Se si voga controcorrente, si fatica di
più e occorre un tempo maggiore per arrivare a destinazione. Alla lunga
l’acido lattico accumulato nei muscoli può addirittura impedire di
raggiungere la meta. Fuor di metafora, oggi sono in crescita gli
ostacoli che intralciano lo sviluppo delle rinnovabili (FER) e, al di là degli omaggi di prammatica, anche l’incremento dell’efficienza energetica (EE).
Incombono talmente su chi opera nei due settori, da concentrarne per
intero l’attenzione e impedirgli di alzare lo sguardo oltre il proprio
orticello, verso alcune tendenze allo stato nascente nei sistemi
economici-produttivi, per molti aspetti omogenee con quelle che
caratterizzano le FER e l’EE.
Se
queste tendenze si affermassero in modo sufficientemente esteso, anche
le prospettive dell’EE e delle FER sarebbero rafforzate in misura oggi
difficilmente immaginabile. Di qui l’importanza di approfondirne le
implicazioni e le potenziali sinergie.
Manifattura diffusa
La
sproporzione fra poche grandi imprese e la miriade delle PMI è di
solito considerata un’anomalia del sistema Italia. Potrebbe diventare il
suo punto di forza. La metamorfosi dal modo tradizionale di generare
informazione - centralizzato in giornali, radio, TV e gestito da
professionisti, quindi strutturalmente top-down – a una produzione
diffusa, dove gli attori sono double face, ora produttori, ora
consumatori di opinioni e di notizie, è già nozione largamente
condivisa; le divisioni, che non mancano, vertono sul giudizio che si dà
del fenomeno in termini sia politico–culturali (maggiore informazione o
informazione di qualità peggiore?), sia sociali (perdita di posti di
lavoro, crescita del precariato). Il medesimo processo sta mettendo a
rischio tutti i mestieri intellettuali di livello intermedio,
soprattutto se basati su modelli replicabili. Così in America Turbo Tax,
un programma informatico che compila automaticamente le dichiarazioni
dei redditi e costa appena 39 dollari, sta riducendo il ricorso ai
consulenti fiscali, diminuito del 17% in pochi anni.
Il
fenomeno non investe soltanto le attività a rilevante contenuto
intellettuale, direttamente soggette all’impatto dell’ITC. Anche per i manufatti tradizionali l’avvento delle stampanti 3D sta introducendo un’analoga rivoluzione, che ha già creato il suo neologismo. L’additive manufacturing (AM)
non è più una curiosità, come i primi prototipi che sfornavano alcuni
semplici prodotti di plastica. Le stampanti 3D possono ormai utilizzare
materiali come il titanio e sono in grado di produrre componentistica
pienamente funzionale, compresi meccanismi complessi: batterie, transistor, LED.
La Boeing le usa per realizzare duecento parti di dieci differenti
modelli di velivoli e aziende di prodotti medici se ne servono per la
produzione di arti artificiali.
La transizione alla manifattura diffusa
che, secondo una recente analisi della McKinsey (Daniel Cohen, Matthew
Sargeant, Ken Somers, 3-D printing takes shape), nel 2025 potrebbe
valere 550 miliardi di dollari, si dimostra
particolarmente conveniente nelle produzioni a elevata incidenza di
manodopera, ma sembra destinata a investire quasi tutti i settori
industriali, che in misura crescente saranno pertanto costituiti da
piccole unità sparse sul territorio. Molti dei prodotti di uso domestico
– piatti, posate, bicchieri, ma anche lampadine e abiti – tenderanno a
diventare produzioni artigianali, addirittura home made. D’altronde, già
oggi si sta pensando di dotare strutture come gli aeroporti e gli
ospedali di stampanti 3D per la produzione in loco dei pezzi di
ricambio, sulla base del software venduto dalle aziende fornitrici delle
relative macchine: pezzi che si realizzano solo quando servono.
Sempre secondo l’analisi della McKinsey, mentre nel 2011 solo il 25% del
mercato dell’AM riguardava la manifattura diretta del prodotto finale,
questa, con un tasso di crescita annuo del 60%, è attualmente il
segmento caratterizzato dal massimo sviluppo. Con i costi in continuo
calo, è praticamente scontato l’allargamento delle prestazioni delle
stampanti 3D a nuove applicazioni. La transizione alla manifattura diffusa, indotta dall’AM, è il terreno di coltura ideale della parallela diffusione della generazione di energia diffusa,
per alimentare le crescenti, in numero e in importanza, botteghe
artigianali high tech, distribuite entro le città, con il conseguente
potenziamento, anche qualitativo, delle reti energetiche di
distribuzione e delle microreti a livello locale.
Un’altra conseguenza dell’AM sarà la drastica diminuzione del trasporto di prodotti finiti dalle
grandi fabbriche ai centri di vendita e di qui ai consumatori. In
misura crescente le materie prime e i semilavorati arriveranno
direttamente alle manifatture locali, a loro volta limitrofe ai centri
di consumo.
Filiera corta
Economia circolare: questa la definizione scelta dall’AD di Philips, Frans van Houten, per descrivere un cambio di strategia dell’azienda,
che sarebbe più appropriato definire “cambio di paradigma”. Alle
imprese clienti Philips vende il servizio di illuminazione: pagano per
la luce che utilizzano e Philips si preoccupa degli investimenti e dei
rischi di una loro obsolescenza, provocati dall’entrata sul mercato di
nuove tecnologie. Gli impianti vengono sostituiti quando è il momento
appropriato per riciclare i materiali o riqualificarli
per il riuso. Più recentemente il servizio è stato esteso alle aziende
addette all’illuminazione pubblica. Quest’ultima viene automaticamente
ridotta quando il traffico è modesto, viceversa è per esempio aumentata
in occasione di partite di calcio in notturna. Queste innovazioni
consentono risparmi di energia elettrica fra il 50% e il 70%.
Secondo Frans van Houten:
"Il passaggio all’economia circolare impone a chi lavora in Philips un
cambiamento di mentalità. Non possiamo più pensare in termini di
prodotti progettati per essere scaricati sui clienti, dobbiamo
concepirli in modo che siano riqualificabili, di facile manutenzione, e
diventino la fonte da cui estrarre materiali e componenti
riutilizzabili. Dobbiamo ragionare con un orizzonte temporale di
quindici anni, non solo su 'adesso', il che richiede di analizzare
l’intero ciclo del prodotto, coinvolgendo i nostri fornitori e i nostri
venditori".
Uso efficiente
Secondo gli studi "Remaking the industrial economy" (febbraio 2014) e "Are you ready for the resource revolution?"
(marzo 2014), cofirmati da alti dirigenti della McKinsey, studi che
contengono riferimenti a casi concreti di applicazione dell’economia
circolare, solo così si può sperare di passare dall’attuale 1-2%/anno di
aumento della produttività nell’uso delle risorse
primarie al 50% ogni pochi anni; condizione necessaria per consentire di
soddisfare la crescita della loro domanda da parte di miliardi di
persone nei Paesi in via di sviluppo, senza rischiare rincari
insostenibili nei prezzi.
In tal modo sarebbero possibili:
- risparmi netti nell’uso di materiali, che potrebbero globalmente raggiungere 1.000 miliardi di dollari. Nella sola Unione Europea i risparmi annuali relativi a prodotti durevoli con una vita media moderata potrebbero essere di circa 630 miliardi di dollari. Il massimo beneficio si avrebbe nell’industria dei trasporti (200 miliardi $/anno);
- minori rischi nell’approvvigionamento: l’economia circolare, applicata al consumo di acciaio nelle industrie dell’automobile, degli altri mezzi di trasporto e del macchinario per lavorazioni meccaniche, nel 2025 farebbe risparmiare annualmente fra 110 e 170 milioni di tonnellate di minerali ferrosi, riducendo la volatilità dei loro prezzi;
- maggiori spinte all’innovazione: riprogettare materiali, sistemi e prodotti, in modo da utilizzarli in un ciclo chiuso, è un requisito fondamentale dell’economia circolare e rappresenta pertanto una gigantesca opportunità per innovare processi e prodotti, perfino nei settori normalmente considerati tecnologicamente maturi, come per esempio l’industria dei tappeti.
Si sta infine affermando una nuova generazione di robot,
capaci di manipolare anche piccoli componenti elettronici, di prelevare
e impacchettare singoli prodotti, che “imparano” direttamente dagli
addetti agli impianti, senza bisogno di essere programmati da tecnici
esperti. Questi robot, sempre più abili e a basso costo, capaci di
eseguire un’ampia gamma di compiti finora affidati all’uomo,
rappresentano un altro fattore favorevole all’ubicazione dell’attività manifatturiera in prossimità dei mercati a elevata domanda,
anche se lì i salari sono più alti. In tal modo al vantaggio della
vicinanza alla domanda si sommerà quello della prossimità a fornitori
tendenzialmente più innovativi.
Questi trend prefigurano trasformazioni dei sistemi produttivi
finalizzate a ridurre radicalmente la domanda di materie prime per
unità di prodotto, anche attraverso il riciclo/riuso, che provocheranno
un rilevante nextshoring, cioè il ritorno tendenziale delle produzioni in prossimità dei centri di consumo. Di qui un’ulteriore riduzione della domanda di energia nel settore dei trasporti, ma soprattutto nella trasformazione delle materie prime, che è prevalentemente effettuata in industrie energivore.
La biomimetica
Il
modello dell’economia circolare non nasce in un vuoto pneumatico; quasi
certamente la sua genesi è stata influenzata dal crescente interesse
per la biomimetica, una nuova branca della tecnologia
che si ispira alle soluzioni ‘inventate’ nel corso dei millenni
all’interno della biosfera. Anche se qualsiasi tentativo di definire la
tassonomia di un approccio scientifico così open corre il rischio di
essere fuorviante, si possono grossolanamente identificare due
principali filoni di sviluppo potenziale della biomimetica. Nel primo si
parte dall’osservazione di un fenomeno biologico e si
studia il modo per applicarne i meccanismi a un prodotto in grado di
svolgere le stesse funzioni di uno già sul mercato, ma con impatto
sull’ecosistema al limite nullo.
Per
esempio, i mitili utilizzano una soluzione collosa per restare attaccati
alle rocce anche in presenza di onde molto forti. L’analisi di questa
resina ha consentito la produzione di una colla priva di formaldeide,
che rappresenta una delle principali cause dell’inquinamento indoor.
Il secondo filone parte invece da un problema di progettazione e
cerca nel mondo naturale una soluzione meno impattante di quelle
disponibili sulla base delle conoscenze pregresse. Seguendo questo
indirizzo, l’architetto Pearce studiò il sistema di ventilazione dei
nidi delle termiti che, con alcuni accorgimenti ingegnosi, vi mantiene
la temperatura pressoché costante nonostante il caldo torrido diurno e
il fresco delle notti africane, e lo applicò all’Eastgate Centre di
Harare, nello Zimbawe, ottenendo un consumo energetico pari al 10% di quello del migliore sistema di raffreddamento tradizionale.
Biomimetica
ed economia circolare sembrano avere comuni ipotesi di lavoro, che si
rifanno ai criteri che regolano gli ecosistemi naturali: in natura non
esistono rifiuti, innanzi tutto perché di una risorsa si cerca di
utilizzare il massimo possibile, in secondo luogo perché ciò che è
scartato da un essere vivente lo utilizza qualcun altro. L’economia
circolare si limita però alla conservazione delle risorse
che utilizza, inevitabilmente mai al 100%. Viceversa la biomimetica non
si limita a conservare le risorse: le rigenera mediante processi a
cascata.
Riduzione della domanda
Secondo l’istituto di ricerca IHS:
«Quali sono le prospettive per l’industria degli autoveicoli in un
mondo in cui la popolazione esplode e le città si riempiono di nuovi
residenti? Una cosa è certa: il futuro sarà molto diverso da come
possiamo immaginarlo estrapolando il passato» (The future of urban mobility: Planning for disruptive change, 2014).
Nel 2035 circa i due terzi della popolazione (cioè 6 miliardi di
individui) vivranno in aree urbane. Oltre tutto la maggior parte delle
città cresceranno preferenzialmente in verticale, per cui il numero di
persone per unità di superficie aumenterà ancora di più. Se il tasso di motorizzazione continuasse
a crescere ai tassi storici, il traffico urbano non sarebbe più
gestibile. Già si avvertono i primi segnali del conseguente cambiamento
globale (vedi immagine di seguito).
A lungo termine:
- le congestioni del traffico, l’inquinamento, il costo dell’auto privata accentueranno l’utilizzo di modi di trasporto alternativi;
- la mobilità “digitale” tenderà a sostituire la mobilità personale;
- una cultura più sensibile ai valori ambientali porterà le giovani generazioni a privilegiare il car sharing;
- nei Paesi sviluppati l’invecchiamento tendenziale della popolazione ridurrà il numero di spostamenti e la loro lunghezza.
Queste tendenze andranno a sommarsi alla minore necessità di utilizzare mezzi di trasporto,
indotta dalla manifattura diffusa e dall’economia circolare. Sulla base
di queste linee di tendenza, IHS ha elaborato gli scenari riportati
nella figura di seguito.
Nello scenario ritenuto più realistico (new urban mobility), la domanda costante di automobili in presenza di veicoli più efficienti dovrebbe di per sé ridurre il consumo di carburanti.
Se a ciò aggiungiamo l’apporto crescente dei biocarburanti e della
mobilità elettrica, la domanda di benzina e gasolio avrà un trend
costantemente negativo. È oggi impossibile definire con sufficiente
precisione tempi e dimensioni dei cambiamenti qui delineati. Il fatto
che siano previsti da top manager di grandi imprese multinazionali, da
società di consulenza e di analisi non in odore di ambientalismo, e che
esistano sinergie reciproche, gioca indubbiamente a favore di un loro
successo. Questi sviluppi, caratterizzati da forti analogie con quelli
dell’EE e alle FER, contribuiscono a estendere la cultura (la
consapevolezza) dei vantaggi di uno sviluppo economico-produttivo:
- più decentrato, anche perché spesso sitodipendente;
- molto integrato orizzontalmente e verticalmente (processi a cascata);
- dove il produttore spesso coincide col consumatore;
- più attento all’uso delle risorse primarie;
- dove quindi il consumatore tende a diventare un utilizzatore;
- dove l’innovazione tecnologica tende a diventare biomimetica;
- dove decresce la domanda di energia nei trasporti.
A
parte le ovvie sinergie operative, l’EE e le FER ne trarranno vantaggio
soprattutto in termini di accettazione da parte dei soggetti economici e
dei cittadini, data la loro congruenza con la nuova cultura dello
sviluppo, sottesa a questi trend.
L'articolo di G.B. Zorzoli pubblicato sul n.3/2014 della rivista bimestrale QualEnergia.fonte: www.qualenergia.it