterà a raddoppiare l’uso di poliestere entro
il 2030, poiché ritenuto riciclabile e sostenibile. Ma anche se fosse
possibile riciclare tutti i capi in poliestere e quindi chiudere il
ciclo di vita dei prodotti tessili che ne sono costituiti, siamo sicuri
che sarebbe una svolta positiva per l’ambiente? E qual è il potenziale
del riciclo delle fibre naturali? La presente indagine condotta da
Greenpeace descrive una realtà differente. Nei Paesi in cui il
consumismo eccessivo è predominante, la stragrande maggioranza degli
abiti a fine vita viene smaltito insieme ai rifiuti domestici finendo
nelle discariche o negli inceneritori. È questo ad esempio il destino
per più dell’80 per cento degli indumenti gettati via nell’Ue».
Greenpeace
suggerisce una strategia diversa: «Le aziende devono impegnarsi a
produrre abiti che abbiano una durata emotiva e fisica più lunga. Tale
impegno richiede una duplice strategia: affrontare gli aspetti
psicologici, tramite l’adozione di nuove strategie di marketing per
abiti che abbiano un ciclo di vita lungo e che promuovano un
attaccamento emotivo delle persone ai propri vestiti, e le questioni
ambientali attraverso un design che garantisca la longevità dei prodotti
e l’impiego nelle fasi produttive di materiali poco impattanti e il
ricorso a processi con basso impatto ambientale». A essere rigettato non
è il modello offerto dall’economia circolare ma il suo abuso, che
potrebbe per paradosso incoraggiare un maggiore consumismo: «La
promozione del mito della circolarità, secondo cui gli indumenti possono
essere riciclati all’infinito, sarebbe addirittura controproducente
perché potrebbe incentivare un consumo privo di sensi di colpa».
Si
tratta di riflessioni utili a stimolare il dibattito in corso
sull’economia circolare in ogni settore merceologico, e non solo
all’interno dell’industria tessile. Preoccupa che l’allarme lanciato da
Greenpeace – “il riciclo al 100 per cento è una chimera” – possa essere
accolto oggi come una novità: è un sintomo di quanta cattiva
comunicazione si sia fatta negli ultimi anni (decenni?) attorno alla
possibilità di recuperare materia ed energia dai rifiuti che tutti
produciamo.
Non tutti i rifiuti possono essere riciclati. Anche
se riuscissimo a raccogliere in modo differenziato il 100% dei rifiuti
urbani – quelli che finiscono nei cassonetti e nelle campane stradali
(come i “rifiuti domestici” citati da Greenpeace), e che sono appena 1/5
di tutti i rifiuti prodotti in Italia –, da questi dovremmo fare i
conti con la frazione estranea; i rifiuti da selezione; i rifiuti da
riciclo. Perché anche il riciclo, come ogni processo industriale,
produce rifiuti che è poi necessario gestire: 1 kg di carta riciclata
produce circa 0,4-0,5 kg di rifiuti (pulper e fanghi); 1 kg di plastica
riciclata produce 0,35-0,40 di rifiuti; 1 kg di acciaio riciclato
produce 0,30 di rifiuti, ad esempio. Senza impianti a valle del riciclo,
come termovalorizzatori e discariche (da utilizzarsi in modo
residuale), il cerchio non si può chiudere.
Il solo riciclo da
solo non riuscirà a tenere testa alla sempre crescente domanda di
risorse naturali, ma è oggi più che mai evidente che non possiamo farne a
meno. Se ne deduce che riciclo ed economia circolare sono fondamentali,
in quanto senza industria e tecnologia non avremmo sviluppo sostenibile
ma al massimo decrescita infelice; al contempo dovremmo però già sapere
che senza una riduzione a monte dei prodotti e materiali irriciclabili
(con un intenso sforzo di design industriale) e un decremento a valle
dei consumi superflui, a rimanere “una chimera” sarà proprio la
sostenibilità.
fonte: www.greenreport.it