Braga: «Lo smaltimento quasi sempre avviene
presso impianti di incenerimento in base alla normativa vigente». Ma
manca ancora il Deposito nazionale
Tra le quattro relazioni approvate ieri all’unanimità dalla cosiddetta commissione Ecomafie spicca la Relazione sulla gestione dei rifiuti radioattivi prodotti nella attività sanitarie,
il cui testo sarà disponibile a breve sul sito della Camera dei
deputati. Come ha illustrato la presidente della commissione Chiara
Braga (nella foto, ndr), quello toccato dalla relazione è «un tema che non era mai stato indagato dalla commissione rifiuti».
«È stato realizzato un censimento – argomenta Braga – analizzando sia
il lato della produzione che il sistema di trattamento. È stato inviato
un questionario a tutte le strutture sanitarie segnalate dalla Regioni,
con una copertura di più del 90%, pari a 750 unità. Questo lavoro ha
permesso di ricostruire un quadro complessivo, con 2700 mc di
rifiuti prodotti nel 2015 a livello nazionale. L’82% dei
rifiuti radioattivi sanitari vengono gestiti direttamente da chi li
produce, fino al raggiungimento delle condizioni di smaltimento che
quasi sempre avviene presso impianti di incenerimento in base alla
normativa vigente. La quota restante è gestita dalla rete di operatori
del servizio integrato gestito da Enea, che assicurano una corretta
gestione dei rifiuti in questione. Sarebbe importante acquisire i dati
di controllo prima dello smaltimento finale, per dare un riscontro di
garanzia ai cittadini sulla filiera, riguardo a un tema particolarmente
sensibile come quello della gestione dei rifiuti radioattivi».
Tra i principali problemi che meriterebbero di essere affrontati con
celerità è necessario poi sottolineare la mancanza del Deposito
nazionale: un’infrastruttura ambientale di superficie dove mettere in
sicurezza i rifiuti radioattivi prodotti in Italia, generati
dall’esercizio e dallo smantellamento delle centrali e degli impianti
nucleari, dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca.
Tale Deposito dovrà consentire – come spiegano dalla Sogin – dovrà la
sistemazione definitiva di circa 75 mila metri cubi di rifiuti di bassa e
media attività e lo stoccaggio temporaneo di circa 15 mila metri cubi
di rifiuti ad alta attività, che dovranno essere a loro volta
successivamente trasferiti in un deposito geologico di profondità. Dei
circa 90 mila metri cubi di rifiuti radioattivi, il 60% deriverà dalle
operazioni di smantellamento degli impianti nucleari, mentre il restante
40% dalle attività di medicina nucleare, industriali e di ricerca, che
continueranno a generare rifiuti anche in futuro. Il problema è che tale
Deposito è atteso da anni, senza che ancora sia stato neanche scelto il
luogo adibito ad ospitarlo.
La Carta delle aree potenzialmente idonee (Cnapi) ad ospitare il
Deposito nazionale doveva essere stata consegnata alla cittadinanza tre
anni fa, e lo scorso giugno il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda
– interrogato sul tema proprio dalla commissione Ecomafie – aveva
affermato che la Cnapi sarebbe stata pubblicata entro fine 2017.
Promessa difficile da mantenere in piena campagna elettorale vista la
delicatezza del tema, e che difatti è stata disattesa.
E così la nuova presidente della commissione Ecomafie, Chiara Braga, è tornata a raccomandare
che «si accelerino i tempi per la realizzazione del deposito nazionale
attraverso la pubblicazione della carta nazionale delle aree
potenzialmente idonee, con l’avvio della consultazione pubblica». Ma una
data certa è ancora ben lontana dal delinearsi.
fonte: www.greenreport.it