La componente principale di un centro del riuso? 'Quella sociale'

Intervista di Eco dalle Città ad Antonio Castagna, esperto di economia circolare: “Occorre iniziare ad interrogarsi sulla funzione sociale dei centri del riuso. Svolgono funzioni complesse e creano lavoro”









Dopo l’annuncio da parte del Comune di Milano, dell’apertura del primo centro del riuso cittadino, abbiamo colto l’occasione per interrogarci su come si progetta un centro del riuso. A questo proposito abbiamo interpellato Antonio Castagna, esperto di economia circolare:
Come definirebbe un centro del riuso? Ci sono più varianti per questo tipo di attività?
Non c’è una definizione ufficiale o uno standard per definire cosa sia esattamente un centro del riuso. Tuttavia, possiamo definirlo, rispetto alle sue funzioni di recupero, come un centro che intercetta i beni prima che finiscano a smaltimento o riciclo.
Oltre al flusso proveniente dagli scarti urbani, può ricevere beni attraverso le donazioni. Per quanto riguarda invece le attività che vengono effettuate al suo interno, si tratta generalmente di operazioni di pulizia, riparazione e commercializzazione dei beni recuperati.
Qual è la dimensione giusta affinché un centro del riuso sia sostenibile dal punto di vista economico e ambientale (sia in termini di bacino di utenti che di spazio a disposizione per l’attività)?
Considerando la quantità di beni potenzialmente recuperabili, tra l’1 e il 2% dell’ammontare dei rifiuti solidi urbani, occorre che ci sia approssimativamente un bacino di almeno 100mila persone. Questa stima, tuttavia, è influenzata anche altre variabili come la tipologia di popolazione, la densità e le specifiche locali in termini di mercato.
Quali sono le principali attività e tipologie di materiale che dovrebbe ospitare un centro del riuso?
Questo dipende molto dalla strutturazione e l’organizzazione del centro, dal suo mercato di riferimento. Non solo, anche dalla massa critica di materiali che ha a disposizione.
Un centro del riuso piccolo può funzionare su alcune filiere precise e dettagliate: è il caso del centro del riuso di Torino che lavora molto sulle biciclette. Altri, come quello di Vicenza, possono permettersi di lavorare sui materassi o sulle reti, avendo una quantità di beni molto grande che gli consente anche di commercializzare fuori dall’Italia. Altre situazioni, possono dipendere dalle competenze specifiche che si attivano. I centri di Vicenza e Verona, ad esempio, hanno sviluppato molto il settore dell’elettronica e della stereofonia, facendo anche investimenti a questo proposito: si tratta infatti di professionalità alte, sui occorreva investire.
Qual è il soggetto più indicato per gestire una struttura di questo tipo?
Solitamente sono cooperative sociali di tipo B. Si tratta di realtà che utilizzano per buona parte personale cosiddetto “svantaggiato” (minimo il 30%) che proviene da situazioni di disagio.
Come mai questo tipo di realtà?
Il perché è abbastanza semplice da comprendere. Questo tipo di attività coniuga funzioni semplici come la pulizia o la movimentazione a lavori più raffinati dal punto di vista delle competenze. Come dimostrato da diverse esperienze, i soggetti svantaggiati vengono introdotti in queste attività per svolgere funzioni semplici in grado di rispondere alla prima necessità di dargli un’occupazione e un ordine (il fatto che rispettino degli orari, dei compiti, etc.). Tanti di loro, sono persone in grado di apprendere competenze raffinate, tanto che ci sono casi di lavoratori che hanno sviluppato professionalità specifiche utili allo sviluppo stesso del centro di riuso. Questa evoluzione può avvenire all’interno di un contesto come può essere un centro del riuso, in grado di curare ed accogliere le necessità di una persona che parte da una situazione di disagio ma ha tutte le potenzialità per crescere.
Questo elemento sottolinea molto la funzione sociale di un centro del riuso: quanto è presente questa componente nelle realtà che ha analizzato?
La componente sociale è in realtà quella principale. Uno dei vincoli culturali che dobbiamo superare è proprio il fatto che il centro del riuso valga soprattutto per questioni ambientali. Quest’ultima è una componente certamente significativa ma le sue ricadute nel ciclo di gestione della materia sono certamente limitate. Il suo impatto sociale in un territorio è invece davvero impattante e sarebbe il caso di misurarlo con più attenzione. Diverse esperienze (Vicenza, Verona, Torino ma anche all’estero) hanno portato alla creazione di collaborazioni importanti tra centri del riuso, strutture carcerarie, cooperative di tipo A che hanno dato un’opportunità di riscatto sociale a decine di persone.
Questi progetti hanno bisogno di essere supportati da partner pubblici o privati?
E’ vero che i centri del riuso costruiscono un circuito economico di valorizzazione di beni ma quel circuito economico da solo non permette loro di stare in piedi. Il limite italiano è pensare che tutto ciò possa stare in piedi esclusivamente attraverso un circuito di mercato.
In che modo vanno supportati?
Sulle modalità di supporto ci sono diversi modelli: nel nord Europa, ad esempio, il finanziamento è diretto da parte dello Stato. Quello che funziona meglio in Italia, invece, è quando si riesce a trovare un accordo sulla gestione di servizi accessori, ad esempio la gestione di un centro di raccolta. Questo consente di fare da filtro per i beni vendibili, che rientrano in un circuito di pulizia e recupero e poi commercializzati.
fonte: www.ecodallecitta.it