Previste ispezioni sistematiche sui rifiuti transfrontalieri presso stabilimenti, imprese, intermediari e commercianti, che vedranno coinvolti Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia stradale, Capitanerie di porto e Agenzia delle dogane.
Un quarto dei rifiuti che circola all’interno della Comunità Europea viola la regolamentazione sui rifiuti transfrontalieri. È il grido d’allarme della Commissione Europea che denuncia una situazione non solo di incerta applicazione degli standard di tutela ambientale nelle operazioni di smaltimento e recupero in determinati Paesi, ma anche di forte disallineamento tra legislazioni di Stati diversi. Il tutto a quasi 30 anni dalla stipula della Convenzione di Basilea,
primo vero atto normativo sul trasporto transfrontaliero di rifiuti
pericolosi al quale peraltro la Comunità ha aderito solo nel 1993 con la
decisione del Consiglio 93/98/Cee. Il primo vero atto legislativo di
regolamentazione è arrivato però a distanza di di 13 anni, con il
regolamento 1013/2006/Ce, che ha previsto una sorta di doppio regime
autorizzatorio a seconda che i rifiuti oggetti di spedizione siano non
pericolosi e destinati a recupero – nel cui caso è sufficiente un
semplice atto informativo – o rifiuti pericolosi e/o destinati a
smaltimento, per i quali si rendono necessarie una notifica e
un’autorizzazione preventiva. A fronte dei forti margini di illegalità,
la Commissione Europea è corsa ai ripari emanando il più recente regolamento 660/2014/Ue,
che, tra le varie modifiche al precedente 1013/2006/Ce, ha previsto
l’obbligo per gli Stati membri di istituire, con efficacia a partire dal
1° gennaio 2017, un piano ispettivo in grado di stimare quali siano le
spedizioni da sottoporre preventivamente a controlli e il numero di
controlli minimi sul territorio di ogni stato membro.
Il legislatore italiano, in adeguamento a questa disposizione, ha emanato il decreto del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare 22 dicembre 2016 che ha introdotto alcune misure tra quelle richieste dal regolamento 1013/206/Ce nel nostro ordinamento.
Innanzitutto, il provvedimento
identifica i flussi di rifiuti oggetto di particolare attenzione in
termini di controllo da parte sia del Paese di invio che di quello di
destinazione, in funzione del codice Cer e, di conseguenza, delle
potenziali rischi legati al trasporto.
Altro tema è quello delle ispezioni da
effettuare presso stabilimenti, imprese, intermediari e commercianti in
merito alle autorizzazioni per la gestione dei rifiuti e all’idoneità di
siti e impianti. I controlli, che possono essere effettuati da una
nutrita serie di autorità (Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia
stradale, Capitanerie di porto e Agenzia delle dogane), avranno il
compito di verificare questioni amministrative (ad es. iscrizione
all’albo gestori ambientali) piuttosto che tecniche (ad es. stato degli
imballaggi), ma potrebbero anche tenere conto di altri regimi ispettivi
già applicati come quelli previsti dall’Aia.
Tutti i dati raccolti a livello
nazionale confluiranno poi in un unico database dedicato che servirà
alle autorità di controllo non solo per monitorare la situazione di
ciascuna realtà, ma anche per pianificare al meglio le attività ed
evitare duplicazioni inutili nei controlli.
Inoltre, questi dati, unitamente a
quelli emersi da attività esterne al piano che possono essere state
condotte da organismi di vigilanza a competenza locale (ad es.
Arpa/Appa), saranno inviati annualmente alla Commissione Europea per
essere poi resi di dominio pubblico, come espressamente previsto dal
regolamento 1013/206/Ce.
fonte: http://nonsoloambiente.it/