Il 78% dell’elettricità francese è prodotta dalle centrali nucleari, ma
il governo ha adottato una strategia per portare questa quota al 50%
entro il 2025. Intanto si riapre il dibattito dopo l’esplosione
all’impianto di EDF di Flamanville e le spese fuori controllo del
colosso elettrico d’Oltralpe
L’industria nucleare è tornata a far parlare di sé. A fine gennaio,
EDF, l’azienda elettrica francese proprietaria di tutti gli impianti
nucleari attivi nel Paese, ha deciso di iniziare il lento processo che
dovrebbe portare a una progressiva denuclearizzazione delle forniture
elettriche d’Oltralpe. Attualmente il 78% dell’elettricità francese è
prodotta da fonte nucleare, ma il governo ha adottato una strategia per
portare questa quota al 50% entro il 2025. Pilastro della strategia è il
limite alla potenza installata. Quindi, in previsione dell’attivazione
del nuovo impianto di Flamanville, era necessario scegliere quale altro
impianto disattivare. EDF ha cercato di resistere lungamente alle
pressioni governative ma ha poi dovuto cedere, decidendo così di spegnere definitivamente l’impianto di Fessenheim, vicino al confine tedesco e non lontano da quello svizzero.
L’impianto di Fessenheim, 40 anni ad aprile, è il più antico tra
quelli attualmente attivi. Sembra che proprio le pressioni
internazionali (in particolare del governo tedesco) siano risultate
decisive, dimostrando per l’ennesima volta come l’industria nucleare,
nel bene e nel male, dipenda esclusivamente dalle decisioni politiche e
non da quelle di mercato.
E proprio nel sito di Flamanville il 9 febbraio è avvenuto un incidente importante,
anche se tutte le autorità escludono rischi di contaminazione
nucleare. A Flamanville, in Normandia, è anche in costruzione un
impianto che sarà tra i primi al mondo ad adottare la tecnologia EPR,
insieme a quello di Olkiluoto, in Finlandia. La tecnologia EPR è quella
che avrebbe adottato Enel qualora il piano di sviluppo del nucleare in
Italia non fosse stato cancellato dal referendum del 2011. Gli impianti
in costruzione in Francia e in Finlandia hanno subito nel tempo pesanti
ritardi (Olkiluoto doveva essere completato nel 2009, Flamanville nel
2014, saranno probabilmente completati entrambi a fine 2018) oltre che
enormi aumenti dei costi di realizzazione. Da 3 a 8,5 miliardi di euro
per ciascun impianto.
L’incidente di ieri non riguarda l’impianto in costruzione ma quello
esistente, attivo dal 1986. Peraltro, la sicurezza nucleare in Francia è
tornata agli onori delle cronache fin dal 2015, quando proprio
nell’impianto EPR in costruzione vennero rilevate pesanti irregolarità nell’acciaio utilizzato per i nuovi reattori. In seguito a questi test, l’Autorità nazionale di controllo decise di togliere dalla produzione due terzi dei reattori attivi per procedere a verifiche di sicurezza.
“La situazione peggiore di sempre” per l’industria nucleare francese, come ebbe a dichiarare a novembre Gérard Magnin, già consigliere di amministrazione di EDF. Per questo motivo nell’autunno 2016 l’Italia dovette annullare
le importazioni di elettricità dalla Francia, con conseguenti aumenti
nelle bollette di tutti i consumatori. Continua l’eterno destino del
nucleare, tra promesse mancate, costi che salgono, standard di sicurezza
sempre più rigidi e problemi irrisolti. Come quello delle rovine
dell’impianto di Fukushima, dove all’inizio di febbraio la prima ispezione dei reattori compromessi, effettuata con robot comandati a distanza, è stata terminata prima del previsto a causa dell’altissimo livello di radiazioni, inaspettato.
I Paesi dov’è presente il maggior numero di reattori stanno definendo
i loro piani di dismissione. I pochi impianti in costruzione hanno
problemi e dove si progettano nuovi impianti, come recentemente nel Regno Unito, lo si fa a prezzi fuori mercato e solo per i forti legami tra industria nucleare e industria bellica.
Fortunatamente però non siamo più negli anni 80 e ormai le
rinnovabili sono pronte in tutto il mondo a mantenere le promesse che il
nucleare non è riuscito a realizzare.
fonte: www.altreconomia.it