C’è ancora molto da lavorare sull’inclusione sociale dell’economia circolare

E per essere finanziati dalle risorse europee nell’ambito del Recovery fund, gli investimenti di settore dovranno rispettare i 6 target ambientali del Regolamento sulla tassonomia













Il workshop “Making the circular economy work for sustainability: from theory to practice”, organizzato congiuntamente da Cercis [1] e Seeds [2], per l’Università di Ferrara, e dall’Università degli Studi di Trieste ha riunito attorno allo stesso tavolo (virtuale) ricercatori e funzionari delle istituzioni europee, coinvolti in prima persona nelle prossime scelte politiche dell’Unione in campo ambientale e non solo. È stata un’occasione di approfondimento scientifico, da un lato, e di dialogo tra mondo della ricerca e mondo della politica economica, dall’altro, coordinato da due attori di primo piano della ricerca pubblica in fatto di economia circolare: Cercis è finanziato nell’ambito dell’iniziativa Miur “Dipartimenti di eccellenza”, mentre Seeds è ormai arrivato ad assommare al suo interno ben 8 Atenei (capitanati dall’Unife).

Chi ha mai avuto occasione di addentrarsi nei temi oggetto di questo workshop sa che il concetto di economia circolare non è poi così univoco e che le sue definizioni si contano a decine. Escludendo qui quelle di carattere normativo (che affermano, cioè, come l’economia circolare dovrebbe essere) e concentrandoci su quelle positive (che cos’è l’economia circolare?), merita riportare quella ricordata da uno degli ospiti dell’evento, Jesús Alquézar Sabadie (Commissione europea, Dg Ambiente), secondo cui l’economia circolare è quell’insieme di processi produttivi – in senso lato – che permettono di trattenere materia ed energia all’interno del sistema economico, procrastinandone quanto più possibile il loro ritorno all’ambiente.

Parallelamente alle questioni teoriche, il workshop si è concentrato sulla necessità di fare dell’economia circolare un progetto al servizio della sostenibilità. Ma come si spiega questa necessità? Il contributo dell’economia circolare alla sostenibilità non era forse scontato?

Una prima risposta a questa domanda poggia proprio sul concetto di sostenibilità. Semplificando molto, potremmo affermare che, ad oggi, questo termine indica la compresenza di tre aspetti: profittabilità economica, tutela ambientale e inclusione sociale. Mettere l’economia circolare al servizio della sostenibilità significa quindi renderla economicamente appetibile, rispettosa dell’ambiente e socialmente equa o, per lo meno, socialmente accettabile. Solo così è possibile trasformarla da teoria a pratica.

Come ha osservato un altro ospite del workshop, Stefan Speck (Agenzia europea per l’ambiente), il livello di circolarità non risulta in crescita, ma – forse solo per ragioni congiunturali – dal 2018 al 2019 è addirittura diminuito. Sembra lecito dedurre che agli attori economici (consumatori e imprese in primis) l’economia circolare non appaia ancora così appetibile. D’altro canto, un risultato già noto nella letteratura scientifica e riaffermato durante l’evento è che la dimensione sociale dell’economia circolare rimane ancora molto limitata. In altre parole, gli effetti dell’economia circolare sull’equità e sull’inclusione sociale sono ancora difficili da inquadrare. Come osservato da alcuni relatori, il rischio è che la sua introduzione si riveli una grande opportunità solo per alcuni ma non per tutti. Non a caso, una delle sessioni di lavoro era dedicata allo studio dell’accettabilità delle misure di economia circolare e, più in generale, di quelle di sostenibilità ambientale per i soggetti privati.

Mentre il dibattito accademico-scientifico sull’economia circolare continua, l’attuale pandemia di Covid-19 ha posto la politica economica di fronte alla necessità di prendere decisioni non solo importanti ma anche molto urgenti. Come noto, a livello di Unione europea, è stata ideata la Recovery and resilience facility, un piano da più di 650 miliardi di euro volto a finanziare riforme e investimenti negli stati membri.

Un intervento di queste dimensioni e di questa portata non poteva dispiegarsi ignorando la questione ambientale o rinunciando a cogliere l’occasione per indirizzare le nostre economie verso un percorso di sostenibilità ambientale e sociale. Come illustrato da uno degli ospiti del workshop, Florian Flachenecker (Commissione europea, Recovery and resilience task force), il 37% delle risorse impiegate dovrà essere dedicato a misure (investimenti o riforme) che contribuiscano ai due obiettivi della mitigazione dei cambiamenti climatici e dell’adattamento ai medesimi. Inoltre, per essere finanziata, una misura dovrà sottostare al principio del “do not significant harm” (in un acronimo che diventerà presto familiare: Dnhs). Più specificamente, non dovrà essere in conflitto con alcuno dei sei obiettivi ambientali del Regolamento sulla tassonomia (Reg. UE 2020/852), ovvero: mitigazione dei cambiamenti climatici, adattamento ai cambiamenti climatici, uso sostenibile e protezione delle acque e delle risorse marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e riduzione dell’inquinamento e protezione e ripristino della biodiversità e degli ecosistemi.

In questo modo, la politica economica offre una soluzione immediatamente operativa al rapporto tra economia circolare e sostenibilità ambientale. Per essere finanziati, i progetti di economia circolare dovranno garantire il rispetto degli obiettivi ambientali prefissati.

[1] Il CERCIS (CEntre for Research on Circular economy, Innovation and SMEs) è il Centro per la ricerca sull’economia circolare, l’innovazione e le PMI (http://eco.unife.it/it/ricerca-imprese-territorio/centri-di-ricerca/cercis) dell’Università degli Studi di Ferrara.

[2] Il SEEDS (Sustainability, environmentaleconomics and dynamicsstudies) è un centro di ricerca interuniversitario (www.sustainability-seeds.org).

fonte: www.greenreport.it


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