La
testimonianza del timoniere di Ecopneus, il principale operatore per la
raccolta e riciclo dei PFU. Le grandi potenzialità del settore si
scontrano con le difficoltà di tutti i giorni: il mercato nero,
l’eccessivo numero di operatori ed una normativa ancora inadeguata
Dare
una seconda vita ai rifiuti, anche a quelli che cercano di sfuggire al
mercato regolare e che, se non recuperati potrebbero finire per
danneggiare l’ambiente. Questo il lavoro che da anni porta avanti una
delle realtà d’eccellenza del riciclo italiano. Parliamo di Ecopneus, società senza scopo di lucro per il rintracciamento, la raccolta, il trattamento e la destinazione finale dei Pneumatici Fuori Uso (PFU),
creata dai principali produttori di pneumatici operanti in Italia. A
raccontarci questa realtà, i suoi obiettivi e le sue sfide è oggi
Giovanni Corbetta, Direttore Generale di Ecopneus.
Mauro Spagnolo: Direttore
Corbetta, Ecopneus è la realtà più performante in Italia nel settore
della raccolta e riciclo di PFU. Esattamente quale porzione di mercato
coprite con la vostra attività?
Giovanni Corbetta: Il 70% del mercato
nazionale. Ci dovremmo occupare, quindi, di raccogliere una quantità ben
definita, ma dobbiamo fare i conti con un fenomeno ben diffuso nel
nostro paese: il mercato nero.
MS: Nella pratica questo cosa significa?
GC: Se una buona percentuale di
pneumatici entra in Italia in nero si va a sommare, pur non risultando
ufficialmente, alla quota importata regolarmente. Accade quindi che,
nonostante noi si raccolga il target di legge, rimangono in giro degli
pneumatici che nessuno è tenuto a ritirare.
Pensi che nei quattro anni passati
abbiamo raccolto molto più di quanto previsto per legge, 10 mila
tonnellate in più il primo anno, 20 mila il secondo, 30 mila il terzo.
Così facendo abbiamo in qualche modo coperto l’anomalia continuando
l’attività, ma lo scorso anno, per colpa di questa maggior quantità
abbiamo chiuso il bilancio in perdita dato che i nostri ricavi sono
collegati alle vendite ufficiali. Il costo a tonnellata rimane basso, ma
se le tonnellate sono decine di migliaia in più…
Questo comunque è un problema del paese, non di Ecopneus.
MS: Mi faccia capire meglio: voi raggiungete il vostro target prima della fine dell’anno?
GC: Sì, infatti. Noi raggiungiamo il
target di nostra competenza già a fine novembre e potremmo smettere di
raccogliere in piena osservanza della legge. In questo modo, però, per
tutto il mese di dicembre, i gommisti non saprebbero chi chiamare in
quanto i nostri concorrenti solitamente si fermano prima di noi. Si
immagina lei che situazione disastrosa si creerebbe?
MS: Quanto nero transita nel nostro mercato?
GC: Qualcuno sostiene che nel mercato
italiano dei pneumatici esista un 20% di nero. Mi sembra una
percentuale esagerata in quanto gli pneumatici venduti in Italia
raggiungono le 430/440mila tonnellate, se fosse il 20% staremmo parlando
di quantità elevatissime. Ma la realtà, forse, non è troppo lontana da
questa stima. Si tratta comunque di una quantità enorme di prodotto che
deriva sia dal desiderio del consumatore di comprare pneumatici senza
pagare l’IVA, sia dalla volontà del venditore di “comprimere” il proprio
giro d’affari.
MS: Ma come può ancora accadere, in un’epoca di controllo digitale globale, un simile fenomeno?
GC: Tra il produttore ed il gommista che
vende al dettaglio ci sono 3 o 4 passaggi di pura distribuzione tra
commercianti che comprano e rivendono. In questi passaggi lavorano
coloro che sono capaci, attraverso manovre particolari, di contraffare o
far sparire documenti che accompagnano le partite di prodotti. Si legge
di triangolazioni basate su finte fatturazioni. Ad esempio per un
container diretto in Albania con regolare fattura, c’è un documento di
uscita falso. Ovviamente il container non arriva mai in Albania, la
merce non esce e dal quel momento accede al mercato nero. Si tratta di
un problema per noi davvero rilevante e mi auguro che presto sia
considerato di prioritaria importanza anche nell’agenda di governo.
MS: La raccolta e il riciclo dei
PFU in Italia sta diventando una componente sempre più importante della
green economy. Quali sono, a suo giudizio, le prospettive di crescita
e, eventualmente, i limiti di sviluppo del settore?
GC: Le caratteristiche dei materiali che
compongono lo pneumatico sono di tale valore da costituire una miniera
enorme di sostanze pregiate. Peraltro si tratta di materiali di
provenienza non italiana come, ad esempio, la gomma naturale che arriva
dall’oriente. Io non credo che, in prospettiva, si arrivi ad utilizzare
totalmente il materiale riciclato. In altri termini se tutta la quantità
di pneumatici che raccogliamo diventasse materia prima seconda
troverebbe completa applicazione in nuovi prodotti.
MS: Qual è la qualità più apprezzata nella materia prima seconda da PFU?
GC: Non esiste in natura altro materiale
che abbia caratteristiche di elasticità come quelle della gomma.
L’elasticità serve ad una pista sulla quale corre un atleta, per
proteggere dagli urti, per contenere le vibrazioni, per isolare dal
rumore e in tantissime altre situazioni. Son convinto che la gomma abbia
una inesauribile destinazione, ovviamente superando molte barriere che
ancora oggi frenano la sua applicazione: barriere culturali e barriere
normative che richiederanno ancora qualche anno di lavoro.
MS: A proposito dei numerosi
prodotti realizzati grazie al riciclo del PFU, mi faccia degli esempi
concreti per comprendere le potenzialità della filiera.
GC: Sono moltissimi. Iniziamo dal mondo
dello sport e dell’outdoor dove la gomma riciclata è ottimamente
utilizzata per realizzare campi di palla a mano, di palla a volo, di
palla canestro, football, piste di atletica, pavimentazioni di palestre e
in tutte quelle applicazioni in cui la superficie deve essere elastica
per attenuare lo sforzo all’atleta e, nello stesso tempo, ridurre il
danno in caso di cadute. Come può immaginare sono pochi gli sport che
non hanno bisogno di gomma. L’ultima nuova applicazione che abbiamo
realizzato è nel campo dell’equitazione. In un centro ippico appena
inaugurato a Todi, abbiamo utilizzato la gomma riciclata per i corridoi
delle stalle e per quelli che collegano le stalle alle piste esterne.
Utilizzare tappeti in gomma significa che l’animale, invece di muoversi
con prudenza su un fondo in cemento, che è sempre insidioso, marcia
spedito in quanto sente che il pavimento non lo fa scivolare.
Anche nei box abbiamo inserito una
pavimentazione realizzata con la gomma e il cavallo appare star meglio
rispetto al pavimento in legno o alla lettiera. Tra l’altro la gomma è
un materiale facilmente lavabile ed igienizzabile. E’ stata poi
utilizzata anche per le aree esterne, nei recinti dove l’animale salta e
galoppa, insomma laddove ci sia la sabbia mescolata a gomma abbiamo
riscontrato che l’animale si muove meglio e in maggior sicurezza.
Inoltre in tal modo si evita di bagnare continuamente la sabbia per
evitare la polvere. Basandoci sull’impianto di Todi stiamo studiando,
con l’università di veterinaria di Perugia, i benefici sul cavallo sia
dal punto di vista motorio, sia dal punto di vista polmonare. Le
difficoltà sorgono nel superare i pregiudizi su un materiale mai
utilizzato prima in quel contesto. Quindi bisogna spiegare, far vedere,
dimostrare, insomma una bella fatica per sostenere una grande novità.
Noi contiamo che nel giro di un paio di anni queste applicazioni possano
espandersi notevolmente.
MS: Mi pare anche nel settore dell’isolamento ci siano interessanti applicazioni…
GC: Certo, si tratta di un altro
interessante settore applicativo, quello dell’isolamento dalle
vibrazioni e dell’isolamento acustico. La gomma è un materiale che
attenua la vibrazione, sia quella generata meccanicamente, sia quella
generata da onde acustiche. Partiamo dalle applicazioni più
tradizionali. Ad esempio: stendere, sotto le piastrelle di un pavimento,
un tappetino di 2-3 mm di gomma riduce drasticamente la trasmissione
del rumore dal piano superiore al piano inferiore. Molti ancoraggi di
macchinari negli stabilimenti sono su supporti in gomma per fare in modo
che la vibrazione della macchina non si trasmetta all’edificio. Infine,
più recentemente, da un’idea nata da un’impresa siciliana, la
realizzazione di una traversina ferroviaria composta da cemento armato
tradizionale racchiuso in un guscio di gomma plastica.
In tal modo la traversina ha la
capacità di attenuare le vibrazioni trasmesse dal passaggio del treno
evitando di inserire sotto ai binari il consueto tappetino in gomma.
Inoltre sul guscio si possono inserire sensori o altri impianti che
rendono la traversina utile anche per ulteriori necessità, ad esempio
segnalare il passaggio del treno oppure, inserendo cellule
piezoelettriche, produrre energia elettrica ad ogni passaggio di una
ruota.
MS: Anche nel settore delle opere civili è possibile utilizzare componenti da riciclo di PFU…
GC: In effetti abbiamo una terza area di
applicazione: il mondo delle costruzioni. In tal senso l’applicazione
attualmente più riuscita è nel settore stradale: mettendo polverino di
pneumatico a fine vita mescolato nel bitume per la stesa del tappetino
di usura si ottiene una strada con una vita due o tre volte maggiore
rispetto ad una senza polverino, con un abbattimento del rumore di 5-6
decibel e con una migliore tenuta rispetto a frenate e sterzate
brusche. In questo caso l’utilizzo del polverino conferisce una
caratteristica alla strada irraggiungibile diversamente.
MS: Parliamo adesso di leggi.
Quali sono, a suo giudizio, le migliorie normative che potrebbero essere
apportate per promuovere al meglio il riciclo dei PFU?
GC: Partirei da un esempio: in Italia
abbiamo una normativa che prescrive alla pubblica amministrazione di
spendere il 30% del suo ammontare di spesa acquistando prodotti
realizzati con materiale riciclato, ma non c’è sanzione ed è quindi una
legge disattesa. Questo è un tipico esempio di normativa che c’è, ma non
funziona. Un’altra legge che sarebbe necessaria è quella che chiarisca,
una volta per tutte, quando il rifiuto, dopo le lavorazioni, non è più
tale ed è diventato materia prima seconda. Oggi questo passaggio da
rifiuto a materia prima seconda avviene su basi di autorizzazioni
provinciali, non sempre riconosciute a livello nazionale. Quindi una
normativa nazionale sulla fine vita del rifiuto è essenziale ed urgente,
tra l’altro favorirebbe l’impiego di materie prime seconde e, nello
stesso tempo, renderebbe un po’ più severo l’abuso del rifiuto.
MS: E le norme che regolano l’attività dei consorzi…
GC: Infatti, altro problema. Si tratta
di norme che possono essere ottimizzate, pur già esistendo. Alcuni
consorzi sono diventati delle macchine per far quattrini, mentre in
realtà il consorzio dovrebbe essere un soggetto lontano da forme di
business, con il ruolo di controllare e di monitorare il settore. Se
invece il consorzio pratica anche attività commerciali, come la vendita
di prodotti riciclati, è chiaro che nasce un interesse che può
contrastare con quello ambientale.
MS: Dall’esterno, infatti, si
percepiscono difficoltà di convivenza tra i vari operatori. Quali sono,
nella pratica, le criticità della vostra attività?
GC: Il ruolo dei consorzi è di
pianificare, monitorare e sorvegliare la raccolta del PFU. E’ giusto
che non ci sia un gestore unico nazionale, ma siamo arrivati ad essere
70 consorzi autorizzati: sono troppi e questo genera più situazioni di
malaffare che di corretta gestione.
fonte: http://www.rinnovabili.it