I sistemi di deposito cauzionali di bottiglie e altri imballaggi di bevande consentono di raggiungere altissime percentuali di raccolta differenziata. Sono un’opportunità per l'economia circolare, creano lavoro e fanno risparmiare gli enti locali. Ecco perché convegno a tutti, anche a chi oggi li ostacola
Troppi imballaggi dispersi nell’ambiente e la preoccupazione per l’inquinamento ormai pervasivo da plastica hanno riacceso l’interesse per i sistemi di deposito su cauzione, nei quali chi compra una bevanda in bottiglia o in lattina paga un piccolo extra che gli sarà restituito quando avrà riportato indietro il contenitore. Questa tipologia di raccolta selettiva nota come DRS (Deposit Return System o Scheme) consente di recuperare i contenitori di bevande monouso, ma si può anche applicare ai modelli di riuso e consente in maniera semplice ed efficace di ridurre i rifiuti da imballaggio dispersi nell’ambiente, il cosiddetto littering, e al tempo stesso di immettere i materiali così “salvati” nel ciclo produttivo.
La piccola cauzione, tipicamente tra i 5 e i 25 centesimi di euro, che si applica al prezzo di vendita delle bevande serve a impegnare il consumatore a riportare il contenitore vuoto presso un punto vendita per consentirne il riciclaggio. Una pratica che le persone più grandi d’età ricordano bene: fino agli anni Sessanta del secolo scorso, infatti, anche nel nostro Paese era molto diffuso il vuoto a rendere, applicato alle bottiglie di vetro per latte, acqua minerale ed altre bevande.
Il passaggio al monouso? È a carico della collettività
Questa modalità di commercializzazione a “ciclo chiuso” e senza produzione di rifiuti ha subito un lento e inesorabile declino con l’avvento della bottiglia in PET, il polietilene tereftalato prodotto interamente da petrolio o gas metano, e anche della lattina in alluminio. Con il loro avvento, i produttori di bevande si sono liberati dei costi di gestione del vuoto a rendere. Per recuperare il vetro e gestire tutta la filiera su scala locale, infatti, servivano importanti investimenti finanziari: i magazzini per lo stoccaggio, gli impianti di lavaggio e sanificazione dei vuoti, la rete logistica, i concessionari che producevano per i vari marchi e via dicendo.
È accaduto così che, ricorrendo a imballaggi in plastica o alluminio monouso, i produttori abbiano potuto ampliare il mercato di riferimento (non dovendo più gestire la raccolta localmente) riducendo sia i costi per le infrastrutture appena citate, sia quelli di gestione del fine vita dei propri prodotti. Oneri e onori sono così passati ai governi locali e ai contribuenti dei Paesi in cui le bevande venivano immesse al consumo: da quel momento il costo di ciò che accadeva alla bottiglia o al flacone monouso dopo l’utilizzo non è più stato un problema di chi ne produceva il contenuto, ma è finito a carico della collettività.
Tempo di soluzioni: la responsabilità estesa del produttore
Parallelamente all’allarme legato al cambiamento climatico e all’eccessivo sfruttamento di risorse, si è via via affermato, soprattutto a livello comunitario, il principio della responsabilità estesa del produttore (in sigla inglese Epr, Extended producer responsability), in virtù del quale chi produce e commercializza un bene deve farsi carico dei costi del suo avvio a riciclo. Questo importante cambiamento ha riportato l’attenzione sulle potenzialità dei sistemi cauzionali e non a caso tanti Paesi, in Europa e non solo, hanno iniziato a introdurli.
D’altro canto, non si intravedono all’orizzonte altre soluzioni e strumenti di efficacia comparabile. Dove sono stati adottati, infatti, i DRS hanno dimostrato di riuscire a ridurre, se non prevenire, la dispersione di contenitori di bevande nell’ambiente, a reimmettere in nuovi cicli economici i recipienti senza perdita di risorse preziose e valore economico, creando al contempo occupazione verde. Questi sistemi consentono di raggiungere percentuali di differenziata altrimenti impossibili, dal momento che persino in Paesi con i sistemi di raccolta differenziata più performanti – come nel caso del Giappone e della Svizzera – si superi di poco un tasso di raccolta e riciclo dell’80% per i contenitori di bevande.
Come dicevamo, in Europa sono state le ultime legislazioni europee sui rifiuti a portare alla ribalta i sistemi di deposito su cauzione, e a stemperare, quando non neutralizzare, la storica opposizione da parte dell’industria delle bevande e di altri gruppi di interesse ai sistemi cauzionali. Di fatto sia le direttive sui rifiuti del pacchetto Economia Circolare recentemente recepite dagli Stati membri – in Italia con il decreto legislativo 116 del 2020 – sia quelle in via di recepimento come la direttiva Single-use plastics (nota come direttiva Sup) hanno il potenziale per produrre cambiamenti epocali.
I fattori che favoriscono il passaggio ai sistemi cauzionali
Sono diverse le misure in grado di imprimere una forte spinta verso l’adozione di un DRS anche nel nostro Paese: di seguito elenchiamo quelle più rilevanti.
La novità introdotta nel nostro Paese dal decreto legislativo 116/2020, che riforma i sistemi EPR con lo scopo di rendere i produttori responsabili dal punto di vista finanziario (e a volte anche operativo) del fine vita degli imballaggi. In modo che gli utilizzatori e produttori di imballaggi siano obbligati a coprire i costi di avvio a riciclo dei propri imballaggi nella misura di almeno l’80%. Attualmente invece, con il vigente regime di Responsabilità Condivisa del Produttore che regola l’accordo quadro Anci-Conai, questi costi ricadono per la maggior parte sugli enti locali che si occupano della raccolta differenziata;
L’obbligo di raggiungere obiettivi di riciclaggio più elevati entro il 2030 (il 60% per l’alluminio, l’80% per l’acciaio, il 75% per il vetro e il 55% per gli imballaggi in plastica) con una metodologia di calcolo dei tassi di riciclaggio molto più rigorosa che renderà più difficile gonfiare artificialmente tali numeri;
L’obbligo di una percentuale minima di contenuto riciclato dei contenitori: per le bottiglie in PET il 25% entro il 2025 e per tutti gli imballaggi per bevande in plastica il 30% entro il 2030. In realtà, alcuni marchi già superano queste percentuali di contenuto riciclato ed è presumibile che la possibilità di utilizzare il 100% di PET riciclato, il cosiddetto rPET, nelle bottiglie di plastica a partire da quest’anno contribuisca ad aumentare la richiesta di rPET da parte del mercato;
Il raggiungimento degli obiettivi di raccolta e riciclo per le bottiglie in PET imposti dalla direttiva Sup: il 77% al 2025 e il 90% al 2029 rispetto all’immesso al consumo.
Obiettivo 77% ancora lontano
Le elaborazioni di alcuni addetti del settore visionate da EconomiaCircolare.com indicano un tasso di intercettazione e riciclo nazionale delle bottiglie in PET del 58,29% nel 2019, dato che rende piuttosto improbabile raggiungere il 77%, obiettivo intermedio della direttiva Sup, entro il 2025.
Va detto che questa difficoltà, che accomuna tutti i Paesi europei privi di un sistema di deposito, sarà messa a dura prova dal nuovo metodo di calcolo dei tassi di riciclaggio, che sulla base di stime effettuate in altri Paesi potrebbe ridurre le attuali performance di riciclo in modo significativo. Anche per le bottiglie in PET la stima è di una una riduzione del 10-15%. Un rischio su cui ha acceso i riflettori anche la Corte dei Conti Europea in una sua analisi dello scorso ottobre, stimando una sensibile riduzione del tasso di riciclo medio europeo, dal 42% attuale al 30%.
Troppi imballaggi dispersi nell’ambiente e la preoccupazione per l’inquinamento ormai pervasivo da plastica hanno riacceso l’interesse per i sistemi di deposito su cauzione, nei quali chi compra una bevanda in bottiglia o in lattina paga un piccolo extra che gli sarà restituito quando avrà riportato indietro il contenitore. Questa tipologia di raccolta selettiva nota come DRS (Deposit Return System o Scheme) consente di recuperare i contenitori di bevande monouso, ma si può anche applicare ai modelli di riuso e consente in maniera semplice ed efficace di ridurre i rifiuti da imballaggio dispersi nell’ambiente, il cosiddetto littering, e al tempo stesso di immettere i materiali così “salvati” nel ciclo produttivo.
La piccola cauzione, tipicamente tra i 5 e i 25 centesimi di euro, che si applica al prezzo di vendita delle bevande serve a impegnare il consumatore a riportare il contenitore vuoto presso un punto vendita per consentirne il riciclaggio. Una pratica che le persone più grandi d’età ricordano bene: fino agli anni Sessanta del secolo scorso, infatti, anche nel nostro Paese era molto diffuso il vuoto a rendere, applicato alle bottiglie di vetro per latte, acqua minerale ed altre bevande.
Il passaggio al monouso? È a carico della collettività
Questa modalità di commercializzazione a “ciclo chiuso” e senza produzione di rifiuti ha subito un lento e inesorabile declino con l’avvento della bottiglia in PET, il polietilene tereftalato prodotto interamente da petrolio o gas metano, e anche della lattina in alluminio. Con il loro avvento, i produttori di bevande si sono liberati dei costi di gestione del vuoto a rendere. Per recuperare il vetro e gestire tutta la filiera su scala locale, infatti, servivano importanti investimenti finanziari: i magazzini per lo stoccaggio, gli impianti di lavaggio e sanificazione dei vuoti, la rete logistica, i concessionari che producevano per i vari marchi e via dicendo.
È accaduto così che, ricorrendo a imballaggi in plastica o alluminio monouso, i produttori abbiano potuto ampliare il mercato di riferimento (non dovendo più gestire la raccolta localmente) riducendo sia i costi per le infrastrutture appena citate, sia quelli di gestione del fine vita dei propri prodotti. Oneri e onori sono così passati ai governi locali e ai contribuenti dei Paesi in cui le bevande venivano immesse al consumo: da quel momento il costo di ciò che accadeva alla bottiglia o al flacone monouso dopo l’utilizzo non è più stato un problema di chi ne produceva il contenuto, ma è finito a carico della collettività.
Tempo di soluzioni: la responsabilità estesa del produttore
Parallelamente all’allarme legato al cambiamento climatico e all’eccessivo sfruttamento di risorse, si è via via affermato, soprattutto a livello comunitario, il principio della responsabilità estesa del produttore (in sigla inglese Epr, Extended producer responsability), in virtù del quale chi produce e commercializza un bene deve farsi carico dei costi del suo avvio a riciclo. Questo importante cambiamento ha riportato l’attenzione sulle potenzialità dei sistemi cauzionali e non a caso tanti Paesi, in Europa e non solo, hanno iniziato a introdurli.
D’altro canto, non si intravedono all’orizzonte altre soluzioni e strumenti di efficacia comparabile. Dove sono stati adottati, infatti, i DRS hanno dimostrato di riuscire a ridurre, se non prevenire, la dispersione di contenitori di bevande nell’ambiente, a reimmettere in nuovi cicli economici i recipienti senza perdita di risorse preziose e valore economico, creando al contempo occupazione verde. Questi sistemi consentono di raggiungere percentuali di differenziata altrimenti impossibili, dal momento che persino in Paesi con i sistemi di raccolta differenziata più performanti – come nel caso del Giappone e della Svizzera – si superi di poco un tasso di raccolta e riciclo dell’80% per i contenitori di bevande.
Come dicevamo, in Europa sono state le ultime legislazioni europee sui rifiuti a portare alla ribalta i sistemi di deposito su cauzione, e a stemperare, quando non neutralizzare, la storica opposizione da parte dell’industria delle bevande e di altri gruppi di interesse ai sistemi cauzionali. Di fatto sia le direttive sui rifiuti del pacchetto Economia Circolare recentemente recepite dagli Stati membri – in Italia con il decreto legislativo 116 del 2020 – sia quelle in via di recepimento come la direttiva Single-use plastics (nota come direttiva Sup) hanno il potenziale per produrre cambiamenti epocali.
I fattori che favoriscono il passaggio ai sistemi cauzionali
Sono diverse le misure in grado di imprimere una forte spinta verso l’adozione di un DRS anche nel nostro Paese: di seguito elenchiamo quelle più rilevanti.
La novità introdotta nel nostro Paese dal decreto legislativo 116/2020, che riforma i sistemi EPR con lo scopo di rendere i produttori responsabili dal punto di vista finanziario (e a volte anche operativo) del fine vita degli imballaggi. In modo che gli utilizzatori e produttori di imballaggi siano obbligati a coprire i costi di avvio a riciclo dei propri imballaggi nella misura di almeno l’80%. Attualmente invece, con il vigente regime di Responsabilità Condivisa del Produttore che regola l’accordo quadro Anci-Conai, questi costi ricadono per la maggior parte sugli enti locali che si occupano della raccolta differenziata;
L’obbligo di raggiungere obiettivi di riciclaggio più elevati entro il 2030 (il 60% per l’alluminio, l’80% per l’acciaio, il 75% per il vetro e il 55% per gli imballaggi in plastica) con una metodologia di calcolo dei tassi di riciclaggio molto più rigorosa che renderà più difficile gonfiare artificialmente tali numeri;
L’obbligo di una percentuale minima di contenuto riciclato dei contenitori: per le bottiglie in PET il 25% entro il 2025 e per tutti gli imballaggi per bevande in plastica il 30% entro il 2030. In realtà, alcuni marchi già superano queste percentuali di contenuto riciclato ed è presumibile che la possibilità di utilizzare il 100% di PET riciclato, il cosiddetto rPET, nelle bottiglie di plastica a partire da quest’anno contribuisca ad aumentare la richiesta di rPET da parte del mercato;
Il raggiungimento degli obiettivi di raccolta e riciclo per le bottiglie in PET imposti dalla direttiva Sup: il 77% al 2025 e il 90% al 2029 rispetto all’immesso al consumo.
Obiettivo 77% ancora lontano
Le elaborazioni di alcuni addetti del settore visionate da EconomiaCircolare.com indicano un tasso di intercettazione e riciclo nazionale delle bottiglie in PET del 58,29% nel 2019, dato che rende piuttosto improbabile raggiungere il 77%, obiettivo intermedio della direttiva Sup, entro il 2025.
Va detto che questa difficoltà, che accomuna tutti i Paesi europei privi di un sistema di deposito, sarà messa a dura prova dal nuovo metodo di calcolo dei tassi di riciclaggio, che sulla base di stime effettuate in altri Paesi potrebbe ridurre le attuali performance di riciclo in modo significativo. Anche per le bottiglie in PET la stima è di una una riduzione del 10-15%. Un rischio su cui ha acceso i riflettori anche la Corte dei Conti Europea in una sua analisi dello scorso ottobre, stimando una sensibile riduzione del tasso di riciclo medio europeo, dal 42% attuale al 30%.
I vantaggi emersi dalle oltre 40 esperienze esistenti
I sistemi cauzionali per i contenitori di bevande già in vigore da tempo in oltre 40 giurisdizioni a livello internazionale, hanno dimostrato di poter raggiungere maggiori prestazioni a vari livelli rispetto ad altri sistemi di raccolta, completando di fatto i programmi di raccolta domiciliare. Il primo vantaggio per importanza, soprattutto in relazione agli obiettivi di riciclo introdotti dalla SUP per le bottiglie di plastica, è l’alto tasso di intercettazione degli imballaggi, che arriva facilmente a superare il 90% dell’immesso al consumo. In Europa, secondo l’ultimo rapporto della piattaforma Reloop, Global Deposit Book 2020, la media si aggira intorno al 91%.
Tra gli altri vantaggi, è importante rilevare che questo sistema consente di produrre materia riciclata di qualità per realizzare altri contenitori ad uso alimentare, il cosiddetto riciclo bottle to bottle, possibile solo quando i contenitori sono puliti perché raccolti separatamente da altri imballaggi non food-grade (cioè non per beni commestibili). A questo si aggiunge che i sistemi di deposito su cauzione vedono ridurre sensibilmente i costi di gestione dei rifiuti a carico degli enti locali.
Il modo più performante di intercettare i contenitori
I sistemi di deposito su cauzione più performanti operano con il modello Return to Retail, il più diffuso, in cui la restituzione dei contenitori vuoti e il recupero della cauzione avviene presso i rivenditori abitualmente frequentati per fare la spesa. I contenitori vuoti vengono in genere restituiti attraverso dispositivi automatici chiamati Reverse Vending Machines (Rvm) installati presso i supermercati, oppure al personale dei punti di vendita, quando la raccolta è manuale e avviene nei negozi di prossimità con superfici di vendita più ridotte.
Oltre al conferimento del singolo imballaggio, le Rvm più moderne permettono anche restituzioni multiple con sacchi contenenti più imballaggi. I sistemi automatizzati moderni garantiscono standard di convenienza per i consumatori e un’affidabilità elevata, grazie a modalità di riconoscimento ottiche integrate che verificano la tipologia, la forma e il peso dell’imballaggio da ritirare, e ne determinano in tempo reale l’appartenenza o meno al programma di deposito.
I consumatori possono poi recuperare le somme derivanti dalla restituzione delle cauzioni in diverse forme: ricevono indietro i contanti, deducono la cifra dall’importo dello scontrino quando fanno la spesa oppure la possono devolvere a una causa benefica.
Silvia Ricci
fonte: economiacircolare.com
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