Lo afferma lo studio più esaustivo condotto finora sull’argomento, a cui hanno lavorato scienziati provenienti da 16 paesi diversi di tutti i continenti. Non si tratta di una vera valutazione globale, però: non perché i ricercatori abbiano limitato di proposito il monitoraggio, ma perché per alcune regioni non sono disponibili dati di alcun tipo.
Gli ecosistemi fluviali e lacustri sono fondamentali per la biodiversità e anche per sostenere la vita dell’uomo sulla Terra. Anche se costituiscono appena l’1% della superficie terrestre, infatti, ospitano più di 17mila specie di pesci, che rappresentano ¼ di tutti i vertebrati. Oltre a essere fonti preziose di acqua dolce, e sostenere in vari modi l’economia umana.
Ma soltanto il 14% dei fiumi ospita delle popolazioni di pesci che si possono dire al sicuro dall’impatto dell’azione umana. E laddove l’uomo è arrivato, i risultati sono decisamente preoccupanti, riassume il team di ricercatori. La biodiversità in più della metà dei siti per cui sono disponibili dati è stata profondamente modificata. Con alcuni picchi, ad esempio in Nuova Zelanda e in Giappone. Nell’arcipelago australe dal 1990 a oggi il 70% delle specie di pesci presenti sono state dichiarate minacciate o in pericolo. Per gli ecosistemi giapponesi la percentuale scende al 42%.
Anche l’Europa però non ha una situazione migliore, nel complesso. Metà dei corsi d’acqua dolce del vecchio continente, infatti, presentano condizioni di vita tutt’altro che ottimali per pesci e macroinvertebrati come gli insetti .
Una ricerca recente, pubblicata alla fine del 2020, spiegava che i fiumi europei a flusso libero sono diventati sempre più rari. La costruzione di dighe, installazioni per il microidroelettrico, o altre opere che alterano il naturale scorrere delle acque e il passaggio di nutrienti e di fauna, sono anzi all’ordine del giorno. Solo in Europa sarebbero 1,2 milioni, con il risultato di frammentare i corsi d’acqua e causare effetti devastanti sugli ecosistemi acquatici.
fonte: www.rinnovabili.it
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