Greenpeace: Altro che riciclo, ecco dove vanno a finire i nostri rifiuti di plastica

A un anno dal blocco cinese sull’importazione dei rifiuti, l’Occidente rischia di trovarsi sommerso da un mare di plastica e, anche in Italia, iniziano ad accumularsi rifiuti in plastica che in Oriente non vogliono più ricevere.


Un problema per nulla secondario per il nostro Paese. Secondo il nostro ultimo report internazionale, infatti, l’Italia è all’undicesimo posto tra i principali esportatori di rifiuti plastici al mondo: solo nel 2018, ne abbiamo spediti all’estero 197mila tonnellate, per un giro d’affari di 58,9 milioni di euro. Per avere un’idea chiara del nostro export, si tratta di un peso pari a 445 Boeing 747 a pieno carico, passeggeri compresi.

Nuove rotte verso Malesia, Turchia e Vietnam

Un meccanismo che, fino ad una manciata di mesi fa, vedeva come partner privilegiato la Cina, dove finiva in media il 42% dei nostri rifiuti plastici. Contenitori, pellicole industriali e residui plastici di ogni sorta, dall’Italia erano inviati «in impianti fatiscenti, spesso inesistenti, e ancor più spesso privi dei sistemi di sanificazione e di lavaggio» racconta Claudia Salvestrini, direttrice di Polieco, consorzio nazionale per il riciclaggio dei rifiuti dei beni a base di polietilene.
Ora il giocattolo s’è rotto. Nel 2018, rispetto al 2016, la Cina ha ridotto dell’83,5% il volume di rifiuti italiani importati, accogliendo di fatto solo 2,8% dei nostri scarti plastici. «Tuttavia, le aziende avvezze ad esportare continuano a farlo, hanno solo cambiato indirizzi. Ora le mete sono Malesia e Vietnam», continua Salvestrini che è spesso stata costretta a mettere il naso nell’esportazione illegale di rifiuti. In Malesia, in effetti, le importazioni nel 2018 sono aumentate del 195,4% rispetto al 2017, segue Turchia (+191,5% rispetto al 2017), Vietnam (in leggera decrescita rispetto al 2017 ma aumentato del 153% rispetto al 2016), Yemen, Usa e Thailandia (+770%).

DNA: «Rischi che la plastica non sia trattata correttamente»

Stando ai dati di Eurostat, da anni l’Italia invia fuori dall’Ue un terzo dei suoi rifiuti in plastica, teoricamente per essere riciclati. La normativa a cui fare riferimento è il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2006, n.1013. Il principio è semplice: i rifiuti che escono dall’Europa possono essere esportati solo in Paesi in cui saranno trattati secondo norme equivalenti a quelle europee in merito al rispetto dell’ambiente e della salute umana.
Tuttavia, ci sono dei dubbi sul fatto che questo accada sempre nella maniera più corretta. Quando gli scarti erano esportati in Cina, per esempio, false certificazioni raccontavano del corretto trattamento dei rifiuti, nonché dei pieni requisiti dei destinatari su territorio cinese. «Si trattava di un vero e proprio delitto di attività organizzata finalizzata al traffico illecito dei rifiuti», precisa Roberto Pennisi, Sostituto procuratore della Direzione nazionale antimafia. «E anche nei flussi attuali, potrebbe esserci il rischio che parte del materiale non sia riciclato seguendo i corretti standard».
Inoltre, guardando al contesto europeo, negli ultimi anni si nota un aumento dell’export verso «Paesi entrati da poco in Ue, dove i controlli sono meno accurati», continua  Pennisi. Stando a Eurostat, infatti, è in aumento l’export verso la Romania(+385% di variazione tra il 2017 e il 2018) mentre resta costante il ruolo della  Slovenia, che lo scorso anno ha importato ben l’8% dei nostri scarti plastici, per un valore di 3,7 milioni di euro.
«Slovenia e Croazia hanno ripreso un ruolo importantissimo – continua la direttrice di Polieco – In particolare, molti italiani che esportavano verso la Cina in modo non corretto, ora hanno aperto impianti in Slovenia e da qui poi esportano nel resto del mondo». Quindi, è cambiata la modalità, ma «siamo comunque di fronte alle condizioni per un perfetto traffico internazionale illecito di rifiuti».

Interventi urgenti per l’usa e getta

Come abbiamo evidenziato in Plastica: il riciclo non basta«l’unica via per non venire sommersi dalla plastica resta il riuso, la riprogettazione per la riduzione e la durevolezza – precisa Enzo Favoino, ricercatore presso la Scuola Agraria del Parco di Monza – nonché l’adozione di tutti gli strumenti tecnologici e normativi che possano portare l’Europa a potere definirsi realmente con un modello di economia circolare».
Con una produzione di plastica che raddoppierà le quantità del 2015 entro il 2025 per quadruplicarle entro il 2050, il nostro Pianeta rischia di essere sommerso da rifiuti in plastica. Sono necessari interventi urgenti, soprattutto per l’usa e getta, che oggi costituisce il 40% della produzione globale di plastica.
«Dobbiamo renderci conto che il problema è mondiale – afferma il sostituto procuratore Pennisi – Pensavamo che per risolvere il problema bastasse spedire il rifiuto in terre lontane. Ma non è così, non può essere così, non deve essere così».

fonte: https://www.greenpeace.org