Giudizio Universale contro lo Stato

Anche in Italia si prepara la prima azione legale contro lo Stato, responsabile di aver messo in campo, nell’ipotesi più benevola, politiche inefficaci contro i cambiamenti climatici. Quelle promosse con la campagna Giudizio Universale non sono affatto azioni dal valore meramente simbolico. Vogliono aprire una strategia inedita per la difesa dei cittadini destinata a segnare un cambiamento concreto su questi temi nel rapporto tra libertà e autorità e tra la democrazia, la legittimità dei poteri e la responsabilità politica verso le attuali e le future generazioni. L’8 agosto la campagna viene presentata a Cortina




Anche in Italia parte la prima causa climatica contro lo Stato. Si chiama “giudiziouniversale.eu”. Associazioni e movimenti ambientalisti, cittadini e genitori in rappresentanza dei figli e delle generazioni future agiranno nella veste di “difensori dei diritti umani”, come ammesso dalla Dichiarazione Onu del 1998 e sulla base della Convenzione di Aarhus.

Assistiti da un team legale composto dagli avvocati Luca Saltalamacchia, esperto di tutela dei diritti umani e ambientali, e Raffaele Cesari, esperto di Diritto civile dell’ambiente, affiancati dai professori Michele Carducci, dell’Università del Salento, esperto di Diritto climatico, ed Enzo Di Salvatore, dell’Università di Teramo, esperto di Diritto dell’energia, i cittadini citeranno in giudizio lo Stato, in forza dell’art. 2043 del Codice civile, per vederlo condannare nei suoi inadempimenti nella lotta contro i cambiamenti climatici.

Nel mondo si contano ormai diverse centinaia di cause legali climatiche, raggruppabili in tre categorie: cause contro lo Stato; cause contro imprese di estrazione o produzione fossile; cause contro progetti autorizzati e formalmente valutati compatibili con l’ambiente, ma climalteranti rispetto alle acquisizioni scientifiche internazionali.

Le cause legali climatiche non sono riconducibili alle ordinarie cause per danno ambientale. Questo deriva non solo dal fatto che clima e ambiente non identificano, dal punto di vista giuridico, il medesimo oggetto di normazione e tutela (il clima è definito un “iper-oggetto” giuridico, per la sua proiezione interspaziale e intertemporale). In estrema sintesi, l’esperienza ad oggi maturata dimostra che quelle climatiche sono cause differenziate da almeno quattro elementi:

1) non si fondano su questioni scientifiche controverse, ma sul loro esatto contrario, ovvero sulla condivisione, a livello internazionale, di acquisizioni scientifiche, in tema di origini e rimedi dei cambiamenti climatici, che gli Stati hanno accettato, impegnandosi ad adottare una serie di iniziative (si pensi all’Accordo di Parigi e ai Report dell’IPCC ma anche ai 17 SDGs di “Agenda 2030”), per le quali possono essere chiamati a dar conto davanti a un giudice (il dato è significativo, perché attesta che il c.d. “negazionismo climatico” è giuridicamente irrilevante);

2) se citati davanti a un giudice, gli Stati devono dimostrare di aver agito secondo “buona fede”, come richiede la Convenzione di Vienna sulla interpretazione dei Trattati internazionali, ma con la specificazione che tale “buona fede” è inevitabilmente “orientata dalla scienza”, ossia deve rispettare le acquisizioni scientifiche condivise (per es., in merito ai tempi di azione, ai limiti di riduzione dell’innalzamento della temperatura o delle emissioni, alle modalità di azione ecc….);

3) di conseguenza, la discrezionalità politica statale non è né illimitata né insindacabile, giacché anch’essa risulterà “orientata dalla scienza” e quindi vincolata all’onere della prova scientifica circa l’efficacia climatica delle decisioni statali;

4) di fronte a questo scenario, i cittadini possono rivendicare non solo il diritto alla tutela della propria vita e della propria salute, ma anche diritti più specifici, come quello a essere informati sulle basi scientifiche che orientano le decisioni dello Stato (secondo la Convenzione di Aarhus e la normativa europea) nonché il diritto umano al clima sicuro (desumibile da numerosi strumenti internazionali), ovvero il diritto a pretendere che le azioni attuali dello Stato garantiscano uno spazio operativo sicuro, di medio e lungo periodo, di controllo e stabilità dei cambiamenti climatici.

Pertanto, questo tipo di azioni non ha affatto un valore meramente simbolico. Servirà a imporre un modo nuovo di agire dello Stato, più attento ai diritti umani dei cittadini verso l’ambiente, il clima, le generazioni future.

Con la causa “Giudizio universale”, si inaugura una inedita strategia di difesa cittadina per la giustizia climatica, destinata a segnare un rapporto diverso tra libertà e autorità, legittimazione democratica dei poteri e responsabilità intergenerazionale della politica.

Anche solo per questo, vale la pena aderirvi.

fonte: https://comune-info.net/