Coi rifiuti avrebbero impastato mattoni. Usando circa 250 tonnellate di
pozzolana mista a inerti. Alimentando un affare sporco che sarebbe
andato avanti dal gennaio 2014 all’ottobre 2015, movimentando centinaia
di migliaia di euro. Sarebbero stati sfornati laterizi che si
sbriciolano e non tengono il peso. Coi quali sarebbero state costruite
case e ville. Lo scandalo è scoppiato nella martoriata Terra dei fuochi.
I rifiuti sarebbero stati scaricati nelle cave di Giugliano, nel
Napoletano, e poi la pozzolana sarebbe stata venduta al cementificio
Moccia, nel Casertano. Ma anche altrove. Ieri il blitz di carabinieri
del Noe e polizia provinciale di Napoli. Quattordici arresti tra
imprenditori e loro collaboratori. E altri quattro obblighi di dimora.
In totale 39 indagati. Ma sono state eseguite perquisizioni anche in
stabilimenti in Sicilia (Catania, Isola delle Femmine) Puglia (Foggia),
Basilicata (Matera) e Lombardia (Bergamo). Anche loro avrebbero
impastato la miscela scadente.
L’indagine è stata coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia
della Procura partenopea, dall’aggiunto Filippo Beatrice. L’hanno
portata avanti i carabinieri del Noe di Caserta e la polizia provinciale
del capoluogo campano. Ma l’operazione è anche una delle ultime che
porta la firma del colonnello Ultimo (Sergio De Caprio) e del maggiore
Pietro Rajola Pescarini. Tutto è partito da una denuncia anonima
protocollata dal Noe Casertano nell’ottobre 2014. Con la lettera c’era
anche un dvd col video delle targhe dei camion che trasportavano carichi
di pozzolana irregolare destinati alle cave di Giugliano: San Severino e
Neos. I carabinieri hanno messo i telefoni sotto controllo, documentato
gli incontri tra le persone sospettate e gli spostamenti dei mezzi. E
hanno scoperto che nel giro ci sarebbero stati non solo imprenditori,
alcuni loro collaboratori-parenti, ma anche trasportatori dei camion e
la società Omega che avrebbe dovuto garantire la regolarità dei carichi e
invece avrebbe dichiarato il falso. Oltre un centinaio di volte.
Infatti le misure cautelari riguardano, tra gli altri, Toni Gattola,
titolare della ditta di consulenza ambientale, tre componenti della
famiglia Liccardi della Eu.Sa. edilizia, i gestori della cava San
Severino ricomposizioni ambientali (Massimo Capuano, Enrico Micillo,
Gennaro Pianura), e l’imprenditore della Tevin (Crescenzo Catuogno,
detto "Motosega"), e quelli della Neos (Biagio Illiano, Antonio e Luigi
Carannante), insieme a collaboratori e dipendenti delle imprese
coinvolte nell’indagine. Su Crescenzo Catuogno alcuni collaboratori di
giustizia hanno messo a verbale che sarebbe «un uomo del clan
Polverino». Ma secondo il giudice le dichiarazioni «non sono idonee a
fondare la sussistenza della necessaria gravità indiziaria».
L’8 aprile 2015, Biagio Illante, titolare della cava Neos, chiama la
sorella Teresa e ammette: «Abbiamo fornito pozzolana mista a materiale
riciclato... questi hanno avuto diciamo dei danni ai mattoni... Siccome
là sono unico fornitoreeee ieri sono andato a Benevento e quindi
praticamente la cosa è visibile. Si vede».
Teresa: «Ma tu lo sapevi?».
Biagio: «Sì, sì, eeeee».
fonte: http://www.iltempo.it/