Dati trainati «dagli acquisti di beni e servizi
(+22,1%), a fronte di andamenti più contenuti per le spese del
personale (+6,7%) e del costo d’uso del capitale (+1,3%)»
Tenere pulita casa propria costa, come tutti sanno, in termini di
tempo e/o denaro: occorre raccogliere i rifiuti e magari recuperare
prima qualche risorsa evitando sprechi inutili, lavare, riassettare. Il
che a sua volta significa comprare di tutti gli strumenti necessari per
farlo (cestini per la spazzatura, detersivi per i pavimenti, etc),
impiegare una fetta della propria giornata nelle operazioni o – per i
pochi che se lo possono permettere – pagare qualcun altro che lo faccia,
traendone a sua volta almeno un minimo profitto. Tramite una semplice e
semplicistica analogia, non è difficile immaginare che tenere pulito un
territorio più esteso di quello dove sorge un appartamento, magari
allargando lo sguardo a un intero Paese, non sia un’operazione a costo
zero.
Ma se tener conto delle spese legate alla pulizia della propria casa
non è una missione così difficile, altrettanto non si può dire per
l’Italia intera. A provarci adesso è l’Istat, dopo aver preso atto della
«assenza di fonti informative rilevanti per la produzione di indici di
prezzo alla produzione per il settore della gestione dei rifiuti». A
partire da oggi l’Istituto nazionale di statistica aggiornerà dunque
ogni anno i suoi nuovi indici dei costi di gestione dei rifiuti con
base di riferimento 2015=100, il cui campo d’osservazione «riguarda, in
termini di Ateco 2007, le attività economiche della divisione 38,
raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti; recupero dei materiali,
gruppi 381, 382 e 383 (si veda la fotogallery in pagina, ndr)».
Come spiega l’Istat, gli indici dei costi di gestione dei rifiuti si
riferiscono alle attività di raccolta, trattamento e smaltimento dei
rifiuti e al recupero dei materiali, e misurano l’andamento nel tempo
dei costi di produzione delle attività di gestione dei rifiuti, con
riferimento all’acquisto di beni e servizi (che pesano per il 67,1%
all’interno dell’indice complessivo), al costo del personale dipendente
(23,9%) e al costo d’uso del capitale (9%).
Dai dati raccolti sappiamo dunque che in Italia «tra il 2010 e il
2017 l’indice di costo della gestione dei rifiuti aumenta del 16,3%,
trainato dagli acquisti di beni e servizi (+22,1%), a fronte di
andamenti più contenuti per le spese del personale (+6,7%) e del costo
d’uso del capitale (+1,3%)». Una crescita che è risultata
particolarmente sostenuta fino al 2014, mentre «negli ultimi tre anni la
crescita dell’indice complessivo è più contenuta (+0,8%) e
relativamente più omogenea tra le diverse componenti dei costi: +1,6%
per l’acquisto di beni e servizi; -1,3% per le spese per il personale;
+0,8% per il costo d’uso del capitale».
Costi che non si ritrovano naturalmente anche nell’ambito del
recupero materiali vero e proprio, dove anzi stanno crescendo più
rapidamente: «Rispetto ai due sotto-settori economici che compongono
l’indice totale (raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti il
primo, recupero dei materiali il secondo), l’andamento dei costi si
dimostra sostanzialmente simile, ad eccezione – conclude infatti l’Istat
– di un più accentuato incremento nel settore del recupero di materiali
nell’ultimo anno».
fonte: www.greenreport.it