Come trattare le batterie al litio esaurite?
Molte volte ci siamo posti questa domanda, sulla scia del previsto boom
delle diverse applicazioni per i dispositivi di accumulo
elettrochimico, in particolare l’auto a zero emissioni e lo storage
residenziale o a livello di rete.
Così abbiamo approfondito, citando differenti studi, il riuso vs riciclo delle batterie dei veicoli elettrici (vedi QualEnergia.it), che anche in Italia sta interessando case automobilistiche, utility, consorzi di raccolta, laboratori scientifici.
Abbiamo chiesto a Francesco Vizza, direttore del CNR-ICCOM di Firenze (Consiglio Nazionale delle Ricerche - Istituto di Chimica dei Composti OrganoMetallici) quali sono i vantaggi e svantaggi delle due soluzioni, come si sta evolvendo la tecnologia
in questo campo nel nostro paese, se potrà svilupparsi una filiera
nazionale del riciclo e con quali impatti sui prezzi futuri degli
apparecchi.
Partiamo dal concetto di “riuso”: come si fa a estendere la vita utile delle batterie al litio?
Per
riutilizzare le batterie a fine vita, bisogna diagnosticare le celle
che possiedono una capacità di carica residua sufficiente, per poi
assemblarle in sistemi stazionari di accumulo energetico, per
immagazzinare ad esempio l’energia eolica o solare.
Questo
processo, generalmente, è limitato alle batterie per autotrazione,
perché sono le uniche con caratteristiche tali da poterle impiegare
nell’energy storage. Alla fine, però, ci saranno sempre dei dispositivi
esauriti da smaltire.
Che cosa prevede, invece, il riciclo?
Recuperare
la quantità più ampia possibile di metalli, sia quelli “passivi” come
l’alluminio e il rame, sia quelli “attivi”, che rendono possibile
l’immagazzinamento dell’energia, quindi litio, cobalto, manganese,
nickel. Il cobalto è il più importante, perché rappresenta il 30-40% del
peso di una singola batteria.
Oltre
al recupero del litio, che incide poco sul costo totale dei dispositivi,
riciclare il cobalto, metallo poco disponibile in natura e molto
costoso (22 $/kg), è fondamentale se si vuole che la tecnologia di
queste batterie abbia un futuro. Un’altra soluzione potrebbe arrivare
dalle batterie al litio-ferro-fosfato, eliminando quindi il cobalto, il
problema è che per ora le prestazioni di questi apparecchi sono molto
più basse.
Crede che potranno esserci problemi di approvvigionamenti futuri di litio?
La
produzione annua globale di litio è nell’ordine delle 35.000
tonnellate, a fronte di circa 18 milioni di tonnellate di riserve
accertate e disponibili in tutto il mondo. Al tasso attuale della
domanda, non avremmo problemi di approvvigionamento per alcuni secoli,
ma il quadro potrebbe cambiare rapidamente se l’auto elettrica si
diffonderà in modo esponenziale.
Dobbiamo
pensare che una piccola batteria da 20 kW contiene circa 3 kg di litio,
la proporzione infatti è 0,18 kg di litio per kW. Con milioni di
batterie in più sul mercato ogni anno, nel giro di qualche decennio il
litio potrebbe finire.
Allora in quale direzione state lavorando per dare una “seconda vita” alle batterie?
Con il Cobat (Consorzio Nazionale Raccolta e Riciclo,
ndr) stiamo lavorando da più di un anno su un procedimento innovativo
di riciclo. Abbiamo scoperto un sistema molto semplice e quasi a costo
zero per mettere in sicurezza qualsiasi tipo di batterie al litio.
Questo
è un aspetto molto importante per procedere con il recupero selettivo e
il riciclo dei vari elementi. I metodi adoperati negli impianti
industriali di recupero prevedono la scarica residua delle batterie
esauste per immersione in soluzioni saline, con la liberazione di
miscele gassose come idrogeno e cloro. Il cloro è altamente tossico,
mentre l’idrogeno è molto infiammabile.
Quali sono le differenze tra il processo elaborato dal CNR e le tecnologie attuali?
Gli
impianti attuali generalmente utilizzano la pirolisi, un processo ad
alta temperatura che consente di sciogliere e recuperare i diversi
metalli, emettendo però dei gas tossici. Al CNR, invece, abbiamo
approntato in laboratorio un sistema a bassa temperatura per il
trattamento delle componenti che si trovano nella cosiddetta “black
mass”, la parte elettro-chimicamente attiva degli accumulatori.
Quindi
non è un processo pirometallurgico puro, ma idro-metallurgico, con un
minore impatto ambientale, che permette di separare tutti gli elementi
della batteria (plastiche, circuiti elettrici, collettori di rame e di
alluminio) per poi recuperare i metalli attivi mediante attacchi acidi,
separandoli attraverso precipitazioni ed estrazioni selettive.
Di quanto potranno scendere i costi di trattamento grazie alle vostre ricerche?
Il
costo del riciclo è molto elevato, perché può arrivare a 4.000-6.000 €
per il trattamento di una tonnellata di batterie esaurite, quindi
riciclare non conviene sotto il profilo economico allo stato attuale
della tecnologia.
L’obiettivo è
abbattere questi valori, se si arrivasse a mille euro sarebbe
fantastico, considerando che il costo del litio primario da saline o
miniere con un grado di purezza del 99,5% è pari a circa 8.000 $ a
tonnellata sul mercato internazionale.
Quale sarà il prossimo passo dopo le prime sperimentazioni?
Dovremo
passare dalle ricerche di laboratorio, che hanno dato ottimi risultati,
alla realizzazione di un impianto pilota con cui verificare la
possibile industrializzazione del procedimento di riciclo. Un recente
studio ha mostrato che sono 62 i metalli e metalloidi impiegati nelle
moderne tecnologie, che sono a rischio esaurimento o a rischio
approvvigionamento.
Senza un loro
riciclo, arriveremmo al paradosso di avere nel prossimo futuro una
grande quantità di energia da rinnovabili, ma non sapremmo come
utilizzarla per mancanza di metalli.
fonte: www.qualenergia.it