Parlare di cambiamenti climatici e di paesaggio obbliga ad una doppia lettura.
L’emergenza climatica sta infatti aggredendo i territori, in alcuni casi in modo evidente e progressivamente più drammatico.
Tutti ricordiamo le decine di milioni di alberi abbattuti dalla tempesta Vaia nel Nord-est italiano, i disastri legati alla forza devastante di uragani e cicloni, gli incendi che hanno distrutto migliaia di chilometri quadrati di foreste in California, in Australia, in Brasile, in Siberia, in Congo… con la natura ferita e milioni di animali bruciati vivi; le coste erose dall’innalzamento del livello degli oceani e dei mari, la desertificazione che avanza, la Groenlandia e l’Antartide che si sgretolano….
Si deve dunque intervenire, e rapidamente!
D’altra parte, alcune azioni per ridurre le emissioni e affrontare la sfida climatica possono comportare un’alterazione dei paesaggi.
Si tratta di modifiche che si aggiungono a quelle apportate dall’uomo con l’abusivismo, le cave, le discariche illegali di rifiuti, le raffinerie e le acciaierie sulle coste e con la costante sottrazione di spazio alla natura.
Proprio questo modello di sviluppo comporta anche una impressionante crescita delle emissioni climalteranti.
Non stupisce quindi la sollecitazione di coloro che propongono la rivisitazione di un modello non più sostenibile.
Resta il fatto che occorre agire da subito sul fronte climatico. Gli accordi internazionali, come quello di Parigi del 2015, rappresentano un risultato importante. Ma poi servono urgentemente soluzioni da attivare per contenere le emissioni.
Fra queste, diviene sempre più importante il contributo delle fonti rinnovabili. Certo, in un contesto di maggiore efficienza che include anche cambiamenti degli stili di vita.
Naturalmente l’installazione di impianti solari ed eolici può comportare un’alterazione del paesaggio e il loro inserimento va dunque pianificato con attenzione, cosa che non sempre è stata fatta in passato. Vanno inoltre coinvolte le comunità locali, e anche questo non sempre è avvenuto.
Per quanto riguarda il paesaggio, le reazioni dal punto di vista estetico variano molto in relazione alle diverse sensibilità.
Nel “sorriso di Angelica” di Andrea Camilleri, ad esempio, si legge:
“… un mari di bocche di lioni supra al quali, a ‘ntervalli regolari, si slanciavano altissime pale eoliche. Livia ne ristò affatata. Certo che avete dei paesaggi…”.
Ma nella società ci sono anche posizioni di netta chiusura.
Resta il fatto che, per arrivare alla neutralità climatica entro il 2050, obiettivo dell’Italia e degli altri paesi europei, il contributo delle rinnovabili dovrà crescere notevolmente.
Concentriamoci sul solare, che in Italia rappresenterà la tecnologia regina del sistema energetico sul lungo periodo.
Sono state effettuate diverse valutazioni sul potenziale legato alla parziale occupazione delle superfici degli edifici.
In un recente documento di Eurach si è stimata la potenza installabile utilizzando il 2,5% dell’area occupata dalle diverse tipologie di edifici. Si arriverebbe a 45 GW, poco sotto i 52 GW previsti dal Piano nazionale energia clima del governo al 2030 (A Strategic Plan for Research and Innovation to Relaunch the Italian Photovoltaic Sector).
Un Piano, che però andrà rapidamente rivisto per adeguarsi alla decisione della UE di portare l’obiettivo di riduzione dei gas climalteranti al 2030 dal -40% rispetto ai valori del 1990 al -55%.
In questo nuovo quadro, secondo Elettricità Futura che raccoglie i vari produttori elettrici del paese, il 70% dei consumi elettrici lordi dovrà essere soddisfatto da energie rinnovabili (oggi siamo al 36-38%).
Il Ministro Cingolani ha parlato di una quota pari al 72%. È dunque probabile che la potenza fotovoltaica al 2030 dovrà arrivare a valori attorno ai 70 GW (oggi siamo a 21 GW).
Ma, soprattutto, va ricordato che per il 2050 la strategia di lungo termine del Governo (pdf) prevede una potenza solare di 240 GW, oltre dieci volte superiore all’attuale.
Aumenteranno quindi notevolmente le installazioni decentrate, oggi oltre 800.000, anche grazie alla diffusione delle Comunità energetiche. Troveremo nuove soluzioni, magari si diffonderanno le vetrate solari, i moduli solari flessibili… Ma non c’è dubbio che dovremo installare anche molti impianti fotovoltaici a terra.
Di che superficie parliamo? Considerando un utilizzo delle superfici degli edifici quadruplo rispetto a quello considerato dallo studio Eurach, a metà secolo il mix di centrali solari convenzionali e agrovoltaiche occuperebbe una superficie pari a quella di un quadrato di una cinquantina di chilometri di lato, naturalmente grazie ad una molteplicità di interventi opportunamente distribuiti sui territori.
Parliamo di un’area inferiore al 2% dei 3,5 milioni di ettari della superficie agricola inattiva nel paese.
Le contraddizioni su paesaggio e lotta climatica
Partiamo dalla preoccupazione sull’alterazione del paesaggio perché consente di riflettere sulla necessità di affrontare un tema, quello dell’inserimento delle rinnovabili, che diventerà la principale, anche se non l’unica, criticità da affrontare nel processo di decarbonizzazione dei prossimi anni e decenni.
E consideriamo due casi emblematici delle contraddizioni che emergono.
Il Club Alpino Italiano (Cai) ha preso posizione contro la proposta di inserire nel Piano nazionale di recupero e resilienza la realizzazione di 1.000 piccoli invasi sulle zone di montagna e di alta collina, vista invece di buon occhio da Coldiretti.
I laghetti dovrebbero infatti servire come riserva d’acqua per l’agricoltura e contribuirebbero a ridurre il rischio di alluvioni. Inoltre, l’abbinamento tra laghetti a quote diverse consentirebbe di creare sistemi di pompaggio utili alla gestione della rete elettrica in presenza della futura larga diffusione di solare ed eolico.
Ma questa opposizione viene dallo stesso Cai che più volte ha lanciato l’allarme sulla progressiva scomparsa dei ghiacciai. In effetti, negli ultimi 50 anni la loro riduzione nelle Alpi è stata pari al 35-40%, con preoccupanti implicazioni.
Diceva Herman Hesse che “le lacrime sono il frutto del ghiaccio dell’anima che si scioglie“.
In tutto l’arco alpino nei mesi tra novembre e maggio, sotto i 2000 metri, dove cinquant’anni fa lo spessore medio della neve era di 1 metro oggi si misurano 60 cm e si è perso un mese di innevamento.
Ghiacci, neve, rocce che si frantumano sono solo alcuni degli impatti del cambiamento climatico sul paesaggio alpino…
Ma anche gli agricoltori stanno subendo gravi conseguenze dal riscaldamento globale. Coldiretti, ad esempio, ha più volte richiesto negli ultimi anni lo stato di calamità naturale per zone colpite da siccità, alluvioni, incendi…
La stessa associazione ha però finora contestato la realizzazione di grandi impianti fotovoltaici a terra.
Gli amanti della montagna e gli agricoltori sono, insomma, degli attenti sensori dei cambiamenti del clima in atto. Ma al tempo stesso si oppongono ad alcune importanti misure volte ad evitare un’evoluzione catastrofica del riscaldamento globale.
Questi due esempi illustrano il delicato equilibrio tra la preservazione della bellezza e della ricchezza del paesaggio e gli interventi volti a limitare i rischi dell’emergenza climatica.
Naturalmente andranno trovate soluzioni attente anche per aumentare il consenso sociale, decisivo per raggiungere obiettivi così ambiziosi.
E vanno definite con chiarezza aree di esclusione e limitazioni alla taglia delle centrali solari.
Significativamente, si iniziano a considerare opzioni nuove, come l’agrivoltaico che consiste nell’istallazione dei moduli ad un’altezza e ad una interdistanza tale da consentire di coltivare, in alcuni casi migliorando la qualità dei prodotti grazie all’ombreggiamento. Un risultato che si è apprezzato in alcune sperimentazioni su vigneti nella Francia meridionale. In un futuro che vedrà giornate sempre più calde, soluzioni come questa potrebbero essere apprezzate.
Si dirà, che questi interventi, se possono essere considerate validi perché consentono di mantenere o di incrementare i posti di lavoro agricoli, alterano comunque il paesaggio.
Ma va ricordato che il paesaggio si è sempre evoluto ed è la risultanza tra l’azione dell’uomo e la natura. Come dice il filosofo Rosario Assunto: “… il paesaggio è natura nella quale la civiltà rispecchia sé stessa”.
E, di fronte ai rischi gravissimi dell’emergenza climatica, bisogna rapidamente attrezzarsi.
È significativo che le tre più importanti associazioni ambientaliste, Legambiente, Wwf e Greenpeace stiano convergendo sulla necessità di accelerare la diffusione delle rinnovabili. Rilevante, ad esempio, l’ultimo documento comune sul parco eolico off-shore al largo delle coste della Sicilia.
Considerato che nei prossimi anni e decenni si dovranno installare molti impianti green in Italia, in Europa e nel resto del mondo, occorrerà pervenire ad una posizione equilibrata, per quanto possibile condivisa, sul loro inserimento nel territorio.
fonte: www.qualenergia.it
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