Dalle cozze alle acque potabili: le microplastiche sono ovunque. Ma mancano metodi standard per monitorarle

 

Ogni volta che si cercano, le microplastiche rispondono alla chiamata: sono praticamente ovunque. Alcune conferme sono arrivate nei giorni scorsi, in ambienti molto diversi che, però, giungono alle stesse conclusioni. Il primo, condotto dai ricercatori dell’Università di Bayreuth, in Germania, e pubblicato su Environmental Pollution, è relativo a quattro tra i tipi di cozze più consumati nel mondo: il Mytilus edulis europeo, il Perna canaliculus della Nuova Zelanda, il Parataes Ondulatus del sud est asiatico e il Venerupis philippinarum dell’Oceano Pacifico. I molluschi, prelevati in 12 paesi, sono tutti risultati contaminati.


In particolare, sono stati individuati nove diversi tipi di microplastiche, le più comuni delle quali erano il polietilene tereftalato (Pet) e il polipropilene (PP). In media, un grammo di polpa di cozze contiene tra 0,13 e 2,45 microparticelle (dal diametro molto variabile, compreso tra i 3 millesimi e i 5 millimetri), senza grandi distinzioni tra molluschi allevati e selvatici. Le più contaminate sono risultate essere le cozze del Nord Atlantico e del Sud Pacifico. Ciò che rende questo studio particolarmente utile rispetto ad altri del passato è il fatto che i campioni sono stati analizzati con una tecnica spettrometrica combinata con un algoritmo in grado di elaborare l’enorme quantità di numeri raccolti: questo può costituire un metodo standard anche per il futuro, per giungere a misurazioni tutte confrontabili, in qualunque parte del mondo si decida di effettuarle.

Due studi presentati nelle ultime settimane si sono concentrati sulle microplastiche nelle acque potabili

Quanto agli altri studi, presentati al meeting annuale virtuale della Society for Risk Analysis statunitense, le microplastiche, in questo caso, sono state trovate nell’acqua potabile della California e di New York. Nel primo caso i ricercatori del California State Water Resources Control Board hanno svolto le analisi in ottemperanza a quanto previsto da una legge statale del 2018, che imponeva di standardizzare la definizione delle microplastiche e i metodi per la misurazione nelle acque, monitorarne la presenza e definire dei limiti per la tutela della salute dei consumatori. I test hanno molto spesso rilevato la presenza di microplastiche, analogamente a quanto segnalato da un altro studio svolto a New York, nell’acqua potabile municipale.


Tuttavia, i dati dei diversi stati sono disomogenei e difficilmente confrontabili. Ciò che emerge, quindi, in primo luogo, è la necessità urgente di standardizzare i metodi di analisi, per poter capire meglio a che punto è la contaminazione. Una soluzione al problema potrebbe arrivare da quelli impiegati dall’Università di Rochester sull’acqua potabile di New York: l’utilizzo di nanomembrane di silicone si è infatti rivelato, in quel caso, un metodo economico e affidabile, utile anche per altri piccolissimi inquinanti.

fonte: www.ilfattoalimentare.it


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