La diffusione della stampa 3D arriva in un momento in cui il Pianeta si sta finalmente ponendo sul serio il problema dei rifiuti della plastica. Ma i polimeri impiegati nelle stampanti tridimensionali sono ancora di difficile riciclo. Come far sì, allora, che il settore della produzione additiva possa conciliare diffusione e rispetto ambientale? La risposta arriva dalla University of Technology and Design (SUTD) di Singapore, la stessa che sta lavorando ormai da tempo sulle tecniche di recupero e reimpiego dei fotopolimeri termoindurenti (leggi anche La plastica della stampante 3D? A Singapore hanno scoperto come riciclarla).
I ricercatori stanno testando materiali alternativi che possano adattarsi alla stampa 3D senza tuttavia effetti inquinati. Il più promettente è la cellulosa, uno dei composti organici naturali e allo stesso tempo sottoprodotto industriale più abbondante e diffuso sulla Terra. Il team di scienziati è riuscito a dimostrare l’uso della cellulosa nella fabbricazione sostenibile di oggetti di grandi dimensioni, stampati tridimensionalmente.
L’approccio, messo a punto nei laboratori del SUTD, non si focalizza sulle piante verdi bensì sugli oomiceti, organismi viventi classificati un tempo come funghi (e oggi assegnati al regno dei Chromista) e la parete cellulare è formata da una miscela di composti cellulosici. I ricercatori hanno riprodotto la loro parete introducendo piccole quantità di chitina tra le fibre di cellulosa. Il materiale risultante è forte, leggero ed economico, e può essere modellato o lavorato usando tecniche del legno. E, soprattutto, è completamente ecologico, scalabile, riproducibile ovunque senza strutture specializzate e completamente biodegradabile in condizioni naturali.
Il costo del FLAM (questo il nome con cui è stato battezzato) è nella gamma delle materie plastiche prime e 10 volte inferiore al costo dei comuni filamenti per la stampa 3D, come il PLA (acido polilattico) e l’ABS (acrilonitrile-butadiene-stirene). “Riteniamo che questo primo processo di produzione additiva su larga scala con i polimeri biologici diffusi sarà il catalizzatore per il passaggio a modelli di produzione ecocompatibili e circolari, in cui i materiali vengono prodotti, utilizzati e degradati in sistemi regionali chiusi”, spiega Javier Gomez Fernandez, co-autore dello studio. “[…] si tratta probabilmente di uno dei risultati tecnologici di maggior successo nel campo dei materiali bioispirati”.
fonte: www.rinnovabili.it