Sacchetti fuorilegge: in Italia il 40% delle buste sono falsi biodegradabili. I risultati di un’indagine di Altroconsumo


















Secondo un’inchiesta condotta nel quadro del progetto CIRC-PACK sul comportamento dei cittadini europei nei confronti dei sacchetti di plastica, la messa al bando delle buste sta funzionando (il 70% degli italiani dichiara di portare sacchetti da casa senza più acquistarli mentre il 42% preferisce quelli di stoffa). In Italia la situazione è leggermente diversa: secondo un’indagine di Altroconsumo la metà dei sacchetti in circolazione sarebbe fuori legge, in quanto non rispetta i requisiti minimi di legge che prevedono la biodegradabilità, la compostabilità e l’impiego di almeno il 40% di materia prima rinnovabile per quelli monuso destinati a contenere e trasportare alimenti. C’è di più, le borse monouso da asporto non possono essere cedute gratuitamente ai consumatori e la biodegradabilità e la compostabilità devono essere certificate da organismi accreditati e presentare i loghi stampati (vedi immagine sotto).
L’indagine condotta in 11 città (Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Reggio Calabria, Roma e Torino) prevedeva l’acquisto di vari tipi di shopper presso ipermercati, supermercati, mercati rionali e cinque negozi scelti tra: casalinghi, detersivi e cura della persona, fruttivendoli, macellerie e panetterie, per un totale di quasi 200 punti vendita e 247 sacchetti prelevati.
sacchettiSe nella grande distribuzione non sono state rilevate irregolarità, la situazione peggiore si trova nei negozi (22% di sacchetti fuorilegge). Analizzando poi il tipo di borse acquistate nei mercati, il 70% non era a norma. L’altro aspetto importante è che nei mercati il sacchetto non viene quasi mai fatto pagare, come invece prevede la legge, e non compare mai sullo scontrino. Il tema delle buste a pagamento ha scatenato gli animi dei consumatori, ma va ricordato che possono essere usate per la raccolta dell’umido e il costo di 1 – 2 centesimi (costo che incontriamo nei reparti ortofrutta) è ben inferiore a 10 – 17 centesimi dei sacchetti venduti in rotolo specificatamente per la frazione umida.
Per chi ancora pensasse che il passaggio ai sacchetti compostabili sia stato inutile e che i vecchi sacchetti in plastica potessero essere riciclati, esistono finalmente risposte chiare: la fattibilità del riciclo è solo teorica in quanto il ridotto spessore dei sacchetti li rendeva poco riconoscibili dagli impianti automatizzati, con il risultato che buona parte delle buste in plastica venivano scartate, finendo negli inceneritori. “I sacchetti irregolari purtroppo sono prodotti sia da aziende italiane che estere” sostiene Marco Versari, presidente di Assobioplastiche. “Secondo nostre stime solo il 20-30% delle buste per ortofrutta sarebbe a norma; non parliamo di nomi importanti della distribuzione, ma delle zone più periferiche dove il commerciante che smercia prodotti irregolari senza farli pagare raccoglie il consenso dei consumatori”.
Quali mezzi ha il consumatore per difendersi? La legge impone ai produttori di indicare il nome sul sacchetto, il marchio di certificazione e l’indirizzo, in modo da poter risalire alla fonte della catena produttiva (chi lavora legalmente ci tiene a farlo sapere, mentre i prodotti anonimi potrebbero nascondere qualcosa che non va).
Se nel 2011 l’Italia aveva già fatto da virtuoso apripista a livello europeo con l’introduzione dei sacchetti da supermercato compostabili, ora le regole sono state estese anche ai sacchetti ortofrutta e bisogna intensificare i controlli, soprattutto nelle bancarelle ambulanti e nei negozi al dettaglio. “Di recente – prosegue Versari – le autorità hanno scoperto un distributore milanese che vendeva decine di milioni di sacchetti illegali. Il giro d’affari è importante visto che i ricarichi arrivano anche al 500 per cento e le multe sono basse, rispetto al rapido guadagno che si può fare. Ma i danni per il consumatore e l’ambiente sono enormi”.

fonte: https://ilfattoalimentare.it