Sfruttare le radiazioni del sole per aiutare a liberare gli oceani dalla presenza delle microplastiche: questa una delle innovazioni tecnologiche create dal progetto europeo CLAIM. A realizzare il sistema è stato un gruppo di scienziati del KTH Royal Institute of Technology, in Svezia, che a partire da questo mese testerà la sua invenzione negli impianti locali di trattamento delle acque reflue.
L’inquinamento da microplastiche conosce
pochi confini. Queste minuscole particelle polimeriche sono presenti in
quasi tutti i corpi idrici del pianeta, al punto da essere state
individuate persino in sperduti laghi della Mongolia o in sedimentati
sottomarini. L’ONU stima che ogni chilometro quadrato di oceano contenga
circa 63 mila frammenti plastici che, non solo contaminano l’ambiente,
ma entrano anche a far parte della dieta quotidiana degli animali.
“Queste materie plastiche iniziano così ad accumularsi nella catena
alimentare, passando da specie a specie, con conseguenze negative
dirette anche per la popolazione umana”, spiega Joydeep Dutta, ricercatore del KTH Royal Institute of Technology.
L’esposizione alla luce solare può degradare la plastica in elementi innocui ma questo processo, chiamato ossidazione fotocatalitica,
estremamente lento, e anche in caso di particelle piccolissime può
richiedere anni. Gli scienziati dell’ateneo svedese hanno cercato un
modo per accelerare il tutto. Come? Creando una nuova membrana
fotocatalitica da aggiungere ai sistemi filtranti delle acque reflue. Il
sistema è costituito da nanofili rivestiti in un materiale
semiconduttore che può assorbire la luce visibile e utilizzarla per
“abbattere” le particelle di plastica.
L’ossidazione fotocatalitica attraverso
semiconduttori come ossido di zinco o l’ossido di titanio è già da tempo
impiegata per convertire inquinanti volatili o oli in elementi innocui
come l’acqua e anidride carbonica. Il passaggio alle microplastiche
sembra essere, dunque, il logico step successivo.
Le membrane trattengono questi minuscoli
inquinanti mentre la luce del sole attiva il focatalizzatore. “Il
semiconduttore è in grado di eccitare le molecole del materiale e
avviare questo processo di degradazione utilizzando il 40% della
radiazione solare”, spiega Dutta. E come risultato, anche in questo caso
si ottiene solo acqua e anidride carbonica. L’idea è di istallare
questi speciali filtri solari – i test reali inizieranno a breve – sia a
livello domestico che negli impianti di trattamento industriale dei
reflui. In aggiunta il progetto CLAIM (Cleaning Litter by Developing
and Applying Innovative Methods in European Sea) sta sviluppando anche
barriere flottanti da collocare alle bocche dei fiumi per catturare i
rifiuti di plastica più grandi e un sistema di controllo navale per
misurare gli inquinanti polimerici presenti nell’Oceano.
fonte: www.rinnovabili.it