La plastica della stampa 3D? A Singapore hanno scoperto come riciclarla

Sviluppato un processo di polimerizzazione in due fasi che permette di riciclare completamente i fotopolimeri termoindurenti stampati in 3D

















La stampa 3D? Aiuta l’approccio modulare e può essere un significativo contributo all’economia circolare. Peccato che i materiali utilizzati spesso non possono essere rimodellati o riciclati. E le ripercussioni sull’ambiente di un settore che è in espansione, e produce dunque rifiuti, potrebbero essere serie. Il problema risponde al nome di “fotopolimeri termoindurenti”, che rappresentano circa la metà del mercato mondiale della stampa 3D. Una volta utilizzati dalle stampanti, la forma che prendono è permanente. Ma un gruppo di ricercatori dell’Università di Tecnologia e Design di Singapore potrebbe aver trovato una soluzione.
La ricetta sembra essere semplice: una strategia di polimerizzazione in due fasi. Un progetto di laboratorio condotto dai ricercatori dimostra infatti che sia gli oggetti stampati 3D completamente compromessi che quelli intatti possono essere riparati o fusi e trasformati in altri prodotti tramite un processo chiamato auto-riparazione termica.



I trattamenti termici sono stati condotti posizionando campioni trattati con raggi UV in un forno a 180 °C per quattro ore. La “cavia” del primo test di laboratorio è stato un coniglio stampato in 3D. Alla scultura mancavano entrambe le orecchie, ma sono state facilmente ripristinate grazie ai maggiori livelli di malleabilità ottenuti dal processo.
 Il campione riparato ha recuperato circa il 100% della rigidità e il 93% della resistenza del materiale. Ciò indica che il progresso di riparazione “lega saldamente” le parti separate e ripristina le prestazioni meccaniche del materiale.
Oltre alla riparazione, sarebbe possibile anche il riciclo. I ricercatori sono infatti riusciti a macinare dei campioni riducendoli in polveri che sono state poi pressate tra piastre di metallo rivestite di alluminio.

fonte:www.rinnovabili.it