Lo riferisce la Reuters, specificando che a ogni coltivatore sarà proposto un credito d’imposta di 2.500 euro se abbandonerà l’erbicida nel 2021 o nel 2022, soprattutto nelle coltivazioni dove è più utilizzato, e cioè i cereali, le viti e i frutteti, coerentemente con il voto espresso nel 2017 contro il rinnovo della licenza (i voti contrari erano stati in tutto 9, i favorevoli 18 e le astensioni una). Allo stesso tempo, il Governo aumenterà fino a 215 milioni di euro i fondi per sostituire i macchinari agricoli.
Per un coltivatore, abbandonare la discussa sostanza significa perdere, per esempio, il 16% della produzione di cereali, con un aumento dei costi pari a 80 euro per ettaro (7 mila euro per 87 ettari, per esempio). Senza un’adeguata compensazione, è chiaro come sarebbero pochissimi i coltivatori che sceglierebbero di ricorrere ad altre strategie. La stessa Anses, nel suo documento dello scorso ottobre, indicava soluzioni non del tutto convincenti, quali il ricorso alle rotazioni o ad altre sostanze, qualora ve ne siano. Ma, appunto, non ve ne sono, se non in misura limitata e con un’efficacia che non sempre è paragonabile a quella del glifosato.
L’erbicida, negli ultimi anni, è stato oggetto di pronunciamenti controversi, che l’hanno indicato come cancerogeno, oppure, viceversa, scagionato da queste accuse. Ma gli indizi di una sua responsabilità in diversi ambiti sono piuttosto solidi, a cominciare dagli effetti sulle api, per continuare con quelli sulla salute umana. Nello scorso mese di giugno, la Bayer, l‘azienda che oggi lo produce dopo aver acquistato la Monsanto che l’aveva introdotto nel mercato negli anni Novanta, ha pagato 10,9 miliardi di dollari per chiudere oltre 100 mila cause negli Stati Uniti, tutte incentrate sulla sua responsabilità nel causare tumori ai ricorrenti.
fonte: www.ilfattoalimentare.it
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