Un Paese privo della necessaria visione strategica nella gestione dei rifiuti urbani, un quadro normativo complesso che scoraggia investimenti e innovazione, un gap impiantistico che va dal recupero energetico al riciclo, senza colmare il quale sarà difficile cogliere i benefici della transizione europea verso un’economia circolare. Mentre ancora infiamma la polemica sui termovalorizzatori, ci pensa il Rapporto Was 2018 messo a punto dalla società di consulenza Althesys a tracciare un quadro nitido dell’Italia dei rifiuti, i cui problemi vanno ben al di là dello scontro politico/ideologico sulla necessità o meno di bruciarne o riciclarne di più. Già, perché secondo il dossier, che ogni anno passa ai raggi-x il settore della gestione del pattume urbano in Italia, all’alba dell’economia circolare l’Italia non si è ancora dotata di una strategia industriale che orienti in maniera organica lo sviluppo dell’intera filiera del waste management. Garantendo tassi crescenti di raccolta e avvio a riciclo, ma anche la gestione sostenibile delle quantità di scarti che non possono, o quanto meno non ancora, tornare a nuova vita.
“Sviluppare la raccolta differenziata e il riciclo è basilare – spiega Alessandro Marangoni, ad di Althesys – ma serve ragionare sull’intera filiera del waste management. Raccolti materiali riciclabili e rifiuti organici servono gli impianti per trattarli e valorizzarli. Servono anche termovalorizzatori per recuperare energia dai rifiuti non recuperabili altrimenti, distribuiti in modo coerente con i fabbisogni sul territorio in modo da limitare gli impatti ambientali, sia dello smaltimento in discarica, o peggio illegale, sia del trasporto dei rifiuti su lunghe distanze. Serve, insomma, quella pianificazione strategica che è sempre mancata nel nostro Paese”. Anche perchè, nonostante le difficoltà, il settore conta oggi 11 miliardi di euro di valore delle produzioni, con un incremento del 3% delle tonnellate di rifiuti raccolte rispetto al 2016 e una percentuale di raccolta differenziata passata dal 53,4% al 56,6%. Tuttavia, a fronte del dinamismo delle maggiori aziende e dell’evoluzione verso la circular economy, l’ultimo anno ha visto un sostanziale immobilismo delle policy nazionali.
E allora, quali sono gli impianti che servono al Paese? Secondo Althesys la frazione più critica resta quella umida, per la quale servono nuovi impianti che la trasformino in compost e biometano. Quanto al numero, nel dossier si prendono in esame due scenari diversi. Nel caso in cui pur centrando gli obiettivi europei del 65% di riciclo dei rifiuti urbani al 2030 il Paese non riesca a ridurre la produzione procapite, occorreranno – secondo i calcoli del Was – 56 nuovi impianti di trattamento dei rifiuti organici. Se invece l’intera Italia arrivasse agli standard attuali di riduzione dei rifiuti del Veneto (molta raccolta differenziata e bassa produzione procapite) ci sarebbe comunque bisogno di nuovi impianti di compostaggio, circa 16.
Aumentare i tassi di raccolta differenziata e avvio a riciclo ridurrebbe il fabbisogno di smaltimento. Che resterebbe forte però in alcune realtà locali come la Sicilia, dove oggi l’indifferenziato finisce ancora tutto in discarica. Per essere autonoma entro il 2030 e allinearsi al tetto massimo del 10% di smaltimento in discarica fissato dal pacchetto economia circolare, nello scenario a bassa produzione di rifiuti l’Isola avrebbe bisogno di capacità di incenerimento per oltre 1 milione di ton. Nello stesso scenario, e cioè se l’Italia si dimostrasse capace di centrare l’obiettivo Ue del 65% di avvio a riciclo riducendo al tempo stesso la produzione di rifiuti, a livello nazionale entro il 2030 si arriverebbe a un saldo leggermente positivo per gli inceneritori, con una capacità autorizzata di 6,54 milioni di tonnellate a fronte di una richiesta di 6,15 milioni di tonnellate. In uno scenario ad “alta produzione” di rifiuti, invece, gli impianti delle regioni del Nord non sarebbero sufficienti a coprire i deficit di Centro e Sud, e quindi resterebbe un fabbisogno totale di nuova capacità per 260mila ton. Ciò significa che. in entrambi gli scenari. per ridurre il fabbisogno di nuovi termovalorizzatori le Regioni del Nord saranno chiamate a sopperire ancora a lungo alla carenza di impianti del Centro e del Sud.
“Lo sviluppo dell’economia circolare – conclude Alessandro Marangoni – cambierà sempre più la fisionomia dei mercati, che diventeranno sempre più interconnessi, integrati, e globalizzati. La crescita delle materie prime seconde, l’ingresso di attori esterni al settore ambientale, il progresso tecnologico renderanno sempre più arduo definire i confini e gli scenari futuri. La trasformazione dell’industria del waste management sta accelerando e il settore sarà nei prossimi anni molto diverso da come lo conosciamo oggi. Serve dunque un salto in avanti anche dei policy maker italiani per disegnare una vera politica industriale”.
fonte: http://www.riciclanews.it