«I termovalorizzatori, due o sei che siano,
condizionerebbero negativamente tutta la gestione dei rifiuti in Sicilia per
decenni e impediscono di parlare delle vere e possibile alternative». Rifiuti Zero, l'associazione ambientalista
che predica il verbo della differenziata, snocciola dati per spiegare perché
gli impianti di incenerimento chiesti
dal governo nazionale e accettati, dopo qualche iniziale resistenza, da
quello regionale, rappresentano un male per la Sicilia.
Sono
700mila le tonnellate di rifiuti da trasformare in cenere, cioè circa il
30-35 per cento della spazzatura prodotta nell'Isola. Ed è innanzitutto questo
numero che, secondo l'associazione, rappresenta un grosso limite. «Nel piano
regionale dei rifiuti recentemente reso pubblico - spiega il presidente
regionale Danilo Pulvirenti -,
insieme ai termovalorizzatori, si parla anche di politiche di riduzione a
monte, cioè case per il compostaggio,
isole ecologiche e porta a porta. Le due cose non possono stare insieme,
perché se davvero miglioreranno queste pratiche, la quota di rifiuti da
smaltire diminuirà sensibilmente, e allora 700mila tonnellate non saranno più
il 30-35 per cento, ma rappresenteranno il 40-45 per cento». Perché questo
cambiamento può diventare un problema? «Se
un termovalorizzatore è costruito per bruciare 350mila tonnellate deve
funzionare a pieno regime, altrimenti diventa antieconomico. Di
conseguenza il rischio è che i Comuni siano costretti a tirare il freno a mano
sulla differenziata, per consentire agli impianti di avere sufficiente
combustibile, cioè carta e plastica da bruciare, perché sono proprio questi i
materiali che finiranno nei termovalorizzatori, oltre ad altri rifiuti
anche pericolosi che portano alla formazione delle pericolosissime diossine».
Due mondi insomma, quello degli inceneritori e
quello delle politiche di riduzione a monte, che sono stati incastrati insieme
nel piano regionale dei rifiuti, ma che confliggono tra loro. In più, fa notare
Pulvirenti, resterebbero alti i costi sulle spalle dei Comuni. «Bruciare una tonnellata di spazzatura costa
tra i 100 e i 120 euro, prezzo che non si discosta molto da quello per
conferire in discarica. Ovviamente ad arricchirsi sarebbero sempre i
privati che in più guadagnano tramite il meccanismo degli incentivi che
dovrebbero andare alle energie rinnovabili e invece sono destinati alle
assimilate, cioè anche agli inceneritori. Bisognerebbe modificare la normativa,
basterebbe eliminare la parola assimilate».
Un ruolo fondamentale nel progetto di Rifiuti
Zero è svolto dall'impiantistica. Non certo inceneritori, ma centri per il compostaggio. La
frazione umida rappresenta circa il 40 per cento di tutta la spazzatura
prodotta in Sicilia. Secondo gli ultimi dati contenuti nel piano regionale, se
la differenziata raggiungesse il 65 per cento, ci sarebbero 1 milione 84mila 700 tonnellate di rifiuto
umido da mandare nei centri di compostaggio. Impianti che però al
momento non esistono in numero sufficiente. Quelli esistenti e funzionanti - in
totale nove, di cui due privati e sette
pubblici, sparsi tra Palermo, Catania, Agrigento, Trapani ed Enna -
riescono a smaltire appena 193mila
tonnellate. Nei prossimi quattro anni quindi è prevista la realizzazione
di impianti capaci di trasformare oltre 900mila tonnellate di umido. «Considerando
che il costo di conferimento in un centro di compostaggio è di circa 85 euro a
tonnellata, i Comuni comunque risparmierebbero rispetto alle spese della
discarica o del termovalorizzatore. In più - conclude - quello che resta dalla
differenziata sarebbe rivenduto ai privati. Per una tonnellata di carta si ricavano 200 euro, per la plastica 250
euro, per l'alluminio anche 400 euro. Il giro d'affari delle materie
post consumo è da capogiro».
Eppure i segnali positivi non mancano. «Il governo Renzi sembra dissociato -
spiega il presidente di Rifiuti Zero -, perché da un lato parla di
termovalorizzatori, dall'altro, nel collegato ambientale alla finanziaria
nazionale inserisce una forte e positiva semplificazione delle norme: ai
sindaci è permesso di implementare nuove iniziative. Ad esempio agriturismi o
ristoranti potranno fare compostaggio, cosa che fino a ora era riservata alle
utenze domestiche, e in cambio il Comune può prevedere sgravi fiscali. O ancora
dentro le isole ecologiche possono
nascere zone per il riuso e lo scambio dei materiali ingombranti,
come sedie ed elettrodomestici, azioni che possono essere affidate anche ad
associazioni. Cose semplici ma fondamentali in termini di partecipazione della
cittadinanza, come a Ferla». Il
Comune siracusano è un esempio virtuoso per le sue innovative politiche sui
rifiuti. «Crocetta perché non chiede al sindaco di Ferla come ha fatto? -
continua Pulvirenti - È anche del suo stesso partito, il Pd. Invece non c'è
confronto, né con gli amministratori locali, né con le associazioni. Avevamo
suggerito un tour tra le realtà vituose dell'Isola, perché non è vero che noi
siciliani abbiamo la lebbra o rifiutiamo le buone pratiche e tante esperienze
positive lo dimostrano».
fonte: meridionenews.it