Rinnovabili: il futuro dei sistemi di accumulo è l’acqua













Arriva dai laboratori della SEAS (Harvard John A. Paulson School of Engineering and Applied Sciences) un nuovo tipo di batterie di flusso in grado di immagazzinare energia all’interno di molecole organiche dissolte in acqua con pH neutro.
Un’innovazione che, un giorno non troppo lontano, potrebbe consentire di creare dispositivi per l’accumulo non tossici né contenenti liquidi corrosivi, caratterizzati inoltre da un ciclo vitale parecchio esteso rispetto a quelli attuali. Anche i costi di produzione potranno essere significativamente ridotti e in caso di fuoriuscite non si verificherebbero danni alle strutture circostanti. Lo studio è stato pubblicato da ACS Energy Letters.

Le batterie di stato hanno la capacità di immagazzinare energia all’interno di soluzioni liquide contenute in serbatoi: il loro volume è direttamente proporzionale alla carica massima accumulabile. Si tratta di una soluzione potenzialmente rivoluzionaria per quanto riguarda l’utilizzo in accoppiata con gli impianti di generazione da fonti rinnovabili, che consentirebbe di tagliare in modo decisivo il quantitativo di energia sprecata durante i momento in cui la produzione tocca il suo picco (si pensi ad esempio al fotovoltaico e all’eolico).

Oggigiorno questo tipo di batterie richiede una manutenzione periodica, per ristabilire il livello dell’elettrolita contenuto, che inevitabilmente va incontro a un processo di degrado causato dai cicli di carica. L’intuizione dei ricercatori della SEAS entra in gioco proprio qui: modificando la strutture delle molecole presenti negli elettroliti e rendendole solubili in acqua, si arriva a perdere solo l’1% di efficienza dopo 1.000 cicli di utilizzo.
Il segreto è rappresentato dall’utilizzo del ferrocene per l’elettrolita positivo e dall’ottimizzazione della struttura dei viologeno in quello negativo, quest’ultimo identificato come il principale responsabile del deterioramento.
Al momento il team è al lavoro con l’Office of Technology Development di Harvard per siglare le prime collaborazioni con realtà industriali, così da poter ottimizzare la tecnologia sviluppata, in particolare ottimizzando l’interazione tra la membrana e l’elettrolita.

fonte: http://www.greenstyle.it