Vi spiego il modello Forlì: produce la metà dei rifiuti

L’intervista al direttore generale di Alea Ambiente, la società pubblica per la raccolta, che ha spezzato il monopolio Hera





















È il modello Forlì, quello che tutti vogliono copiare. Dove la raccolta dei rifiuti è separata dallo smaltimento e affidata ad una società pubblica. Quella fondata dai 13 comuni del forlivese si chiama Alea Ambiente e ha mutuato dalla sua gemella trevigiana, Contarina Spa, le pratiche più virtuose d'Italia: raccolta porta a porta, cassonetti personali per gli utenti e una tariffa che varia in base all'indifferenziata prodotta. Un sistema che, rispetto al precedente, assicura il direttore generale di Alea Paolo Contò, 54 anni, di Treviso, «manda in smaltimento la metà dei rifiuti».

Direttore, quando nasce Alea Ambiente?
«La costituzione, ossia l’atto dal notaio, è stato fatto il 6 giugno 2017, circa un anno fa, ma era una società solo sulla carta che aveva bisogno di tutto, anche della concessione del servizio pubblico da parte dell'autorità preposta. E quindi, per prima cosa, abbiamo lavorato per ottenere l'affidamento del servizio nei 13 Comuni che avevano scelto questa forma di gestione, ossia quello di una società pubblica. Dal primo gennaio è diventata operativa».

Come si è arrivati alla costituzione dell’in-house?
«Negli anni precedenti ci sono stati dei provvedimenti dell’autorità che hanno portato all'identificazione del bacino, distinguendolo da quello precedente dove operava Hera. Si tratta di un'area di 1.000 km quadrati, abitata da 183 mila persone, tutti i comuni forlivesi ad eccezione di Premilcuore e Santa Sofia. Successivamente è stato presentato un progetto per il servizio, fatto dall'azienda per l'ambiente trevigiana Contarina. Ottenuta la concessione del servizio ad ottobre, ci siamo poi preparati di corsa all'avvio dell'attività il 2 gennaio».

Qual è il vostro rapporto con Contarina?
«C'è un accordo di cooperazione, ovvero un accordo di diritto pubblico, che generalmente coinvolge gli enti e cioè, in questo caso, l'unione dei comuni del forlivese e l'ente pubblico proprietario di Contarina. Nell'accordo i due enti hanno coinvolto le società figlie. Nell'interesse pubblico che perseguono, le società collaborano tra di loro, mettendosi reciprocamente a disposizione. Non è un rapporto commerciale. Le due società non hanno finalità di utili. Alea ha persino il divieto di fare dividendi per statuto».

Cos'è, quindi, il modello Forlì?
«È un sistema dove la raccolta è separata dallo smaltimento. I due interessi sono distinti. Alea fa solo la raccolta, differenziata in particolare, altre società si occupano dello smaltimento. Una delle motivazioni dei soci era sciogliere quel legame, caratterizzato da due interessi contrapposti. Da una parte chi raccoglie tende a diminuire il rifiuto, dall'altra chi smaltisce tende ad alimentare i propri impianti. In questo senso si può parlare di modello Forlì. Il modello dei servizi, invece, è stato mutuato dall'esperienza di Treviso».

Cioè?
«Abbiamo da 18 anni a Treviso la tariffa puntuale, legata al rifiuto indifferenziato prodotto dall'utente. Nella raccolta porta a porta, ogni utente ha il suo contenitore con microchip che assicura la misurazione automatica delle quantità prodotte. La vecchia tassa è stata sostituita da una nuova tariffa, composta da una quota fissa per servizi come lo spazzamento o le pulizie che riguardano il territorio e una quota, quella più importante, che dipende dalla quantità di indifferenziata prodotta. Gli utenti, cittadini o aziende che siano, saranno, quindi, stimolati al comportamento virtuoso. È un sistema indicato nel contratto di Governo come modello. Motivo per cui io da trevigiano sono stato chiamato a portarlo a regime industriale a Forlì».

Questo sistema di raccolta è meno costoso del precedente?
«La raccolta in senso stretto costa di più, perché ha bisogno di più persone, e quindi, di più mezzi perché raggiunge tutte le abitazioni della città. Costa meno come smaltimento perché va a minimizzare la quantità di rifiuti indifferenziati prodotti. Addirittura qui a Forlì è previsto meno della metà dei costi, una riduzione drastica. A Treviso siamo ad un terzo rispetto al precedente. Complessivamente i costi tra raccolta, trasporto, smaltimento e gestione sono più che concorrenziali rispetto ai precedenti. C'è un vantaggio economico per il cittadino, non solo per l’ambiente».

Ma un bilancio dei costi di Alea non è prematuro?
«I costi sono tutti identificati nel progetto presentato, nel piano industriale e anche nel contratto di servizio. Le autorità per darci l'affidamento in-house hanno avuto l'obbligo di verificare che fosse conveniente al cittadino, sia per qualità che dal punto di vista economico».

E quanto costa al cittadino?
«I cittadini fanno la loro tariffa. Più riciclano, meno indifferenziato producono, meno pagano. Diventano in questo modo attori del costo complessivo, oltre a quello proprio. Differenziando di più, inoltre, si ottengono quantità maggiori di riciclabile che possono essere vendute, anche perché con la raccolta domiciliare aumenta la qualità e si riducono gli scarti. Oggi abbiamo tariffe diverse per tutti i 13 comuni. In media nel bacino, la previsione è di un costo di 135 euro ad abitante, sempre che non vengano richiesti servizi straordinari di spazzamento. Forlì dovrebbe essere 170».

Secondo l’annuale rapporto Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale dell’Emilia-Romagna, nel 2016 una tonnellata di spazzatura raccolta e smaltita a Bologna è costata 16,43 centesimi, Forlì riesce a fare meglio?
«Il costo a tonnellata è un’unità di misura criticabile, perché fa sembrare basso il costo di chi produce tanti rifiuti. In realtà, quello che a noi interessa è la cifra che gli abitanti pagano all'anno e non il costo dei rifiuti al chilo».

La gestione dei rifiuti, secondo lei, è un business redditizio?
«Nell'immaginario collettivo ha la nomea di utilità elevata. Questo però avviene soprattutto nel trattamento. Chi gestisce gli impianti, e sono pochi operatori, ha una posizione dominante e i prezzi possono essere tenuti a una marginalità maggiore. Gli operatori che fanno solo raccolta, invece, non hanno molti margini, anche perché impiegano più risorse tra uomini e mezzi».

fonte: https://incronaca.unibo.it/