Altro che rifiuti zero: anche la migliore economia circolare produce scarti, eppure non abbiamo abbastanza impianti per gestirla
I rifiuti che vediamo ogni giorno e con cui tutti abbiamo direttamente a che fare, ovvero quelli urbani, ammontano – secondo i più aggiornati dati Ispra
– a 30.116.605 di tonnellate, prodotte dagli italiani in un anno
(2016). A questi va sommata la produzione di rifiuti speciali, di cui
raramente abbiamo notizia, ma che in realtà rappresenta gli scarti delle
imprese che producono i beni che consumiamo, o quelli prodotti negli
uffici presso cui ci serviamo o lavoriamo. Sono altre 135,1 milioni di
tonnellate (2016),
di cui 125,5 milioni di tonnellate di rifiuti speciali non
pericolosi (cioè 2.070,9 kg/abitante per anno, mentre la produzione pro
capite dei rifiuti urbani è pari a 497,1 kg/ab*anno). Che fine fa tutta
questa spazzatura?
Come conferma anche il nuovo pacchetto normativo europeo sull’economia circolare, approvato da pochi mesi,
occorre(rebbe) operare secondo logica di sostenibilità e prossimità,
seguendo una precisa gerarchia: i rifiuti che non siamo riusciti a
evitare di produrre (prevenzione) devono essere se possibile riusati, o
riciclati, o avviati a recupero energetico, o conferiti in discarica.
Attività per le quali occorrono impianti dedicati, oltre a quelli
relativi ai necessari passaggi intermedi di selezione. Tutti questi
anelli sono fondamentali per chiudere il ciclo integrato dei rifiuti, e
sia la normativa sia gli incentivi economici dovrebbero seguire i
dettami della gerarchia. Questo però in Italia raramente accade e, di
fatto, persiste una cronica carenza di impianti per la gestione dei
rifiuti che produciamo.
A quanti professano l’efficace slogan “rifiuti zero” potrebbe essere
utile sapere, come tiene a sottolineare l’Unirima (Unione nazionale
imprese recupero e riciclo maceri) che i rifiuti ricadenti nel capitolo
19 del Catalogo europeo dei rifiuti (Cer) rappresentano proprio i
“rifiuti prodotti dal trattamento dei rifiuti”. In Italia «sono pari
a 37.683.868 tonnellate e comprendono anche quelli provenienti dal
trattamento dei rifiuti urbani. Si tratta quindi di una quantità ben
superiore alla produzione dei rifiuti urbani», che come detto arriva a
poco più di 30,1 milioni di tonnellate/anno. È un problema di cui però
in Italia preferiremmo non vedere, come una volta fatta la raccolta
differenziata – quando va bene – tutti i nostri scarti fossero obbligati
a sparire dai radar della pubblica opinione. Non è così, naturalmente.
Prendiamo proprio il caso delle imprese associate a Unirima, dove
vengono conferiti prevalentemente carta e cartone provenienti dalle
raccolte differenziate dei Comuni, nonché da altre raccolte
differenziate di attività commerciali e industriali. «Dalle attività di
selezione e recupero di questi rifiuti finalizzate alla produzione di
materia prima secondaria – spiegano da Unirima – derivano scarti non
riciclabili qualificati come rifiuti speciali non pericolosi (CER 19 12
12) e destinati al recupero energetico (inceneritori) o allo smaltimento
in discarica». Questo tipo di scarti è in aumento, anche perché
fortunatamente in Italia cresce la raccolta differenziata: «I rifiuti
classificati con il CER 19 12 12 rappresentato circa il 29% del totale
dei rifiuti del capitolo 19, per un quantitativo complessivo pari a
circa 10,8 milioni di tonnellate ed un incremento del +2,2% rispetto al
2015».
Eppure mentre i dati Ispra «evidenziano il costante aumento della
produzione di tali rifiuti, le capacità degli impianti di destinazione
che devono riceverli si stanno drasticamente riducendo con conseguente
esponenziale incremento delle difficoltà da parte delle imprese del
nostro settore nell’allocare tali scarti di lavorazione».
Unirima – e non solo – sta ponendo da mesi l’attenzione su tali
criticità nei momenti di confronto pubblici, ma i risultati sono scarsi:
rifiuti, economia circolare e sviluppo sostenibile sono del resto temi
complessi, poco inclini alle semplificazione imperante in un clima di
campagna elettorale permanente. Ma senza gli impianti necessari a
bloccarsi non sono solo le imprese attive nella gestione dei rifiuti: va
in difficoltà anche chi quegli scarti li produce – impresa o cittadino
–, perché non sa dove e come conferire la propria spazzatura, o deve
farlo a costi crescenti, magari all’estero. «Ribadiamo – afferma dunque
l’Unirima – come sia fondamentale intervenire con urgenza al fine di
prevenire danni per l’economia di tutta la filiera del riciclo della
carta (e non solo, ndr), per i sistemi pubblici di raccolta differenziata e con possibile rischio per l’ambiente».
fonte: www.greenreport.it