Le microplastiche, in mare, si annidano dove il danno che possono arrecare è maggiore, e cioè in formazioni naturali che sono vere e proprie nursery per le larve e i pesci appena nati. Lì infatti si concentrano in quantità straordinariamente alte, ed essendo di dimensioni analoghe a quelle delle prede che i piccoli pesci iniziano a cercare (e cioè di 1 millimetro o meno di diametro), vengono inesorabilmente mangiate e assorbite, e iniziano a depositarsi negli organi in crescita. Questo il quadro, allarmante, che emerge da uno degli studi più completi mai condotti sull’argomento, nato da una collaborazione tra il NOAA’s Pacific Islands Fisheries Science Center statunitense, la Bangor University britannica e altri atenei americani, e pubblicato su PNAS.
In esso sono stati analizzati circa mille chilometri quadrati di costa al largo delle Hawaii, combinando i dati di un centinaio di piccoli satelliti con quelli provenienti dalle osservazioni in mare, per verificare localizzazioni e dimensioni di quelle che vengono chiamate surface slick, ovvero chiazze di superficie che si formano naturalmente per la convergenza delle correnti. Si tratta di zone nastriformi con caratteristiche diverse dall’acqua circostante, visibili anche dallo spazio e che, proprio per le loro particolari caratteristiche, diventano naturali luoghi di svezzamento per molte specie.
Il risultato è che le slick sono letteralmente piene di larve di moltissime specie – da quelle dei coralli, a quelle dei pesci di superficie, fino a quelli che una volta adulti vivono più in profondità – e del plancton di cui si nutrono, ma anche di microplastiche. In media, la densità di queste ultime nelle slick esaminate è risultata essere di otto volte superiore a quella rilevata nella grande isola di plastica dell’Oceano Pacifico, la cosiddetta Great Pacific Garbage Patch. Analizzando la concentrazione di un centinaio di campioni presi a strascico in queste aree, la stessa concentrazione è risultata essere 126 volte quella delle acque circostanti, mentre all’interno è risultata essere sette volte rispetto a quella delle larve di pesci. I quali, quindi, crescono accerchiati da un mare di plastiche, più che di acqua e nutrimento.
Anche dissezionando centinaia di piccoli pesci e larve (per lo più di specie commercialmente ricercate) il risultato è stato lo stesso: una parte di essi aveva ingerito microplastiche (8,6%), che si erano depositate nel loro organismo e da lì erano quindi pronte per entrare nella catena alimentare e arrivare fino all’essere umano. Non è un caso, quindi, se le si è ormai trovate nelle specie più disparate, dagli squaliformi al pesce spada, dai tonni agli uccelli marini.
Questo metodo di studio può essere applicato alle slick di tutto il mondo, e aiutare così a comprendere meglio la diffusione delle microplastiche, nonché i suoi effetti sui piccoli pesci che sono alla base di molte catene alimentari.
fonte: www.ilfattoalimentare.it