Plastica e inquinamento: 7 italiani su 10 si sentono colpevoli

Un dossier Ipsos fa il punto sulla considerazione dei cittadini rispetto alle proprie abitudini: cresce del 65% la consapevolezza ambientale, la plastica al vertice delle preoccupazioni.
















Lo stato di salute del pianeta, l’assedio della plastica, la sostenibilità ambientale, il ribaltamento delle abitudini, le responsabilità individuali e delle organizzazioni. Sono temi finalmente al centro del dibattito pubblico con la giusta importanza grazie alla mobilitazione internazionale targata Greta Thunberg, certo, ma anche, e ormai da anni, in virtù di una parabola crescente e dei preoccupanti dati scientifici che si accumulano. Come quelli sul riscaldamento globale, la riduzione delle superfici dei ghiacciai o l’allarme dell’Onu per il milione di specie animali e vegetali a rischio estinzione.
Ipsos ha presentato da poco al convegno “The third moment of truth: il packaging sostenibile è il nuovo tsunami?” un dossier di dati interamente dedicato al tema della plastica realizzato grazie all’analisi di numerosi studi e indagini di mercato condotte dall’istituto su tematiche come appunto la responsabilità sociale d’azienda e la sostenibilità ambientale. Non solo: le cifre che ne escono misurano il grado di crescente consapevolezza delle persone sullo stato di salute del pianeta e delineano le aspettative dei consumatori nei confronti delle aziende, grandi e piccole, in tema di impatto ambientale.
Il “plastic free” è una tendenza fondamentale del momento: un’opportunità ma anche una scelta strategica e quasi obbligata. Ben l’80% degli italiani dichiara infatti di temere un disastro ambientale incombente e, con sorpresa, nessuno si tira fuori dal banco degli imputati: il 74% pensa infatti di aver contribuito personalmente alla creazione delle surreali isole dei rifiuti che vorticano negli oceani. “Oggi, l’emergenza ecologica non è più percepita come priorità solo per una élite ma diviene problema vissuto dalla gran parte delle persone che se ne fanno carico attraverso, prima di tutto, un’acquisizione di conoscenza qualificata – spiega Andrea Alemanno, Ipsos Senior client officer – basti pesare che negli ultimi quattro anni l’attenzione e la volontà di apprendere nozioni specifiche in materia ambientale è cresciuta del 65%”. La sensibilità, insomma, sta esplodendo. Così come, finalmente, la responsabilizzazione.
Secondo il dossier preparato da Ipsos, infatti, sempre più spesso le persone adottano uno stile di vita attento e rispettoso, sono sensibili all’impatto ambientale delle proprie scelte di consumo, quindi più inclini al sacrificio personale (dalla carta al riciclo dei materiali pregiati che è delittuoso disperdere in ambiente ma anche sbagliato conferire nell’indifferenziato) e disposte ad affrontare anche qualche sacrificio economico. Ad esempio, il 20% dichiara di adottare abitualmente comportamenti sostenibili e un altro 50% si considera aperto nei confronti di una condotta più attenta. La riserva degli incivili e degli insensibili si ferma al 13% degli scettici o al 17% degli indifferenti. Comunque non poco.
Proprio la plastica, si diceva, è al vertice delle preoccupazioni. Per il 50% degli italiani è un problema molto serio, per il 46% è un allarme risolvibile (per il 26%) o legato a un riciclo inadeguato (20%). Fortunatamente solo l’1% considera il dibattito sulla plastica frutto di allarmismi inutili e il 2% che non lo vive come preoccupazione. I negazionisti non mancano mai, neanche quando messi faccia a faccia con testimonianze, dati, immagini, numeri.
In questo senso, il ruolo delle aziende è sempre più centrale. Esiziale, si direbbe. Alla domanda “Chi ha la responsabilità di trovare una soluzione per ridurre la quantità di materiale utilizzato nelle confezioni di prodotti venduti”, il 39% pensa infatti sia dovere delle aziende, in particolare quelle che producono e vendono prodotti di largo consumo, risolvere parte della faccenda. Per questo nel brand si cerca un elemento di identificazione, una prova dell’impegno verso l’ambiente e la sua tutela. Il 52% degli italiani, quando fa la spesa, cerca marche che consentano loro di fare la differenza nel mondo ed è per questo che il tipo e l’importanza delle politiche di responsabilità sociale delle imprese è determinante per accrescere il peso percepito del brand nel suo pubblico di riferimento. Riduzione delle emissioni, condizioni di lavoro, qualità del servizio o del prodotto, investimenti in ricerca e sviluppo: questi i fronti su cui battere.
“Oggi l’azienda sostenibile viene ripagata in sostegno concreto dai consumatori. È questo il messaggio forte e chiaro che emerge dalla nostra analisi – spiega Nicola Neri, amministratore delegato di Ipsos Italia – il 68% dei cittadini italiani dichiara di essere disposto a pagare di più per un prodotto o servizio proveniente da un’azienda che attua politiche ambientali serie e rigorose; l’83% la consiglierebbe a chi è in cerca di lavoro, un ulteriore 83% sarebbe pronto ad affidarle i suoi risparmi o di investirvi del denaro e addirittura il 90% la sceglierebbe come fornitura di prodotti e servizi. La reputazione aziendale passa quindi anche attraverso l’economia circolare, anzi ne diviene conseguenza diretta. Sono le aziende più avanti nell’implementazione di processi sostenibili ad avere la reputazione più alta”.
Chi investe nel green, oltre tutto, cresce. L’analisi di Ipsos dimostra infatti l’aumento del fatturato, dell’export e dell’occupazione nelle imprese che fra 2014 e 2016 hanno puntato su quelle politiche. Nonostante si siano mosse in molte, fra i cittadini prevale la convinzione che le aziende chiamate a farsi carico del problema non stiano in generale ancora facendo abbastanza: lo pensa il 77%. Su tutti i fattori, il packaging è ritenuto oggi il primo elemento di sostenibilità su cui viene messo alla prova un brand. “Secondo gli italiani, un’azienda per essere considerata rispettosa dell’ambiente deve “utilizzare materiali da imballaggio eco-sostenibili”(41%), “ridurre al minimo gli scarti di produzione” (39%), “ridurre l’imballaggio dei prodotti” (34%) ed “essere molto efficiente riducendo gli sprechi di materiale” (33%)”, racconta Diego Persali, direttore Marketing understanding Ipsos.
Non è un caso che il 41% degli acquirenti smetta di scegliere beni con imballaggi non riciclabili, il 24% boicotti i negozi che usano troppi imballaggi di questo tipo e il 53% prediliga appunto una spesa sostenibile. In altre parole, e questo è un bene, la plastica vive oggigiorno una profonda crisi reputazionale: solo il 12%, spiega il dossier, la ritiene un materiale sostenibile. Percezione che cambia quando la plastica, grazie alle nuove tecnologie, è gestita e trasformata in bioplastica o plastica riciclabile.
Tutto bene, dunque? Non proprio. Evitare la plastica nella vita quotidiana rimane complesso. Un sacrificio non da poco, almeno nella percezione collettiva. Dall’indagine è emerso che i prodotti realizzati con materie plastiche cui gli italiani farebbero più fatica a rinunciare sono bottiglie d’acqua (33%), pellicole trasparenti per alimenti (27%); contenitori riutilizzabili per alimenti (16%), contenitori detersivi (14%), abbigliamento come pile e microfibre (13%); sacchetti di plastica (12%); posate monouso (12%), giocattoli (11%).

fonte: www.greenstyle.it