Le microplastiche degli oceani arrivano anche dalla nostra lavatrice

La principale fonte delle microplastiche primarie, quelle che arrivano nell'ambiente già frammentate, è proprio il lavaggio di capi sintetici. Oggi un gruppo del Cnr ha studiato come avviene questo processo e quali abiti “inquinano” di più















Le microplastiche che inquinano l’ambiente, per esempio gli oceani, arrivano anche dalla lavatrice. Il lavaggio domestico di tessuti sintetici, infatti, rappresenta una delle principali sorgenti di microplastiche che arrivano ai mari. Questo perché alcune microfibre rilasciate dai vestiti nelle acque di scarico riescono a passare indisturbate attraverso i filtri e gliimpianti di depurazione e raggiungono l’ambiente. A confermare questo risultato, oggi, è uno studio italiano, condotto dall’Istituto per i polimeri, compositi e biomateriali (Ipcb) del Consiglio nazionale delle ricerche(Cnr), che ha analizzato il passaggio di microplastiche nelle acque di scarico utilizzando una lavatrice commerciale e capi di uso comune.

I risultati sono pubblicati su Scientific Reports.

Una buona fetta (dal 15 al 30%) delle microplastiche negli oceani sono quelle cosiddette primarie, cioè quelle che arrivano già frammentate in strutture di dimensioni microscopiche. La fonte principale delle microplastiche primarie è proprio il lavaggio di capi sintetici, un dato riconosciuto da vari studi. Il processo di lavaggio con lavatrici di uso domestico, infatti, contribuisce per il 35% del rilascio di queste sostanze. Oggi i ricercatori hanno voluto approfondire la questione, per capire quanto e come le microplastiche si staccano dagli abiti e possono contribuire all’inquinamento.

“Abbiamo utilizzato una lavatrice comune, come quelle presenti nelle nostre abitazioni”, spiega a Wired.it Francesca De Falco, prima firma del paper e assegnista di ricerca presso l’Ipcb del Cnr, “e capi sintetici, fra cui t-shirt sportive e altri abiti in 100% poliestere, insieme a una maglia da un lato in 100% poliestere e dall’altro in cotone e modal (simile alla viscosa). Con questi vestiti abbiamo ottenuto un carico di circa 2-2,5 chilogrammi, simulando un lavaggio reale”. Gli autori hanno utilizzato un sistema di filtrazione multistep, cioè con più filtri di diverse dimensioni, con l’obiettivo di capire quante microfibre vengono rilasciate realmente da una lavatrice dopo un lavaggio.

Gli scienziati hanno misurato la concentrazione di microplastiche rilasciate da ciascun capo alla fine del lavaggio: si parla di quantità che vanno dai 120 ai 300 milligrammi per chilogrammo. In particolare, ciò che emerge dallo studio è che alcuni capi perdono più microfibre rispetto ad altri. “Tessuti più compatti – sottolinea De Falco – come capi sportivi in 100% poliestere, con fibre lunghe e attorcigliate, hanno rilasciato una quantità di microplastiche minore rispetto a quella generata dal lavaggio di maglie con tessuti meno uniformi e fibre meno aggrovigliate”. In assoluto, il capo che ha perso la maggiore concentrazione di queste microfibre, pari a circa 300 milligrammi per chilo, è la maglia in 100% poliestere da un lato e cotone e modaldall’altro. E probabilmente, prosegue l’autrice, il principale responsabile è il tessuto posteriore, in cotone e viscosa. “Circa l’80% delle microfibre rilasciate, infatti”, rimarca De Falco, “erano cellulosiche, ovvero rigenerate dalla cellulosa, proprio come la viscosa e il modal”.

Questo studio, spiegano gli autori, mostra che i tessuti compatti, con filamenti lunghi, continui e attorcigliati, rilasciano meno microplastiche, che se non vengono successivamente bloccate dagli impianti di depurazione possono anche entrare nell’ambiente e raggiungere i mari. “Questi risultati sembrano suggerire l’opportunità di un cambiamento nel design dei tessuti prodotti dall’industria dell’abbigliamento”, scrivono gli autori nel paper, “che potrebbe contribuire alla riduzione del rilascio di microplastiche”.

fonte: www.wired.it