Cobalto, neodimio, platino, indio e gallio sono alcune delle materie prime “critiche” sempre più utilizzate nelle energie rinnovabili, dall’eolico al fotovoltaico, passando per le batterie di accumulo.
Ne avevamo parlato più volte su QualEnergia.it (ad esempio in un articolo del 2013 e nel 2016).
In questi giorni è partito un nuovo progetto europeo, SCRREEN (Solutions for Critical Raw Materials - European Expert Network)
finanziato nell’ambito di Horizon 2020 con tre milioni di euro. I
trenta partner coinvolti, tra cui ENEA, raccoglieranno le migliori
esperienze della ricerca scientifico-tecnologica.
Abbiamo approfondito il tema con Giovanni Di Girolamo, esperto ENEA di tecnologie e processi dei materiali per la sostenibilità.
Di Girolamo, ci spieghi come si fa a decidere se una materia prima è “critica” oppure no.
In
linea di massima, la valutazione sulla “criticità” di una materia prima
si basa su due fattori: importanza economica e rischi di
approvvigionamento. La criticità però è un concetto mobile, che cambia
nel tempo secondo le condizioni del mercato e l’evoluzione tecnologica
(nuovi prodotti, nuovi processi). Negli anni può crescere o diminuire il
consumo di un certo materiale per produrre determinati beni, può
cambiare la situazione geopolitica dei paesi fornitori. Così un elemento
che oggi non è critico, ad esempio l’alluminio, potrebbe diventare
critico in futuro.
L’Europa quando ha iniziato a porsi il problema?
In
Europa la discussione sulle materie prime critiche si è intensificata
4-5 anni fa, quando le istituzioni si sono rese conto che i nostri paesi
non possiedono giacimenti tali da garantire la domanda di queste
risorse per i vari utilizzi. Nel 2010 è uscita una prima lista con 14
elementi ritenuti critici; quattro anni più tardi sono stati aggiunti 6
materiali. Nel 2017 è prevista la pubblicazione di una nuova lista.
Quali direzioni sta seguendo la ricerca scientifica in questo campo?
Siamo
su più fronti: il primo è adottare soluzioni tecniche che consentano di
migliorare i processi d’estrazione mineraria e di lavorazione, ad
esempio riducendo i consumi d’energia e acqua. Il secondo punto
d’interesse è cercare materiali alternativi a basso costo, che però
abbiano prestazioni analoghe o superiori a quelle degli elementi “a
rischio”. Il terzo punto è il riciclo: raccogliere gli scarti delle
lavorazioni e i prodotti a fine vita, individuare i materiali critici,
classificarli e recuperarli mediante processi di tipo metallurgico.
Concentriamoci sulle energie rinnovabili: quali sono le materie critiche maggiormente utilizzate?
Le
materie prime critiche hanno un ruolo fondamentale in moltissimi
settori, dall’aeronautica all’elettronica di consumo e anche nelle
energie rinnovabili. Qualche esempio: il neodimio nei magneti permanenti
delle turbine eoliche, il silicio nella maggior parte dei pannelli
fotovoltaici, l’indio e il gallio nei moduli solari a film sottile, la
grafite e il cobalto nelle batterie allo ione di litio. Per il silicio
al momento non ci sono grossi problemi di approvvigionamento futuro ma,
come specificavo all'inizio, tutto dipende dall'uso che se ne farà.
Dove si trovano questi elementi così rari e preziosi?
Per
quanto riguarda il fotovoltaico, la Cina è il maggiore produttore
mondiale di gallio, germanio e indio con il 60-70% degli
approvvigionamenti complessivi, oltre a fornire il 56% del silicio.
Passando alle batterie, il Congo è un importante paese produttore di
cobalto; per il lantanio e le terre rare, invece, l’Europa dipende dalla
Cina, ma si stanno esplorando alcuni giacimenti in Lapponia e altri
territori del Nord. Se guardiamo ai magneti permanenti per le turbine
eoliche e le auto elettriche, la Cina è sempre il principale fornitore
di terre rare leggere (87% del totale), tra cui il neodimio. Per le
celle a combustibile, invece, sono Russia e Sudafrica a produrre grandi
quantità di materiali usati nei catalizzatori, come il platino e altri
metalli del suo gruppo.
L’eolico per esempio quali problemi si trova di fronte?
Nell’eolico
c’è il problema della criticità dei materiali usati nei magneti
permanenti, perché si prevede un incremento sostanziale del mercato e al
momento non esistono valide alternative. Il riciclo appare la soluzione
attualmente percorribile, costo del processo permettendo. Stando ai
dati europei riferiti al 2012, l’eolico nel nostro continente consumava
330 tonnellate annue di neodimio e 34 di disprosio, rispettivamente il 2
e 7% della produzione globale.
Per
le batterie di accumulo elettrochimico è atteso un fortissimo sviluppo,
legato a diverse applicazioni, dalla mobilità elettrica allo storage
residenziale. Ci sono delle novità all’orizzonte?
Qui
le maggiori novità sono connesse all’eventuale, ma non scontata,
sostituzione del cobalto e allo sviluppo di batterie di nuova
generazione. Molto dipenderà dall’effettiva diffusione delle automobili
elettriche e dalle strategie seguite dalle aziende per il
riciclo-recupero delle batterie a fine vita. Sempre a titolo di esempio,
nel 2012 il consumo di cobalto per produrre batterie di accumulo
elettrico ammontava a circa 21.000 tonnellate, pari al 37% della
produzione globale.
In quali casi conviene puntare alla sostituzione di un materiale con un altro?
Allo
stato attuale, la sostituzione interviene quasi esclusivamente quando
l’attività mineraria e il riciclo non sono in grado di soddisfare il
fabbisogno richiesto. Voglio sottolineare che questo tema va visto da un
punto di vista funzionale, quindi non solo la sostituzione di un
materiale, ma anche di prodotti, processi o servizi. Oggi per molti
materiali la sostituzione è possibile solo a costi maggiorati o con
minori performance. Per il fotovoltaico una delle alternative sembra
essere il film sottile a base di telluro di cadmio (CdTe, ndr).
Il riciclo è una strada percorribile per ridurre i rischi futuri di approvvigionamento?
È
importante progettare i prodotti secondo le norme dell’ecodesign e
prevedere già in partenza come e cosa riciclare, trattando i prodotti a
fine vita in modo tale da recuperare le frazioni di interesse,
solitamente con processi di tipo piro o idro-metallurgico. Per esempio,
consideriamo che al momento solo il 5% delle batterie è riciclato e che
esistono processi per recuperare da esse molti elementi.
fonte: www.qualenergia.it