Plastica: dalla produzione allo smaltimento produce grandi quantità di CO2


















La plastica è uno dei principali responsabili del riscaldamento globale, anche se questa sua caratteristica non viene spesso messa in evidenza. Eppure fino dalle prime reazioni, cioè dalla lavorazione degli idrocarburi e in particolar modo delle resine necessarie a ottenerla, fino a quella dei prodotti finiti, dal trasporto allo smaltimento e perfino al riciclo emette grandi quantità di CO2, indirettamente. Ora per la prima volta uno studio condotto dai ricercatori dell’Università della California di Santa Barbara fa i conti a livello globale, e pubblica quanto osservato su Nature Climate Change.
Nel 2015, l’intero ciclo produttivo ha emesso 1,8 milioni di tonnellate di CO2, e la situazione potrebbe peggiorare molto se saranno rispettate le stime secondo le quali nei prossimi cinque anni la domanda globale crescerà del 22%. Se non succederà nulla, nel 2050 le emissioni riconducibili alla plastica saranno il 17% del totale.
Come se ne esce? Gli autori suggeriscono diversi possibili interventi.
Il primo è il riciclaggio, che oggi riguarda meno del 10% della plastica prodotta e che potrebbe quindi migliorare molto.
La seconda voce è l’aumento delle bioplastiche, che sono considerate a impatto globale neutro perché se da una parte la loro produzione e lavorazione – compostaggio compreso – sono associate a emissioni di CO2, dall’altra le piante coltivate per ottenerla consumano CO2. Se poi le fonti energetiche utilizzate fossero del tutto rinnovabili, il conteggio diventerebbe più conveniente: in caso l’energia usata fosse al 100% rinnovabile, le emissioni associate alla plastica scenderebbero del 51%.
plastica stoviglie usa e gettaIl terzo punto dove si potrebbe intervenire è la domanda, che si potrebbe disincentivare. Ma se nei paesi occidentali questo sta già avvenendo, in quelli in sviluppo è assai improbabile che si verifichi in tempi brevi, anche perché spesso la plastica è ancora simbolo di modernità e progresso.
Il problema, però, è che nessuno degli interventi individuati da solo sarebbe realmente decisivo: solo adottandoli tutti si potrebbe fare la differenza. E infatti la conclusione degli autori è che questo studio mette in evidenza l’entità dello sforzo necessario: mai intrapreso prima.
Quasi a confermare l’urgenza, nello stesso giorno Nature Geoscience ha pubblicato l’ennesimo, desolante segnale di allarme sulla plastica che, passando dall’aria, è arrivata e arriva ogni giorno in una sperduta regione dei Pirenei. I ricercatori dell’EcoLab di Tolosa hanno infatti compiuto rilevazioni giornaliere per cinque mesi consecutivi in una zona che dista 6 km dal primo villaggio, 25 dal primo paese e 120 km dalla prima città, e hanno scoperto che ogni giorno vi cadono 249 frammenti, 73 pellicole e 44 fibre di microplastica per metro quadro (le fibre hanno una lunghezza media di 750 micron – millesimi di millimetro – e i frammenti di 300 micron). L’origine è aerea e conferma che probabilmente non c’è più alcun luogo, sulla terra, privo di contaminazioni da microplastiche.
fonte: www.ilfattoalimentare.it