“Oddio, e adesso il contenitore di tetrapak dove lo butto: carta, plastica o indifferenziata?” Il dilemma in cui prima o poi tutti siamo incappati non ha una soluzione univoca, perché i diversi Comuni italiani danno indicazioni differenti: chi dice carta, chi dice plastica. In effetti il tetrapak (come è ormai d’uso chiamare i contenitori fatti in materiale misto/poliaccoppiato, dal nome dell’azienda più famosa, la Tetra Pak, appunto) per la sua stessa natura è una delle bestie nere della filiera del riciclo: non si sa come trattarlo e normalmente finisce in discarica o all’inceneritore. Questo è il destino ogni anno in Italia di 1,4 miliardi di contenitori alimentari, per lo più di bevande, con tutto ciò che ne consegue in termini di spreco e inquinamento.
Ma le cose potrebbero cambiare a breve: c’è un’azienda piemontese, la Ecoplasteam, che a Spinetta Marengo, in provincia di Alessandria, ha fatto partire il primo impianto di riciclo del tetrapak per ricavarne una plastica, l’EcoAllene, perfettamente rilavorabile e a sua volta nuovamente riciclabile.
“Stiamo andando bene, la produzione ormai è ben avviata con risultati che ci confortano, tanto che abbiamo già pianificato l’apertura di un secondo impianto in Austria e di un terzo in Francia che partiranno nel 2020”, annuncia l’amministratore delegato di Ecoplasteam, Stefano Richaud.

- Ecoplasteam. Il Ceo Stefano Richaud
In effetti la filosofia di una start up del riciclo non può essere di aspettare che i rifiuti vengono a te, ma di andare a cercarli dove sono.
In Europa si rendono disponibili ogni anno 350mila tonnellate di rifiuti in tetrapak o materiale simile. Si chiamano poliaccoppiati perché sono fatti di uno strato di cartone, con l’aggiunta di un film di plastica e di un film di alluminio: tre materiali che si riciclano diversamente l’uno dall’altro. Al momento il tetrapak viene conferito alle cartiere che riescono a estrarne la cellulosa (lo strato di cartone). Di quello che rimane nessuno è riuscito finora a farci nulla, perché tutti i tentativi di separare il polietilene dall’alluminio sono falliti.
“Il nostro progetto è al tempo stesso rivoluzionario e semplicissimo – dice Richaud. –Invece di separare i due componenti, li lavoriamo insieme in un processo di riciclo meccanico simile a quello della normale plastica. Alla fine otteniamo granuli di polietilene e alluminio con caratteristiche uguali al polietilene, quello che si usa per produrre oggetti come flaconi per detersivi, confezioni dei cosmetici e per tante altre forme di packaging non alimentare”.

- Ecoplasteam. Balle di materiale poliaccoppiato dopo il trattamento in cartiera.
Ideato anni fa da un imprenditore italiano, Roberto Lecce, il metodo per il riciclo del tetrapak era rimasto chiuso in un cassetto della società svizzera RePlan che ne aveva acquistato il brevetto senza mai utilizzarlo. Dall’incontro fra Lecce ed una serie di imprenditori torinesi è nata la prima idea del progetto che, dopo aver avuto il via libera dal sistema bancario (primo finanziatore è il Banco BPM), ha raccolto intorno a sé un buon numero di soci dalle competenze diversificate. Il management è molto snello ed è composto da professionalità molto diverse (commercialisti, architetti, tecnici, imprenditori) che apportano ciascuno le proprie competenze e differenti punti di vista.

- L’inventore del sistema di riciclaggio del tetrapak Roberto Lecce
L’EcoAllene ha destato l’interesse di grossi gruppi industriali che stanno testando il materiale nelle loro linee produttive e che hanno intenzione di passare a prodotti green.
Richaud assicura che quando poi gli oggetti in EcoAllene saranno scartati, rientreranno nel normale circuito del riciclo del polietilene, destinato ad essere utilizzato per applicazioni più semplici.
Il progetto è piaciuto molto al Corepla, il consorzio che in Italia si occupa della raccolta e del riciclo degli imballaggi in plastica, tanto che ha premiato Ecoplasteam nella competizione “Call for Ideas” per favorire l’estensione del progetto di riciclo anche ad ulteriori tipologie di imballaggi poliaccoppiati, come per esempio le capsule del caffè, le confezioni dei biscotti e delle patatine.
La cosa interessante è che Ecoplasteam, se tutto andrà per il verso giusto, dovrebbe essere un’azienda decisamente redditizia. L’impianto di Alessandria è costato 5 milioni di euro, e altrettanto costeranno gli altri due impianti in costruzione, quello in Austria e quello in Francia. Ognuno sarà in grado di produrre 6.000 tonnellate all’anno di EcoAllene, che sarà venduto a un prezzo leggermente più basso rispetto al polietilene prodotto con il petrolio, che oggi si aggira sui 1.000 euro a tonnellata. Si può quindi immaginare un fatturato a regime sui primi tre impianti di 18 milioni di euro, cui vanno aggiunti i soldi che Ecoplasteam incasserà in Francia e in Austria per il ritiro dalle cartiere del materiale di scarto. In Italia, invece, Ecoplasteam per ora deve pagare per ricevere il materiale.
“Il nostro business plan prevede un margine Ebitda fra il 20% e il 35% dei ricavi”, dice Richaud. E la prova che il business dovrebbe essere ben profittevole viene dalla risposta all’ultima domanda. Vi quoterete in Borsa? “Non credo: se Ecoplasteam riuscirà a generare i flussi di cassa previsti, sarà in grado di crescere senza necessità di aprire il capitale ad altri soci”.
fonte: https://it.businessinsider.com