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Pellicole alimentari non inquinanti, la ricerca del CNR

Una ricerca del Cnr per ottenere pellicole biodegradabili per uso alimentare










I consumatori stanno diventando gradualmente più attenti alla sostenibilità degli alimenti e l’acquisto del biologico è in crescita, c’è un altro aspetto che desta qualche perplessità ed è quello degli imballaggi. La distribuzione di prodotti alimentari confezionati con pellicole derivanti dalla plastica tradizionale produce grandi quantità di rifiuti plastici. Inoltre i prodotti biologici freschi hanno una shelf life più breve perché rapidamente deperibili, specie se sono confezionati in plastica tradizionale. Le bioplastiche per gli imballaggi sarebbero sicuramente preferibili perché sono compostabili e costituiscono un esempio di economia circolare.

Mario Malinconico, ricercatore dell’Istituto per i polimeri, compositi e biomateriali (Ipcb) del Cnr sottolinea che «la plastica di origine fossile si degrada in un arco temporale che può raggiungere i 1.000 anni, a fronte della plastica biodegradabile, che si degrada di almeno il 90% in sei mesi. Nel 2015 i prodotti plastici consumati nel mondo ammontavano a 322 milioni di tonnellate».

Un’interessante alternativa potrebbe essere il Modified Atmosphere Packaging (Map), una tecnica di conservazione utilizzata per prolungare la shelf life degli alimenti freschi o “minimally processed”: consiste nel modificare la composizione dell’aria che circonda l’alimento permettendo di allungarne la conservazione. Questa metodologia può essere applicata a prodotti quali la carne, la frutta e la verdura.

Dal Map è derivato Equilibrium Modified Atmosphere Packaging (Emap), un sistema di conservazione senza il ricorso all’uso di sostanze chimiche che trova l’applicazione ideale per prodotti che devono essere trasportati su lunghe distanze, ovvero nel caso delle esportazioni, del mercato alberghiero o del commercio al dettaglio. Emap utilizza pellicole traspiranti, trasparenti, che permettono di sigillare gli alimenti evitando la formazione di condensa.

Il mercato del biologico ricerca soluzioni sempre più sostenibili che al momento sembrano essere le pellicole biodegradabili. Esistono pellicole Emap che impiegano materie prime biodegradabili e amiche dell’ambiente che riescono a coniugare la qualità e la durabilità dei prodotti alimentari con la sostenibilità.

Il Cnr ha effettuato esperimenti su larga scala con il progetto europeo Hortibiopack, ed è ancora in corso la sperimentazione nell’ambito del progetto Biodegrapack del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali. I risultati sembrano incoraggianti: il nuovo sistema che impiega una pellicola in acido polilattico offre buone performance sia in termini di prolungamento della shelf life che di biodegradabilità, infatti può essere smaltito con i rifiuti umidi ed entrare nel circuito del compostaggio industriale.

fonte: www.rinnovabili.it

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Addio alla plastica, a Castelfranco la pellicola per cibi ora la fanno le api

Una “seconda pelle” per conservare gli alimenti ma che, a differenza della classica pellicola trasparente in plastica, è completamente naturale in quanto composta da fibra in cotone e cera d’api, e riutilizzabile mille volte. Si chiama Apepak ed è una idea innovativa che sta crescendo a Castelfranco grazie alla cooperativa sociale Sonda














CASTELFRANCO. Una “seconda pelle” per conservare gli alimenti ma che, a differenza della classica pellicola trasparente in plastica, è completamente naturale in quanto composta da fibra in cotone e cera d’api, e riutilizzabile mille volte. Si chiama Apepak ed è una idea innovativa che sta crescendo a Castelfranco grazie alla cooperativa sociale Sonda che nel suo laboratorio di San Vito di Altivole sta perfezionando questo prodotto grazie ai consigli dei volontari che stanno sperimentando a casa questa modalità di conservazione dei cibi. «Ci sono già alcuni prodotti similari – spiega la vicepresidente della coop, Francesca Amato – ma stiamo cercando di avere un prodotto quanto più ecologico possibile. L’idea ci è arrivata da un nostro amico negli Usa che ha registrato il marchio Apepak. Per noi però ha anche un’altra valenza: quella che questa produzione si trasformi in posti di lavoro per persone svantaggiate».

L’Apepak si presenta come un canovaccio in cotone, impregnato con olio di jojoba e appunto cera d’api. In questo modo diventa modellabile e permette di coprire interamente sia gli alimenti che i loro eventuali contenitori. «È ideale per frutta e formaggio – continua Francesca Amato – e in modo particolare per il pane perché permette che il contenuto respiri, pur conservandolo a lungo. Raccomandiamo invece di non usarlo direttamente a contatto con la carne che può rilasciare il sangue». Il test avviene nella vita quotidiana: molte persone (il gruppo chiuso in Facebook ne raccoglie una cinquantina) si sono prestate a fare da... cavie: a ognuna è stato inviato un campione di Apepak in cambio di osservazioni per migliorarlo. Quindi la palla passa a due operatrici della coop e a due lavoratori che provano le modifiche. Il vantaggio è quello di non usare la plastica, di avere un prodotto riutilizzabile e che alla fine del suo ciclo di vita non inquina. All’estero qualcosa di simile ha avuto un grande successo esclusivamente con il commercio on line. 
fonte: https://tribunatreviso.gelocal.it

Pellicole in plastica, si riciclano anche sporche grazie a un nuovo processo

BioCellection, una startup americana, ha sviluppato un processo chimico per riciclare film e pellicole in plastica sporchi o contaminati.





BioCellection, una startup americana, ha sviluppato un processo chimico per riciclare film e pellicole in plastica sporchi o contaminati. Con il nuovo sistema ideato dagli statunitensi, il materiale viene triturato senza la necessità di essere lavato, grazie a un catalizzatore liquido che non richiede che la plastica sia pulita.

Nel suo impianto in California, BioCellection gestisce un processo chimico per rompere i legami polimerici delle pellicole post-consumo e produrre una sostanza chimica che by-passa l’uso del petrolio. Miranda Wang, che ha fondato l’azienda con Jeanny Yao, fa sapere che nei test iniziali è stata raggiunta una conversione dei rifiuti plastici in prodotto fino al 70 per cento nel giro di 3 ore.

Il processo è semplice. Prima la plastica viene triturata e inserita in un contenitore di vetro, contenente un catalizzatore liquido trasparente a 120 gradi. In sostanza, quella di BioCellection è una tecnica di reflusso chimico per fornire energia alla reazione nel tempo. In primo luogo, la plastica viene triturata, dopo di che viene caricata in un contenitore di vetro, imbevuto di un catalizzatore liquido trasparente a 248 ° F. Essenzialmente, BioCellection impiega ciò che descrive come una tecnica di reflusso chimico per fornire energia alla reazione nel tempo.

Sono stati necessari centinaia di esperimenti prima di identificare il catalizzatore in grado di tagliare le catene polimeriche aperte per innescare una reazione a catena intelligente, a pressione atmosferica e a una temperatura che un bollitore d’acqua può gestire.

Una volta che il polimero si rompe in pezzi con meno di 10 atomi di carbonio, l’ossigeno dell’aria si aggiunge alla catena e forma acidi organici che possono essere raccolti, purificati e utilizzati per creare nuovi prodotti. I ricercatori americano ora stanno cercando di applicare il metodo anche ad altri tipi di plastica. E i risultati sulle plastiche rigide come il polipropilene e il polietilene tereftalato (il PET delle bottiglie per bevande) sono promettenti.

I californiani vanno anche oltre la ricerca pura. Nello stabilimento di BioCellection già a partire dall’anno prossimo entrerà in funzione una macchina in grado di triturare 5 tonnellate di plastica al giorno.


fonte: www.rinnovabili.it