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Cambiamenti climatici, Greenpeace a Gentiloni: ora fatti concreti














Una lettera al Presidente del Consiglio Gentiloni per chiedere con urgenza fatti concreti nella lotta ai cambiamenti climatici. A inviarla è stata Greenpeace, che ha scelto la giornata conclusiva della COP23 di Bonn per sottolineare come l’Italia e l’Unione Europea siano nella posizione di dover passare in fretta “dalla parole ai fatti”.
Dal punto di vista della lotta ai cambiamenti climatici l’Italia sta procedendo in avanti, ma ancora più a parole che nei fatti secondo l’associazione ambientalista. Come ha dichiarato Luca Iacoboni, responsabile della campagna Clima ed Energia di Greenpeace Italia:
L’Italia sta facendo alcuni passi avanti. Tra questi l’annuncio dell’abbandono del carbone entro il 2025 o l’adesione all’alleanza “Powering Past Coal” avvenuta proprio durante la COP. Per ora si tratta solo di annunci a cui non seguono i fatti. In Europa, dove è al momento in discussione un pacchetto di misure che definirà il futuro energetico dei prossimi dieci anni, l’Italia sta mantenendo posizioni retrograde a favore delle energie più inquinanti.
In particolare Greenpeace trova in accettabile, come dichiarato in una nota, che l’Italia finanzi con soldi pubblici fonti come carbone, gas e nucleare. Mancano inoltre obiettivi davvero ambiziosi, prosegue l’associazione, per la crescita della produzione da fonti rinnovabili e una data certa per l’uscita dell’UE dal carbone. Ha proseguito Iacoboni:
Stiamo facendo gli interessi di Germania, Polonia, e altri Paesi estremamente legati ai combustibili fossili, e se continueremo così saremo responsabili del fallimento delle politiche climatiche.
L’UE tornerà a confrontarsi su questi temi il 18 dicembre 2017 a Bruxelles durante un Consiglio Europeo sull’energia, in occasione del quale gli Stati Membri saranno chiamati ad esprimere le rispettive posizioni sul “Clean Energy for all Europeans”. È tempo quindi, conclude Iacoboni, che sia l’Europa che l’Italia abbandonino posizioni “poco chiare e per nulla ambiziose” a favore di impegni concreti:
La buona notizia che arriva da Bonn è che Trump non è riuscito a bloccare le trattative sul clima, nonostante il suo annuncio di voler abbandonare gli accordi di Parigi. Ora c’è bisogno di azioni perché il tempo stringe. I veri leader devono tornare nei propri Paesi e dimostrare di aver compreso l’urgenza della situazione. Questa COP non è un punto di arrivo né un punto di partenza, ma un passo avanti lungo un percorso, iniziato due anni fa a Parigi, a cui ora occorre dare un’accelerazione importante.

fonte: www.greenstyle.it

Com’è finita la Cop 23. Dalle promesse si doveva passare ai fatti, per ora siamo fermi al “dialogo”

Tutto quello che c'è da sapere sull'esito finale dei negoziati della Cop 23 di Bonn. L'assemblea plenaria è finita all'alba di sabato 18 novembre dopo una notte intensa di colloqui, ora si passa al "dialogo". 














Bisognava semplicemente passare all’azione. Le organizzazioni non governative di tutto il mondo, i governi dei paesi in via di sviluppo e gli istituti internazionali sono arrivati in Germania con questa richiesta. Dalla Cop 23 di Bonn, infatti, ci si aspettava semplicemente l’approvazione dei “decreti attuativi” dell’Accordo di Parigi. Tuttavia, all’alba di sabato 18 novembre, dopo una nottata infinita e due settimane di negoziati, ci si è mossi a piccoli passi.

Cosa si è fatto e cosa è rimasto al palo, alla Cop 23

Alcuni (timidi) ne sono stati fatti: sugli impegni da adottare di qui al 2020 (senza aspettare cioè l’anno in cui l’Accordo di Parigi diventerà operativo), in materia di riforma del sistema agricolo, così come per quanto riguarda il rinnovo degli impegni per la riduzione delle emissioni di CO2. Tuttavia, su altri punti chiave della lotta ai cambiamenti climatici, gli avanzamenti sono stati pochi e i rinvii molti.
Nel 2018 dovrebbero essere riviste le promesse di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra (Nationally determined contribution, Ndc) fatte nel 2015 dai governi di tutto il mondo. Alla Cop 23 è stato riconosciuto che tali impegni non sono sufficienti per centrare l’obiettivo principale stabilito a Parigi, ovvero limitare la crescita della temperatura media globale ad un massimo di 2 gradi centigradi, entro la fine del secolo. Così è stato lanciato il dialogo di Talanoa che punta proprio a “raddrizzare” la traiettoria (che oggi ci porterebbe a sforare i 3 gradi). A condizione, però, che non manchi la volontà politica dei governi. “Durante il 2017, abbiamo assistito a uragani che hanno devastato i Caraibi, tempeste e inondazioni che hanno distrutto migliaia di abitazioni e scuole in Asia meridionale, ondate di siccità eccezionali in Africa orientale. Queste catastrofi rappresentano già la realtà per numerose comunità. È per questo che la Cop 23 avrebbe dovuto portare avanzamenti concreti per aiutare queste popolazioni. Invece, con rare eccezioni, i paesi ricchi sono arrivati a Bonn a mani vuote”, ha osservato Armelle Lecomte, responsabile clima di Oxfam France.

La protesta di una ong tedesca in una miniera di carbone
La protesta di una ong tedesca in una miniera di carbone (Rhineland) 
poco prima che iniziassero i lavori della Cop 23 sul clima 
© Sean Gallup/Getty Images

Per cosa ci ricorderemo di questa Cop 23

Le conferenze sul clima, però, non sono solo dichiarazioni, numeri e promesse. Ad esempio, ci ricorderemo della Cop 23 per il tempo speso ai controlli e per i chilometri percorsi – a piedi, in bici o su un veicolo elettrico – per passare da una zona all’altra. Da una parte la Bula zone dedicata ai negoziati ufficiali e alle squadre di delegati in giacca e cravatta. Una delle sensazioni più forti è stata che la maggioranza dei delegati arrivasse dal continente africano. Questo a testimonianza del fatto che ogni conferenza è fondamentale per chi vive gli effetti del riscaldamento globale sulla propria pelle. Mentre solo chi tutto questo non lo subisce direttamente può permettersi un disimpegno, seppur temporaneo.

Bonn VS Bula 1-0

Dall’altra la Bonn zone, quella dedicata alla società civile, alle organizzazioni non governative e alle startup che hanno catturato l’attenzione dei pochi giornalisti presenti grazie a una buona dose di entusiasmo. E anche ai padiglioni degli stati che hanno capito che per ergersi a “leader climatici” bisogna stare tra le persone e saper comunicare con loro. Anche quando non si ha molto da dire. Per questi motivi e per una sostanziale mancanza d’interesse dovuta a pochi “leaks” da inseguire o “rumors” da twittare, la Bula zone è stata pressoché snobbata, in favore di una dinamicità di eventi e di iniziative che hanno fatto apparire la società civile avanti anni luce rispetto ai politici.

Jerry Brown, leader di We are still in “ha fatto” il presidente degli Stati Uniti

Quegli stessi politici che neanche erano presenti. “L’impressione è che alcuni governi abbiano interpretato l’Accordo di Parigi come un traguardo finale, anziché come un punto di partenza”, hanno riportato da Bonn gli inviati di alcune emittenti internazionali.

Emmanuel Macron e Angela Merkel alla Cop 23

Emmanuel Macron e Angela Merkel alla Cop 23 di Bonn, 
il 15 novembre 
© Philipp Guelland – Pool/Getty Images

Nessuno, in effetti, saprebbe dire quali altre capi di stato e di governo abbiano timbrato il cartellino della Cop 23, oltre alla cancelliera tedesca Angela Merkel, obbligata a fare gli onori di casa, e al presidente francese Emmanuel Macron, che voleva portare alto il nome di Parigi che dà il nome all’Accordo. Tanto da decidere di convocare un nuovo summit sul clima (One planet), che si tiene nella capitale francese il 12 dicembre, dedicato principalmente ai finanziamenti. “La conferenza di Parigi”, ha sottolineato Lecomte, rappresenta “un esame di riparazione per i paesi ricchi, nella speranza che si decidano a mettere i soldi sul piatto”. Per conto degli Stati Uniti, o almeno della popolazione americana, erano presenti l’ex e l’attuale governatore della California: Arnold Schwarznegger e Jerry Brown che hanno animato il padiglione a forma di igloo targato “Climate action center”, che ha riunito anche la coalizione We are still in fatta di stati, città, imprese e organizzazioni americane che hanno deciso di continuare a rispettare gli obiettivi dell’Accordo di Parigi nonostante la decisione del presidente Donald Trump di ritirarsi. Anche per questo ci ricorderemo di questa conferenza sul clima: per la capacità della società civile di riconquistarsi il ruolo che le spetta. Anche fisicamente. Il ruolo di chi ha la ragione dalla sua parte.

Il carbone

Nel bene e nel male. Il carbone, cioè il combustibile fossile più sporco del mondo, ha dominato la scena. C’è chi ha lanciato un’alleanza per dire addio al carbone entro il 2030 composta da una ventina di governi, Italia inclusa, e chi ha avuto il coraggio di tenere una conferenza sul carbone “pulito” – made in Usa. La delegazione ufficiale americana ha seguito le indicazioni della Casa Bianca che, a più riprese, ha annunciato di voler puntare anche sul carbone per garantire agli americani tutta l’energia di cui hanno bisogno. In pratica, anche lo stoccaggio della CO2 emessa dalle ciminiere delle centrali a carbone può diventare una soluzione per combattere i cambiamenti climatici, secondo Trump.

La protesta di una ong tedesca in una miniera di carbone
La protesta di una ong tedesca in una miniera di carbone (Rhineland) 
poco prima che iniziassero i lavori della Cop 23 sul clima 
© Sean Gallup/Getty Images

Non ci sono più Cop tecniche, ci sono Cop d’azione

Dopo un’iniziale muro contro muro tra i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo, questi ultimi hanno ottenuto che i governi indichino fin da subito cosa stanno facendo o hanno intenzione di fare per la lotta ai cambiamenti climatici.

Cosa bisogna fare prima del 2020

Il sud del mondo ha infatti sottolineato la necessità di rispettare gli obiettivi fissati dalla seconda fase del Protocollo di Kyoto – di cui si sono festeggiati i 20 anni – quella che va dal 2013 al 2020, ma che ancora non è entrata in vigore poiché non ha ottenuto il numero necessario di ratifiche. In questo modo, si punta a “coprire” gli anni che rimangono prima del momento in cui l’Accordo di Parigi diventerà operativo.

La Cop 23 e l’agricoltura

Altro avanzamento importante è quello legato all’agricoltura. Richiesto da ormai sei anni, il programma di lavoro sulla sicurezza alimentare e sull’intero settore agricolo è finalmente entrato a pieno titolo nei negoziati. Le ong e la Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, avevano insistito fortemente, ricordando come i cambiamenti climatici rappresentano ormai una delle principali cause di malnutrizione nel mondo. E l’agricoltura una delle principali cause del riscaldamento globale.

Il Gender action plan

Nell’ambito della Cop 23 è stato adottato anche il “Gender action plan”, piano d’azione per la parità di genere, con l’obiettivo di integrare il tema nei programmi per l’ambiente e il clima. È stata l’italiana Chiara Soletti dell’Italian climate network a intervenire sul tema nel corso della seduta plenaria che si è svolta nella notte tra venerdì e sabato. Una notte complessa: sono state necessarie numerose interruzioni e molti colloqui a porte chiuse per trovare un accordo, soprattutto sulla questione del dialogo di Talanoa.
Le difficoltà incontrate a Bonn sono ben riassunte d’altra parte dalle questioni sulle quali non si è riusciti a trovare un accordo, se non parziale. Primo fra tutti il problema dei finanziamenti che rappresenta il cuore di tutte le questioni: senza fondi è impossibile avviare qualsiasi piano di mitigazione, transizione o adattamento.

plenaria finale cop23 bonn
Plenaria finale della Cop 23 di Bonn, 2017. Antonio Guterres, 
segretario generale delle Nazioni Unite, Frank Bainimarama, 
primo ministro delle isole Figi e presidente della Cop 23, 
il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier
 e la segretaria dell’Unfccc Patricia Espinosa Cantellano 
© Lukas Schulze/Getty Images

One planet a Parigi. Per i più volenterosi appuntamento a dicembre

Da un lato, alla Cop 23 si è accettato il principio secondo il quale i fondi per riparare i danni subiti dalle nazioni più vulnerabili non debbano far parte dei famosi 100 miliardi di dollari promessi (e mai stanziati integralmente) nel lontano 2011 per il Fondo verde per il clima. Dall’altro, però, la questione fondamentale del reporting – ovvero della trasparenza sul come il denaro viene utilizzato – è stata rinviata al 2018.
Ecco perché Macron ha deciso di riunire a Parigi, il 12 dicembre, un centinaio di paesi. Non tutti: solo quelli che hanno voglia di fare sul serio. Donald Trump non è stato invitato. L’obiettivo, come sottolineato dalla rete di ong Climate action network è arrivare alla Cop 24 di Katowice, in Polonia, “per prepararsi a rendere ancora più ambiziosi gli obiettivi entro il 2020 in modo da poter mettere in atto la transizione verso un futuro rinnovabile”.

fonte: www.lifegate.it

Come arrivare al 100% di rinnovabili nel settore elettrico

Uno studio Energy Watch Group-Lappeenranta University propone un modello energetico basato esclusivamente sulle tecnologie pulite al 2050, grazie al boom del fotovoltaico e dell’eolico con l'ausilio dei sistemi di accumulo. Possibile un azzeramento delle emissioni di CO2, ma cosa accadrà nel riscaldamento e nei trasporti?
















Uno scenario energetico al 100% rinnovabile è utopia o realtà?
Mentre alla Cop23 di Bonn proseguono i negoziati sul clima, è uscito un nuovo studio, elaborato dall’organizzazione no-profit tedesca Energy Watch Group e dall’ateneo finlandese Lappeenranta University of Technology, che propende senza alcun dubbio per la seconda ipotesi, perché ritiene credibile una transizione accelerata verso le tecnologie pulite al 2050, al contrario di quanto affermano rapporti molto più conservativi, come il World Energy Outlook appena pubblicato dalla IEA (International Energy Agency).
La IEA, d’altronde, ha sempre sottostimato il potenziale delle rinnovabili, anche a causa di un presunto errore statistico, dovendo poi correggere in più occasioni le sue previsioni troppo sbilanciate sul lato fossile.
Analoga diffidenza verso le rinnovabili è parte integrante dei rapporti di vari colossi petroliferi, ad esempio BP continua ad assegnare un futuro ruolo dominante ai combustibili tradizionali (vedi QualEnergia.it).
Proprio in questi giorni, però, l’agenzia IRENA (International Renewable Energy Agency) ha diffuso un documento che approfondisce il vastissimo potenziale inespresso delle fonti green a livello mondiale.
Molte compagnie, tra cui Enel, Total, TenneT, sono sempre più orientate a scommettere sulle risorse a basso contenuto di CO2, con investimenti mirati ai nuovi settori dell’economia verde: auto elettrica, sistemi di accumulo, generazione distribuita, smart grid.
Torniamo allo studio tedesco-finlandese: secondo il suo principale autore, Christian Breyer, “la transizione energetica non è più una questione di fattibilità tecnica o di convenienza economica, ma di volontà politica”.
L’intero documento, infatti, evidenzia come sia possibile eliminare completamente l’output fossile in poco più di trent’anni, utilizzando solamente le tecnologie disponibili e mantenendo in piena sicurezza le forniture globali di elettricità.
Il mix delle fonti dovrebbe cambiare radicalmente, come riassume il grafico sotto.




Nel 2050, nella visione “100% rinnovabili”, il fotovoltaico produrrà il 69% dell’energia elettrica nel mondo, seguito dall’eolico (18%).
Un sistema di generazione di questo tipo, chiaramente, può funzionare solo con una notevole capacità di accumulo energetico di supporto. Le batterie, quindi, in questo scenario, copriranno il 30% circa della domanda elettrica al 2050 (oltre 15.000 TWh), come evidenzia la prossima coppia di “torte”.




Per quanto riguarda i costi “tutto compreso” dell’energia (LCOE, Levelized Cost of Electricity), lo studio assume che il valore medio globale LCOE scenderà da 70 a 52 €/MWh dal 2015 al 2050, considerando tutte le variabili, quindi non solo i costi di produzione, ma anche quelli per gestire nel suo complesso il sistema elettrico: storage, taglio forzato della potenza disponibile (curtailment), trasmissione-distribuzione.
Le fonti rinnovabili, d’altro canto, hanno visto una discesa costante e molto marcata dei loro costi negli ultimi anni (vedi anche QualEnergia.it con le ultime analisi di Lazard) e in certe condizioni particolarmente favorevoli hanno raggiunto valori incredibilmente bassi.
Un’asta per il fotovoltaico in Arabia Saudita, ad esempio, è stata vinta con un’offerta sotto 20 $/MWh per un impianto da 300 MW. In Europa, perfino una tecnologia dispendiosa come l’eolico offshore sta diventando competitiva con le altre fonti elettriche: in Gran Bretagna alcuni parchi marini produrranno energia intorno a 60 €/MWh (vedi QualEnergia.it).
Infine, il grafico sotto mostra l’andamento delle emissioni di CO2 nella transizione verso lo scenario “carbon free” al 2050, nelle diverse aree geografiche.




Tuttavia, l’analisi esclude due settori in cui è molto forte la dipendenza dai carburanti fossili (vedi anche QualEnergia.it sul previsto incremento delle emissioni di gas-serra provocate dall’uomo nel 2017): che cosa dovremo aspettarci nel riscaldamento e nei trasporti?
La partita dell’economia verde planetaria, di certo, non potrà limitarsi al comparto elettrico, ma dovrà accelerare anche la diffusione di combustibili puliti per automobili, aerei e navi, oltre che aumentare in modo considerevole l’efficienza energetica e la quota di rinnovabili nella produzione di calore.

fonte: www.qualenergia.it

Le promesse non cambieranno il clima
















Sono passati due anni dal dicembre 2015, da quando i Paesi membri della Convenzione sul cambiamento climatico hanno deciso di convergere verso un terreno comune, quell’accordo di Parigi che avrebbe modificato l’architettura climatica per gli anni a venire. Un passaggio necessario anche se per ora insufficiente, considerato che le emissioni (solo da combustibili fossili e industria) hanno superato le 36 miliardi di tonnellate nel 2016, ben il 62 per cento in più rispetto al 1990, considerato come data di riferimento per molti passaggi storici, come lo stesso Protocollo di Kyoto.
Quelle 36 mliardi di tonnellate sono destinate a salire del 2 per cento quest’anno, secondo le stime sul Carbon Budget pubblicate su Nature Climate Change e presentate alla COP23 di Bonn nel padiglione del WWF. Le promesse di riduzione delle emissioni, consegnate negli ultimi due anni dai Paesi membri al segretariato delle Nazioni Unite non bastano.
Quegli NDCs, i contributi nazionali per combattere il cambiamento climatico, se mantenuti sulla traiettoria attuale non modificheranno lo scenario di un mondo più caldo di 3°-4°C nei prossimi decenni. Una previsione che sarà molto probabilmente confermata dal prossimo report dell’IPCC, previsto per l’ottobre 2018, poco più di un mese prima della COP24 a Katowice, in Polonia.
Per questo in questi mesi si sta lavorando per un Facilitative Dialogue, che in questa COP dalla presidenza Fijiana ha preso i connotati di un processo inclusivo e trasparente, seguendo le caratteristiche della Talanoa, il tipico approccio alla partecipazione delle isole del Pacifico che prevede un misto tra razionalità e partecipazione emotiva e umana. Quanto questo porterà a un’effettiva revisione degli impegni assunti sarà da dimostrare.





Del resto il clima collaborativo che si respira nel percorso del Dialogue non si vede in altri ambiti. Tutta la parte del Loss and Damage, cioè la finanza dedicata a controbilanciare le perdite e i danni subiti dai Paesi più vulnerabili a causa degli eventi estremi è ancora in alto mare. Nessun passo avanti in questo processo sarebbe un brutto servizio reso alla Presidenza delle Fiji che, insieme agli altri Paesi insulari del gruppo AOSIS, aveva fatto del Loss and Damage un cavallo di battaglia in tutte le COP precedenti.
Aggiornamento dei tagli delle emissioni e adattamento al clima che cambia non possono essere più rimandati. Fanno parte del pacchetto delle misure “pre 2020” che riguardano tutte le azioni da intraprendere prima dell’entrata in vigore dell’Accordo di Parigi, previsto per il 2020.
D’altra parte lo sbilanciamento del sistema climatico va affrontato quanto prima e in modo ampio e coordinato: una recente pubblicazione su Environmental Research Letters di Natalie Mahowald della Cornell University ha sottolineato come focalizzare le politiche di mitigazione solamente su industria e combustibili fossili può essere parziale. Non considerare il contributo della deforestazione e della degradazione forestale, soprattutto ai tropici, non permetterà di rispettare l’obiettivo di 2°C entro il 2100. L’accordo trovato sull’agricoltura, sulla necessità di investimenti per renderla più sostenibile, sul ruolo centrale dell’agroecologia fa ben sperare. Ora la palla passa al SBI, il Subsidiary Body for Implementation, per rendere concreto questo passaggio.

fonte: comune-info.net

Firmato un piano mondiale per garantire la salute pubblica. Unfccc e Oms insieme alla Cop 23 di Bonn

Oms e Unfccc hanno siglato alla Cop 23 di Bonn un Protocollo d’intesa per cooperare in materia di tutela della salute di fronte alle mutazioni del clima.















Unire le forze al fine di rispondere in modo efficace all’impatto che la crescita della temperatura media globale avrà sulla salute della popolazione mondiale. Il tutto aiutando le singole nazioni (in particolare quelle più vulnerabili) ad adottare i provvedimenti necessari. È questo l’obiettivo del Protocollo d’intesa firmato dall’Organizzazione mondiale della Sanità e dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (Unfccc) nel corso della Cop 23 di Bonn.

“La protezione della salute è un pilastro dello sviluppo sostenibile”

Oms e Unfccc puntano in questo senso a vigilare affinché “tutti gli stati che attualmente risultano dotati di strutture sanitarie insufficienti possano ricevere un sostegno adeguato per proteggere i loro abitanti e rafforzare la loro resilienza di fronte alle minacce incombenti”. Non a caso, il Protocollo riconosce che “la protezione e il miglioramento della salute pubblica costituiscono un pilastro dello sviluppo sostenibile”. “Sono particolarmente felice del fatto che la collaborazione tra i nostri due istituti possa fare un salto di qualità, spingendoci ancor di più verso l’azione. L’Accordo di Parigi richiede che si uniscano tutte le forze al fine di tutelare la salute della popolazione mondiale”, ha commentato Patricia Espinosa, segretaria esecutiva dell’Unfccc.

clima salute oms

Organizzazione mondiale della Sanità e Unfccc hanno siglato alla 
Cop 23 di Bonn un protocollo per tutelare la salute di fronte ai 
cambiamenti climatici 
©Chris Hondros/Getty Images

La dirigente ha ricordato inoltre come per molte persone i rischi sanitari siano già aumentati a causa dei cambiamenti climatici: “Dall’inquinamento alle ondate di caldo eccezionale, dalla contaminazione delle fonti di acqua potabile agli eventi meteorologici estremi: numerosi fenomeni colpiscono già in tutto il mondo”. Le due organizzazioni hanno sottolineato, in questo senso, il fatto che a causa delle mutate condizioni del clima si potrebbero registrare circa 250mila morti in più ogni anno tra il 2030 ed il 2050, rispetto ai livelli attuali. Malnutrizione, diarrea e malaria rappresenteranno alcune delle principali cause dei nuovi decessi.

Oms e Unfccc coinvolgeranno professionisti della salute, politici e società civile

Il nuovo Protocollo, hanno aggiunto Oms e Unfccc, punta ad offrire un quadro comune per una collaborazione strategica. Verrà rafforzata così la capacità di mobilitazione, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Saranno forniti consigli sui rischi sanitari e promosse iniziative di mitigazione e adattamento, coinvolgendo i decisori politici, i professionisti della salute e la società civile. Le due organizzazioni hanno infine promesso che i progressi che saranno via via realizzati in ciascuna nazione verranno monitorati e misurati, al fine di consentirne una continua valutazione.

fonte: www.lifegate.it

Al via a Bonn la Cop 23. Nel 2017 nuovi record per i cambiamenti climatici

















CO2 in aumento nell’atmosfera terrestre, crescita del livello degli oceani, temperature a livelli record e moltiplicazione dei fenomeni meteorologici estremi. Il 2017 non è ancora concluso ma viene già dipinto dall’Organizzazione meterologica mondiale (Omm) come un anno, l’ennesimo, capace di dimostrare quanto i cambiamenti climatici siano già presenti.

clima cop23 record
Il 2017 sarà probabilmente l’ennesimo anno record per i cambiamenti climatici 
©Ian Waldie/Getty Images

“Il 2017 sarà probabilmente uno dei tre anni più caldi della storia”

L’istituto internazionale ha sottolineato in particolare come sia “fortemente probabile che il 2017 si classifichi tra i tre anni più caldi mai registrati” da quando i dati vengono monitorati con regolarità, ovvero dal 1880. Finora, la temperatura media globale sulla superficie delle terre emerse e degli oceani è stata infatti, in media, di 1,1 gradi centigradi più alta rispetto all’epoca pre-industriale.
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  • Il rapporto dell’Omm arriva in concomitanza con l’apertura della Ventitreesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni Unite (Cop 23), che si tiene a Bonn, in Germania, fino al 17 novembre. “Gli ultimi tre anni – ha spiegato il segretario generale dell’organizzazione, Petteri Taalas – sono stati i più caldi mai registrati e, sul lungo termine, indicano una chiara tendenza al riscaldamento del clima terrestre. Abbiamo registrato picchi di caldo eccezionali in Asia, con temperature superiori ai 50 gradi centigradi. Ma anche uragani di intensità record nell’Atlantico, che sono arrivati fino all’Irlanda, inondazioni devastanti causate dai monsoni che hanno colpito milioni di persone, nonché una terribile ondata di siccità in Africa orientale”. “La paternità indiscutibile di molti di questi fenomeni – prosegue il dirigente – è dei cambiamenti climatici provocati dall’aumento della concentrazione di gas ad effetto serra nell’atmosfera, a loro volta figli delle attività antropiche”.

    clima cop23 carbone
    Impianti a carbone nei pressi di Cottbus, in Germania ©Sean Gallup/Getty Images

    Nel 2016, registrati già 23 milioni di profughi climatici


    “Tutto ciò – ha aggiunto Patricia Espinosa, segretaria dell’Unfccc, Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – evidenzia i rischi che correrranno le popolazioni, le economie e i meccanismi vitali della Terra, qualora le nostre azioni non saranno all’altezza delle ambizioni indicate nell’Accordo di Parigi”, raggiunto al termine della Cop 21, nel dicembre del 2015. Studi recenti dimostrano che il rischio di malattie o decessi legato alle ondate di calore è cresciuto regolarmente dagli anni Ottanta, e che oggi quasi un terzo della popolazione mondiale è minacciato. Nel solo 2016, inoltre, 23,5 milioni di persone sono stati costretti a fuggire dalle loro terre perché colpite da catastrofi d’origine meteorologica. In Somalia, ad esempio, sono stati recensiti 760mila profughi, secondo l’Alto commissariato Onu per i Rifugiati. Mentre per quanto riguarda il lato economico, il Fondo monetario internazionale ha spiegato che, già oggi, le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici vengono registrate in aree nelle quali abita il 60 per cento della popolazione mondiale.
    I cambiamenti climatici in cifre
    L’Omm ha quindi riepilogato le cifre più importanti legate ai cambiamenti climatici e alle loro conseguenze. Ne emerge un quadro allarmante, che dovrebbe spingere all’azione le 196 delegazioni di altrettanti paesi riunite a Bonn.
    Temperature globali a livelli record Il sintomo più evidente degli sconvolgimenti è rappresentato ovviamente dall’aumento della temperatura media globale, che nel periodo gennaio-settembre 2017 è risultata di 0,47 gradi superiore alla media del periodo 1981-2010. E ciò senza neppure l’apporto del fenomeno El Niño, che invece era stato presente nel corso dei due anni precedenti. La temperatura media (dato provvisorio), tra il 2013 ed il 2017, sarà probabilmente di 0,4 gradi superiore ai tre decenni terminati nel 2010, e di 1,03 gradi rispetto ai livelli pre-industriali.
    Precipitazioni L’Argentina, la Cina occidentale e alcune del Sud-Est asiatico hanno registrato precipitazioni superiori al normale, così come l’area del Sahel, in Africa. Gli Stati Uniti, nei primi nove mesi dell’anno in corso, hanno battuto tutti i record di pioggia. In India, inoltre, sebbene il dato a livello nazionale sia risultato in calo del cinque per cento, le precipitazioni monsoniche si sono concentrate nelle regioni nord-occidentali, provocando gravi inondazioni. Al contrario, Canada, regione mediterranea, Somalia, Mongolia, Gabon e Sudafrica hanno registrato un netto calo delle precipitazioni. E in Italia, il periodo gennaio-settembre 2017 è stato il più secco della storia.
    antartico ghiaccio cop 23
    Ghiaccio fratturato nella regione antartica ©Mario Tama/Getty Images
    Neve e ghiacci L’estensione della calotta glaciale artica è stata decisamente inferiore al normale nei primi mesi dell’anno, arrivando a toccare minimi record tra gennaio ed aprile. In estate, poi, il deficit rispetto alla superficie “normale” del periodo 1981-2010 è stato compreso tra il 25 e il 31 per cento. Situazione identica nella regione antartica, nella quale si sono registrati i record di estensione minima e massima, rispettivamente all’inizio di marzo e alla metà di ottobre.
    Livello dei mari Il livello medio dei mari su scala planetaria, nel 2017, potrebbe risultare relativamente stabile rispetto all’anno precedente, quando però era stato raggiunto un valore record rispetto alla media del periodo 2004-2015. Inoltre, i dati estivi sembrano indicare nuovi incrementi.
    Temperatura dei mari Anche la temperatura media sulla superficie dei mari, nei primi mesi dell’anno in corso, ha raggiunto livelli record o è rimasta molto vicina ai massimi storici. Il riscaldamento dei mari tropicali, in particolare, ha contribuito al fenomeno dello sbiancamento dei coralli, in particolare in Australia. L’Unesco nel mese di giugno ha affermato che 29 barriere coralline classificate patrimonio dell’umanità sono ormai minacciate dal mare troppo caldo.

    clima cop23 proteste
    Una manifestazione a Bonn, in Germania, alla vigilia dell’apertura della Ventitreesima 
    Conferenza mondiale sul Clima delle Nazioni Unite (Cop 23) ©Sean Gallup/Getty Images
    Acidificazione degli oceani Gli oceani assorbono fino al 30 per cento delle emissioni di CO2 di origine antropica. Ciò aiuta a mitigare i cambiamenti climatici, ma provoca anche un aumento del tasso di acidità dei mari: la stazione di Aloha, alle Hawaii, ha rivelato che il ph dell’acqua è aumentato progressivamente dagli anni Ottanta. Il che minaccia numerosi organismi primordiali e può ripercuotersi sull’intera catena alimentare.
    Gas ad effetto serra Il tasso di concentrazione di CO2 nell’atmosfera, tra il 2015 e il 2016, è stato il più alto mai registrato nella storia: 403,3 parti per milione, in media. La media relativa al 2017 sarà fornita ufficialmente solo l’anno prossimo, ma le prime analisi dei dati indicano che la crescita dei livelli di biossido di carbonio, metano e protossido di azoto è probabilmente proseguita.
    fonte: https://www.lifegate.it

    “EcoFuturo Festival 2017, dal 12 al 16 luglio al Fenice”













    EcoFuturo Festival 2017 avrà luogo al Fenice Green Energy Park! La manifestazione avrà come tema “Eco&Equo – Ecotecnologie e la promessa della Terra”.
    EcoFuturo Festival: cinque giorni intensi con 8 ore di trasmissione in diretta Facebook, Youtube e in streaming in tutti i siti eco-ambientali italiani, con media partner anche del mondo della carta stampata, come Il Fatto Quotidiano e La Stampa.
    La promessa della terra, inserita nel titolo della manifestazione, indica che con le nuove ecotecnologie, che saranno esposte nel parco ed illustrate nel corso delle sessione tematiche, la terra sarà capace di reimmettere nel sottosuolo tutta la CO2 che oggi altera il clima.
    La rivelazione del monumento all’aratro, con cui si aprirà Ecofuturo è il segno di come tutto cambierà, facendo in modo che la terra produca due volte l’anno, dando energia e cibo e migliorando continuamente la propria fertilità.
























    Questa fantastica speranza verrà spedita con una lettera, nell’ultimo giorno del festival, al COP23 di Bonn, sottoscritta da tutte le ecotecnologie presentate nei giorni del festival e e da tutti i cittadini che vorranno essere presenti al festival stesso, per chiedere che il COP23 ospiti non solo i climatologi che vedono nero ma anche le industrie, gli agricoltori e gli uomini ecotecnologici che invece vedono nella lotta ai cambiamenti climatici la più grande evoluzione verso un mondo più eco, equo ed economicamente rinato.
    Ogni sera ci saranno spettacoli con i grandi eco-comunicatori italiani, Lucia Cuffaro, Valerio Rossi Albertini, Jacopo Fo, Michele Dotti e una cena a 10 euro con paste i grani antichi, sughi della tradizione italiana e vini biologici.
    Inoltre dalle 18:00 alle 20:00 di ogni giorno, operatori del benessere e medici della medicina integrata, descriveranno le strategie per restare e tornare in salute naturalmente.

    fonte: http://nonsoloambiente.it