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La Svezia rivoluziona la sua industria in nome dell’ambiente

Si vota a breve per tagliare l’Iva sulle riparazioni e mettere il bastone tra le ruote a un’economia basata sugli acquisti seriali.
 
Pippi Calzelunghe, ideata in Svezia nel 1945, era una cerca-cose: raccoglieva in giro robe vecchie o rotte per inventargli una nuova vita
Si chiama obsolescenza programmata e partecipa attivamente alla nostra rovina: economica e ambientale. I prodotti che compriamo sono fragili, sempre più facili da rompere, e ripararli – lo sappiamo – costa più che comprarli nuovi. Questa è un po’ la base del progresso, ci ha detto l’industria, e se vogliamo far crescere il Pil e creare occupazione, dobbiamo vendere, vendere, vendere. Non ci crede però la Svezia, che con una proposta di legge rivoluzionaria promette di invertire la tendenza che – sappiamo anche questo – incide direttamente sulle nostre vite rovinando il pianeta.
Tra un paio di mesi il Paese scandinavo voterà se ridurre l’Iva sulle riparazioni dal 25 al 12%, su tutte le riparazioni: dai cellulari alle bici, dalle lavatrici ai giocattoli. In più, quanto speso dai consumatori (divenuti piuttosto riparatori) potrà essere detratto per la metà dalla dichiarazione dei redditi.
Secondo i calcoli dei democratici e ambientalisti svedesi, questo è quanto serve per rendere economicamente vantaggiosa la riparazione degli oggetti rotti. Lo ha dichiarato Per Bolund, il ministro delle Finanze svedese, in quota verdi. La cosa può darsi impatti sull’industria tradizionale, ma per Bolund farà da volano a un’altra industria, quella delle riparazioni, creando numerosi posti di lavoro accessibili con una formazione relativamente breve (perfetta ad esempio per gli immigrati e i profughi, che nel Paese rappresentano una discreta percentuale di senza lavoro).

Il principale obiettivo di questa mossa resta naturalmente ambientalista, confermando la Svezia come faro di tutte le società evolute. Dal 1990, il Paese ha tagliato del 23% le sue emissioni ed è ben deciso ad andare avanti. L’inquinamento legato alla produzione industriale è infatti rimasto in costante crescita, e solo l’incentivazione di realtà ben diffuse e apprezzate – in Svezia – come la sharing economy e il “Maker Movement”, potrà riuscire nel miracolo.
Se leggendo la notizia state pensando che in Italia non succederà mai, potete tentare di reagire divenendo anche voi un po’ più “Maker” e aprendo per esempio un Repair Café. Da noi ne esiste uno solo a Roma e uno a Pavia, eppure trovare il modo di crearne un altro nella vostra città è relativamente facile. I Repair Café sono luoghi dove portare il tuo frullatore rotto ad aggiustare senza spendere (o spendendo molto poco). Sono nati in Olanda e sono diffusi in molte città del mondo. Funzionano grazie a gente capace di aggiustare che si offre di farlo gratuitamente, insegnando anche agli altri a mettere le mani in pasta. Così, per il gusto di non buttare via, per il piacere di creare e far funzionare, dando nuova vita alle cose rotte. Un sogno infantile e romantico, quello – guarda un po’ – dei Cercacose di Pippi Calzelunghe: una bimba inventata circa 70 anni fa, proprio in Svezia.

fonte: http://www.wired.it

Parte la riforma dell’Iva in Europa, ma l’economia circolare rimane ancora al palo

Un anno e mezzo fa il ministro dell’Ambiente italiano: «Introdurre Iva agevolata al 4% per prodotti riciclati». Poi più nulla

In Europa, complessivamente l’evasione dell’Iva vale qualcosa come 170 miliardi di euro su 1.000 raccolti (il 7% del Pil Ue). È questa, per la precisione, la cifra che – secondo gli ultimi dati in possesso della Commissione Ue, aggiornati al 2013 – separa la differenza tra le entrate Iva previste e quelle effettivamente riscosse negli Stati membri: un ammontare che in Italia pesa in particolar modo. Si tratta di cifre assai piccole se confrontate con quelle  che girano attorno ai grandi capitali, messi da ultimo nel mirino con l’inchiesta Panama papers. Come ricordato dal Manifesto, nei paradisi fiscali secondo il Tax Justice Network si nascondono «tra i 21mila e i 32mila miliardi. Di questi, minimo 7.600 sarebbero di proprietà di soli individui ricchi, quelli principalmente sbugiardati dalle ultime rivelazioni». I 170 miliardi di euro individuati dalla Commissione sono però altrettanto scomodi in quanto vicini. Hanno a che fare col commercio di tutti, dei comuni cittadini.
«Si tratta di un enorme spreco di risorse – ha dichiarato Pierre Moscovici, Commissario per gli Affari economici e finanziari – che potrebbero essere investite per la crescita e l’occupazione. È ora di riappropriarsi di queste risorse. Vorremmo inoltre offrire agli Stati membri maggior autonomia per la definizione delle aliquote Iva ridotte. Il nostro piano d’azione permetterà di ottenere risultati su tutta la linea».
Per ridurre il divario dell’Iva, l’Europa ha preferito muoversi alla radice, e proporre una revisione complessiva dell’imposta sul valore aggiunto. Un piano d’azione presentato oggi, che si muove lungo due pilastri. Il primo rivede l’attuale sistema dell’Iva per il commercio transfrontaliero, entrato in vigore nel 1993 (quando l’e-commerce, ad esempio, praticamente non esisteva) e ormai soggetto a frodi sistematiche – pari a 50 miliardi di euro l’anno – che sfruttano le diverse normative nazionali di riferimento. Il secondo pilastro prevede invece una riforma più generale dell’Iva, che porti a una maggiore autonomia per gli Stati membri nella scelta delle aliquote agevolate. Si tratta di un cambio passo molto importante, potenzialmente decisivo per garantire in Europa maggiore slancio all’economia circolare e al mercato dei beni riciclati. Peccato che quest’aspetto, che arriva al cuore della più volte annunciata riforma fiscale ecologica, non sia oggi mai stato toccato direttamente a Bruxelles.
Per individuare quale via intraprendere, la Commissione chiederà ora al Parlamento europeo e al Consiglio, con il sostegno del Comitato economico e sociale europeo, di fornire un chiaro orientamento politico, per poi presentare in quest’anno e nel prossimo «proposte su tutte le questioni sollevate». L’Italia da che parte sta in questa partita?
Ormai un anno e mezzo fa l’attuale ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, dichiarò chiaramente: «Nei mille giorni che abbiamo davanti mi piacerebbe introdurre l’Iva agevolata al 4% per certi prodotti riciclati». Si tratta di puro buon senso (oltre che una storica proposta della nostra redazione), «semplicemente perché – come è stato ribadito dalla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa – se un prodotto è fatto con materiale riciclato, quel prodotto l’Iva l’ha già pagata, e non ha senso fargliela pagare due volte per intero».
Oltre ad una mirata politica industriale sulla rinnovabilità della materia, occorre adoperare (sia per gli scarti produttivi che per quelli post consumo) la stessa leva adoperata per la rinnovabilità dell’energia. Basterebbe azzerare (o ridurre drasticamente) l’Iva per rendere competitiva materia e prodotti derivati da riciclo di materia: sugli incentivi la via più semplice sarebbe proprio quella di agire sull’Iva. Con l’Iva al 5%, o anche al 10%, tutti i prodotti e/o manufatti realizzati con materiale riciclato diventerebbero immediatamente appetibili al consumatore, alle amministrazioni e alle imprese.
Eppure i mille giorni citati da Galletti si stanno avvicinando a chiusura senza esito. Mille giorni erano il tempo che, a settembre 2014, il governo Renzi si era dato per «cambiare alla radice». Mille giorni che scadono tra un anno, a maggio 2017. Da quella dichiarazione estemporanea di Galletti, però, dell’Iva agevolata sui prodotti riciclati non se n’è però saputo più nulla.
L’ipotesi lanciata da Galletti non è rientrata nelle leggi di Stabilità, come pure non si è concretizzata all’interno del Collegato ambientale, che per il riciclo prevede solo sparuti quanto vaghi incentivi. Anche la Commissione europea, nel celebrato pacchetto per l’economia circolare, rimane indietro. Adesso la riforma dell’Iva su tutto il territorio europeo torna a riaprire una possibilità: speriamo che dalla retorica sull’economia circolare si passi finalmente ai fatti.

fonte: http://www.greenreport.it/


CASSAZIONE: L’IVA SULLA TIA VA RIMBORSATA

La sentenza della Corte di Cassazione che ha giudicato illegittima l’applicazione dell’Iva sulla Tia obbliga i gestori dei servizi ambientali a restituire le somme sottratte ai clienti: Resta il nodo degli interessi

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La Corte di Cassazione a sezioni unite ha respinto il ricorso di Veritas Spa contro una sentenza di un giudice di pace e del Tribunale di Venezia che avevano disposto il rimborso a un cittadino dell’Iva applicata alla Tia. Questa è stata giudicata una vera e propria tassa che però era stata chiamata per un certo tempo tariffa per poter, appunto, applicarci l’imposta sul valore aggiunto.
Un recente calcolo sostiene infatti che il Fisco dovrà rimborsare circa un miliardo di euro a milioni di famiglie che hanno pagato l’Iva a partire dal 1999, anno di istituzione della Tia.
Le attività economiche hanno potuto invece detrarla, quindi si suppone che siano escluse dalla restituzione.
Si parla di cifre modeste prese singolarmente, ad esempio il rimborso della sentenza della Cassazione è di 67,36 euro, ma messe insieme formano l’enorme cifra di un miliardo. La vicenda riguarda infatti tutti gli italiani che hanno pagato il servizio di igiene urbana attraverso la Tia.
Veritas spiega che: «Questa interpretazione è stata più volte ribadita dallo Stato, con due circolari del ministero delle Finanze (111/1999 e 3/DF/2010) e due risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate (25/2003 e 250/2008). Inoltre, su precisa richiesta di Veritas, confermata dalla Direzione centrale normativa (25/9/2012) e dalla Direzione provinciale di Venezia – Ufficio territoriale Venezia2 che il 27/1/2015 ha scritto che “l’applicazione dell’Iva alla Tia è legittima”».
«Come più volte dichiarato», continua il comunicato di Veritas, «Veritas ritiene che il rimborso agli utenti domestici dell’Iva debba essere effettuato non appena arriveranno indicazioni dettagliate dall’Erario, senza bisogno di cause o contenziosi. Ad esempio, se l’Agenzia delle Entrate approverà, l’eventuale rimborso delle somme dovute ai cittadini potrà aver luogo accreditando l’importo nelle bollette a venire».
Ora andrà capito però chi dovrà restituire gli interessi maturati su questi prelievi operati dai gestori del servizio di igiene urbana  e che i cittadini italiani sono stati costretti a pagare.

fonte: http://www.cgiamestre.com