Manca la normativa, e il riciclo dei rifiuti inerti non c’è: finiscono (se va bene) in discarica

In ballo c’è il destino di 57 milioni di tonnellate di scarti prodotti in Italia ogni anno: almeno 15 milioni di tonnellate potrebbero sostituire il calcestruzzo prodotto con materie vergini





















I rifiuti inerti da costruzione e demolizione (C&D) regolarmente censiti – ovvero senza (poter) tenere conto degli enormi quantitativi illegalmente dispersi nel territorio – rappresentano il 41% di tutti i rifiuti speciali prodotti ogni anno nel nostro Paese: 57 milioni di tonnellate di rifiuti che potrebbero essere in larga parte riciclate, ma che invece affollano le discariche. Come potrebbe essere altrimenti, se manca anche la normativa End of waste in grado di indicare quando questi rifiuti possono tornare ad essere un prodotto e spesi sul mercato? Una situazione paradossale, per sbloccare la quale alcune associazioni di categoria (Cna, Confartigianato imprese, Federbeton con Atecap, Fise Unicircular, Anpar,  Legacoop produzione e servizi, e il supporto del Centro materia rinnovabile) si sono rivolte direttamente al ministro dell’Ambiente.
Negli ultimi 6 anni dal ministero sono infatti arrivati sono 2 decreti End of waste, e 16 sono ancora in lavorazione; tra questi anche quello per i rifiuti inerti, inchiodato alla seconda tra le 8 fasi di avanzamento previste. Dopo oltre due anni di intenso confronto con il ministero e l’Ispra, però, la bozza messa a punto «non contiene alcun elemento di innovazione, in quanto riproduce gli stessi limiti operativi e concettuali di 20 anni fa», spiega amareggiato il presidente Anpar Paolo Barberi. L’obiettivo delle associazioni è invece quello di arrivare alla redazione di un nuovo testo di regolamento End of waste per i rifiuti inerti che preveda analisi e verifiche assolutamente rigorose, ma costruite a misura degli scopi specifici ai quali “la sostanza o l’oggetto è destinato” (si veda art.6, par. 1, Direttiva 2008/98). Conciliando criteri ambientali, nel rispetto delle norme in materia, e criteri tecnico industriali, che derivano dalle norme tecniche armonizzate europee e dall’esperienza operativa delle imprese.
La posta in gioco è molto alta: stabilire regole chiare attraverso le quali poter valorizzare pienamente questi materiali nelle costruzioni è quindi un passo importante per l’economia di un settore che negli ultimi anni ha perso più di 500.000 posti di lavoro, e può trovare una importante leva di ripresa proprio nell’economia circolare come dichiarano ormai da anni da Legambiente all’Ance.
«Il settore del calcestruzzo può dare un prezioso contributo a tutto ciò, grazie all’impiego di aggregati da riciclo in sostituzione di quelli naturali – argomenta il del presidente dell’Atecap Andrea Bolondi – Abbiamo stimato che su una produzione attuale di circa 27 milioni di metri cubi di calcestruzzo si potrebbe ottenere un risparmio di aggregati naturali di 15 milioni di tonnellate, cioè un mancato conferimento in discarica di scarti delle costruzioni pari a circa il 10% del totale di rifiuti speciali generati in Italia. Sono potenzialità enormi che non vanno perse, ma per farlo serve emanare al più presto un decreto end of waste sui rifiuti inerti».
Non solo: «L’impiego nella produzione di calcestruzzi non è che un esempio dei molteplici usi degli aggregati che si possono ottenere dal riciclo dei 57 milioni di tonnellate di rifiuti inerti (tracciati) generati ogni anno nel nostro Paese – continua Barberi – In questo momento le aziende di tutta la filiera si trovano in una situazione paradossale, tra l’incudine e il martello: da una parte prigioniere di norme statali per il riciclo vecchissime e ormai superate che il ministero non adegua al progresso tecnologico e ai nuovi usi tecnici e commerciali; dall’altra, impossibilitate a richiedere che questo adeguamento possa essere autorizzato dalle regioni con provvedimenti per i singoli impianti, a causa delle norme inserite nello Sblocca cantieri che hanno tolto questa competenza alle Regioni per demandarla allo Stato». Non a caso 56 associazioni e imprese si sono rivolte congiuntamente al Governo la scorsa settimana per cambiare rapidamente rotta, e ridare concretamente fiato all’economia circolare. I soli applausi all’economia verde da soli non bastano più.
fonte: www.greenreport.it