Asfalto, da Ragusa una storia (dimenticata) di innovazione


Nella città siciliana da oltre 30 anni c’è un km di strada costruito con un bitume speciale, ma il progetto è stato poi abbandonato. “Come spesso capita, noi italiani abbiamo buone idee, però sono poi gli altri a sfruttarle. In questo caso, anche se rappresentava un’attività marginale, avevamo visto lontano”, commenta il chimico Eugenio Piovano















Mentre a Londra e nei Paesi Bassi proseguono i primi esperimenti per fare le strade con la plastica riciclata, a Ragusa, da oltre 30 anni, c’è un km di strada costruito con un bitume speciale, ottenuto miscelando proprio plastiche miste: questa è una storia di innovazione, che termina purtroppo in una via lastricata anzi, letteralmente, asfaltata dalle buone intenzioni.
Siamo nel 1986, a Ragusa, nel Centro di Ricerca Sperimentale di Enichem, l’allora azienda petrolchimica del gruppo ENI e principale compagnia chimica nazionale: si lavora a un sistema pilota che, combinando i rifiuti plastici con l’asfalto, permetterebbe di chiudere il cerchio del riciclo della plastica. E negli anni ’90 i rifiuti plastici ancora non dilagavano negli oceani, non erano come oggi la minaccia numero uno per l’ambiente e la nostra salute.
“Il bitume può essere addizionato di materie plastiche per migliorare alcune prestazioni: in genere questi polimeri sono vergini, cioè non riciclati. All’epoca il nostro lavoro consistette nel modificare materie plastiche riciclate per essere utilmente impiegate come additivo nel bitume”, spiega Francesco Paolo La Mantia dell’Università degli Studi di Palermo. Ottenere il giusto mix tra bitume e plastiche riciclate, tagliate in dimensioni più piccole di un francobollo, era l’obiettivo di quella sperimentazione e i risultati non tardarono ad arrivare.
Giuseppe Migliorisi, che faceva parte del team di ricerca come perito chimico, è stato l’ultimo dipendente ad aver lasciato il laboratorio di Ragusa, che chiuse i battenti tra il ’94 e il ’95. “Provavamo diverse combinazioni e ci rendemmo conto che l’uso della plastica riciclata nel bitume creava una struttura a reticolo, in grado di diminuire l’effetto aquaplaning - racconta Giuseppe Migliorisi - . E proprio questo tipo di asfalto, che doveva rispondere alle esigenze di sicurezza stradale e di riciclo dei rifiuti, fu testato per realizzare una delle strade più trafficate all’interno dello stabilimento di Ragusa.”
Dopo la strada, di quella ricerca si persero le tracce e sembra che non si arrivò mai al brevetto. “Lei conosce la storia di Enichem? Chissà quanti brevetti insoluti sono stati dispersi. Perché non registrati. E quanti studi, anche con prove industriali, sono andati perduti”, ci fa sapere Peppe Scarpata, dipendente Eni Versalis di Ragusa, segretario territoriale della UILTEC.
Di sicuro il terreno e i fabbricati furono poi ceduti da Eni a privati: oggi a poca distanza dalla strada con “l’asfalto ecologico” pascolano le mucche. “Ricordo che il centro era ufficialmente chiuso ma arrivavano ancora attrezzature: un macchinario importante per proseguire i test rimase lì impacchettato. Provo rabbia e delusione nel ricordare quegli anni”, chiosa Giuseppe Migliorisi.
Ma perché non si andò avanti, nonostante i buoni risultati della sperimentazione? Una risposta ce la fornisce Walter Ganapini, all’epoca presidente del Comitato Tecnico Scientifico Rifiuti del Ministero dell’Ambiente. In realtà il Ministero aveva anche fatto una mappa, individuando per ogni Regione il maggiore trasformatore di bitumi, come bacino di raccolta. Il vero punto di rottura c’è stato quando ha prevalso, all’interno dei consorziati Replastic (oggi Corepla)l’orientamento di ottenere energia elettrica dai rifiuti plastici, di provare a dotarsi di inceneritori per bruciare, invece di lavorare per il recupero del materiale stesso, inglobandolo ad esempio nel bitume. Erano anche gli anni in cui molti volevano tentare la scalata all’Enel, che da Ente di Stato stava diventando S.p.a.” Insomma conclude Ganapini: “Una strategia che non andò da nessuna parte, con gli effetti che adesso scontiamo; ma intanto l’idea delle strade con plastica riciclata si diffuse altrove e noi buttammo il bambino con l’acqua sporca”.
“Come spesso capita, noi italiani abbiamo buone idee, però sono poi gli altri a sfruttarle. In questo caso, anche se rappresentava un’attività marginale, avevamo visto lontano. L’industria chimica italiana aveva delle menti che definirei illuminate”, commenta Eugenio Piovano, chimico e allievo del professore Umberto Bianchi, scomparso nel ‘96, il primo ad ipotizzare l’uso di polietilene di recupero nei bitumi, ovvero l’”eco-asfalto” che oggi fa tanto notizia.

fonte: www.lastampa.it