Negli anni ’90 si è discusso, e poi
approvato con la Direttiva del 19 dicembre 1996, un modello di mercato
elettrico conforme alla sua organizzazione tradizionale: grandi centrali per la produzione di energia elettrica, veicolata ai consumatori attraverso reti di trasmissione e distribuzione. Dimenticando però un non trascurabile dettaglio.
In parallelo, a partire dalla Conferenza di Rio del 1992, l’Unione Europea era impegnata nella costruzione di una strategia per mitigare il cambiamento climatico,
che si concretizzò con l’adesione, nel dicembre 1997, al protocollo di
Kyoto. Adesione che si tradusse nell’obbligo per gli Stati che erano
membri dell’UE prima del 2004, di ridurre collettivamente, tra il 2008 e
il 2012, le loro emissioni di gas ad effetto serra dell’8% rispetto a
quelle del 1990.
La realizzazione di questo obiettivo comportò la messa a punto di misure che garantissero la crescita accelerata della produzione energetica con fonti rinnovabili, a cui hanno massicciamente contribuito le tecnologie eolica e fotovoltaica.
Ciò
nonostante, le norme che regolavano il mercato elettrico non sono
sostanzialmente cambiate con la seconda Direttiva del 26 giugno 2003 e
nemmeno con la terza del 13 luglio 2009.
Se
nel 2003 qualcuno poteva ancora essere scettico riguardo all’impatto
delle fonti rinnovabili sul funzionamento del sistema e del mercato
elettrico, nel 2009 poteva negarlo solo chi si ostinava a tenere gli
occhi deliberatamente chiusi.
Eppure la schizofrenia ha
continuato a determinare il comportamento dei legislatori europei. Il
23 aprile 2009, cioè due mesi prima della nuova Direttiva sul mercato
elettrico, era stata approvata la Direttiva sulla promozione dell'uso
dell'energia da fonti rinnovabili, che dava attuazione al pacchetto 20/20/20: incredibile, ma vero.
Mentre
i problemi creati da questa politica schizofrenica si moltiplicavano -
sovraccapacità produttiva, difficoltà nella gestione delle reti, prezzi
del kWh nulli o negativi, eccetera - ci sono voluti più di sette anni
per arrivare, nel dicembre scorso, alla proposta di riforma del mercato
elettrico, inserita nel Clean Energy Package.
Finalmente si sono individuate le modifiche da apportare
per tenere conto di una realtà in cui, con la generazione distribuita,
crescono anche l’autoproduzione, le comunità energetiche locali, il
ruolo della domanda, e nuove tecnologie - digitalizzazione, accumuli
elettrochimici - modificano i criteri di gestione del sistema elettrico.
Prima di tradursi in nuove Direttive, le proposte contenute nel Clean Energy Package
devono però passare al vaglio del Parlamento e del Consiglio europeo, e
– una volta varate – vanno recepite dagli Stati membri. L’esperienza
pregressa suggerisce che arrivare alla conclusione di questo processo nel 2020 sarebbe già un buon risultato (oltre tutto non mancano le riserve da parte di molti Stati membri).
L’applicazione delle norme che regoleranno il mercato elettrico riformato
avverrà quindi nel prossimo decennio, con la gradualità dettata
dall’emanazione dei singoli decreti attuativi, cioè in concomitanza con
la fase di decollo della mobilità elettrica.
Proviamo a immaginare milioni di veicoli elettrici, dotati non solo della facoltà di scambio bilaterale dell’energia con la rete, grazie ai dispositivi “vehicle to grid”,
ma anche di una crescente capacità di guida autonoma, e con un livello
di connessione tra chi guida l’auto e il gestore della rete, oggi
persino difficile da concepire.
Sullo smartphone chi ha parcheggiato il mezzo riceve la richiesta di vendita di energia
(o di ricarica) e, sapendo quanta ne è accumulata nella batteria del
veicolo, può decidere se accettarla, nel qual caso trasmette all’auto
l’ordine di eseguire autonomamente l’operazione, fissandone l’entità.
Si
può addirittura immaginare che l’interessato abbia preventivamente
utilizzato un’app per predefinire le condizioni di accettazione, per cui
l’auto parcheggiata esegue o non esegue, senza intermediazioni, la
richiesta della rete. E, in casi di emergenza, il prelievo dell’energia
accumulata può avvenire automaticamente, salvaguardando soltanto un
minimo di mobilità del mezzo.
Accanto alla generazione distribuita con localizzazione fissa se ne affiancherà di fatto un’altra, ancora più numerosa, con una differenza: è mobile,
oggi può essere ubicata in una via di Roma, domani sul lungomare di
Napoli. Per chi è in giro con l’auto, non è un problema, ma per la rete può diventarlo, soprattutto quando si verificano massicci spostamenti, come nei fine settimana e durante le vacanze estive.
Il
gap tra modello e realtà del mercato elettrico ha fornito non pochi
argomenti a chi remava (e rema) contro le fonti rinnovabili.
Per
evitare che questo si ripeta con la mobilità elettrica, tutte le
associazioni e i movimenti impegnati nella promozione di una efficace
politica energetico-climatica dovrebbero inserire tra i loro obiettivi
anche la richiesta di adeguare a questa disruptive technology le regole del mercato elettrico.
fonte: http://www.qualenergia.it