L’esempio olandese contro l’ibernazione
Uno dei temi principali che si pone (anche) con le rinnovabili è quello del rifiuto. Da tempo infatti si lavora per estendere la durata del prodotto, migliorare la riparabilità e il rinnovamento, promuovendo il ritiro, la raccolta e il riciclaggio. Che fare, ad esempio, con i pannelli solari alla fine del ciclo di vita? A questa domanda prova a dare una risposta Gogla, un’associazione globale senza scopo di lucro, con sede ad Amsterdam che dal 2012 lavora nel campo dell’industria solare off grid (non in rete). Attraverso il modulo E-Waste Toolkit, sviluppato nel 2019, Gogla intende aiutare gli operatori del mercato a ridurre al minimo i rifiuti elettronici attraverso un sistema a circuito chiuso. Sono previste sei fasi: dall’individuazione delle migliori pratiche per lo stoccaggio alla definizioni di casi di studio, dallo studio delle varie normative alla fornitura di un catalogo di fornitori.
“Attualmente il settore è avanzato in termini di modelli e principi di business, ma c’è ancora spazio per miglioramenti – dice Drew Corbyn, responsabile degli investimenti di Gogla – Crediamo che la crescita nella circolarità aggiunga valore a clienti, aziende e ambiente. Se come industria saremo in grado di promuovere la circolarità nel nostro settore, potremo dare impulso anche alla crescita del mercato. È facile vedere lo spreco come un costo. Ma se guardiamo alla circolarità come un’opportunità per dare più valore ai clienti e creare posti di lavoro e opportunità di business, possiamo facilmente far capire che l’economia circolare conviene”. Resta il fatto che, dopo l’esaurimento del pannello solare, privati e aziende che non sanno come smaltirlo preferiscono tenerlo: è il fenomeno noto come ibernazione. Anche in questo caso Gogla ha delineato una possibile alternativa.
“Il primo passo è selezionare i componenti e controllare quelli che possono essere riparati o rimessi a nuovo localmente – dice ancora Corbyn – Ad esempio, le batterie possono essere riavviate e rimesse in funzione. Nell’Africa orientale, ad esempio, i componenti che non possono essere riutilizzati verranno riciclati localmente, ovvero plastica, alluminio, cavi e vetro. Pannelli fotovoltaici, batterie e PCB verranno spediti in Europa poiché non ci sono aziende che riciclano questi delicati componenti nella regione”.
E in Italia?
Per via della sua collocazione geografica e della scarsità di materie prime, il nostro Paese è “naturalmente” portato alla produzione di energia solare. A fine 2019 risultano installati oltre 880mila impianti fotovoltaici per una potenza totale di circa 21 gigawatt. I dati, ricavati dal Rapporto Statistico sul Solare Fotovoltaico 2019 che è redatto dal Gestore Servizi Energetici, parlano chiaro: in un solo anno sono stati realizzati oltre 58mila nuovi impianti, molti dei quali dedicati all’autoconsumo. In totale, rispetto all’energia elettrica prodotta dalle fonti rinnovabili, il 20% è coperto dal sole. Ecco perché il tema del fine vita nel fotovoltaico assume un’importanza rilevante.
Recentemente Enea ha brevettato un nuovo processo a basso consumo energetico e ridotto impatto ambientale per il recupero dei principali componenti dei pannelli fotovoltaici in silicio cristallino. Il processo consente di separare i materiali utili (strati polimerici, contatti elettrici, celle e vetro) e di smaltire il resto in sicurezza. Come? In pratica il pannello viene riscaldato, in maniera tale che si posso “rammollire” in zone localizzate; da qui, poi, arriva il successivo scollamento a strappo degli strati polimerici. Vale a dire che per recuperare i componenti bisogna slegarli dallo strato che fa da collante.
“L’aumento esponenziale dei rifiuti costituiti dai pannelli fotovoltaici a fine vita ha reso estremamente urgente affrontare il problema della loro gestione, anche a fronte delle leggi nazionali ed europee che impongono regole severe”, sottolinea Marco Tammaro, responsabile del Laboratorio Tecnologie per il Riuso, il Riciclo, il Recupero e la valorizzazione di Rifiuti e Materiali e inventore del brevetto, i cui diritti sono condivisi al 50% con la start-up Beta-Tech Srl. “Con questo processo – continua Tammaro – si evitano il rischio di degrado dei materiali, inutili dispendi di energia e si riducono sensibilmente pericolose emissioni gassose. Inoltre, l’impiantistica necessaria è semplice, adatta a un trattamento in continuo e altamente automatizzabile, senza necessità di un’atmosfera controllata mediante uso di gas specifici”.
fonte: economiacircolare.com
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