Comunicato stampa Zero Waste Italy

Tre notizie importanti, passate nell’indifferenza dei più, ma fortemente motivanti l’impegno sui territori per la battaglia contro l’inquinamento e per le bonifiche.
La prima ancora in fase propedeutica sta definendo, al Parlamento Europeo,  i valori sulle soglie nazionali di inquinanti ambientali catalogati cocancerogeni da IARC.
Se passa si apre un’autostrada per ricorsi contro industrie insalubri (leggi inceneritori, cementifici e fonderie) dedite al superamento dei valori di emissione.
Anidride solforosa, ossido di zolfo e in particolare le Pm 2,5 sotto la lente di ingrandimento dei rilevatori per valutare sforamenti che rendono l’aria potenzialmente rischiosa per la salute di uomini e animali.
A rischio ovviamente anche il comparto agricolo, in quanto ammoniaca e metano, altri contaminanti ambientali tossici normati dalla legislazione, sono quasi esclusivamente di pertinenza dell’utilizzo incontrollato ed eccessivo di pesticidi e diserbanti e concimi nel comparto agroalimentare.
 
La seconda notizia, anche questa sul tema della tutela della salute, fa riferimento alla riperimetrazione delle aree marine contaminate ricadenti nei SIN ( siti di interesse nazionale). Con procedure semplificative di dubbia utilità, ma con parametri di riferimento certi e definiti.
Per esempio in Campania i SIN solo solo 2 e ricoprenti aree marine di notevole superficie che alla luce del decreto di Governo vanno ricalibrate.
Questa è l’occasione per riprendere il progetto, già condiviso dal precedente Ministro dell’Ambiente Orlando e confermato in corso di campagna elettorale dell’attuale Presidente della Campania De Luca, di riportare gli attuali SIR nella pianificazione nazionale.
Occorre istituire da subito subito un tavolo tecnico per non perdere l’occasione e per ridefinire una strategia che faccia affluire risorse certe e consistenti per avviare i piani di messa in sicurezza e la dove è possibile bonificare tali aree contaminate ai sensi della L.R. 20 e della L.6
Senza perdere ulteriore tempo visti i 90 gg. utili.
 
Infine la terza riguarda l’approvazione del DL sugli standard di qualità per il monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee. Ancor piu per quelle ricadenti in aree protette (come nelle aree dei Parchi).
L’adeguamento alla norma EU aggiorna anche il numero delle sostanze ritenute pericolose definendo i criteri con cui operare il monitoraggio a tutela della salute.
Un passo avanti importante proprio per il significato di normare, finalmente  come in tutta Europa, una matrice ambientale che alla luce delle continue inchieste della magistratura, ha suscitato grande allarme.
Monitoraggio di pozzi, piezometri e falde che servirà a definire il grado di inquinamento dell’intero territorio nazionale.
C’è né per definire da subito un crono programma di monitoraggio ambientale di tutte le componenti e matrici ambientali e definire il rischio a cui sono sottoposti gli abitanti dei territori sede di contaminazione accertata o presunta (vale sempre il principio di precauzione).
Senza proclami e senza fughe in avanti nel dare per definitivi risultati approssimativi e parziali che non tengono conto del work in progress delle inchieste.
Ma sopratutto tenendo conto dell’importanza che in questi anni ha svolto la società civile, da sola e spesso nella totale indifferenza della politica, che l’Europa contempla prioritariamente nell’applicazione della convenzione di Aarhus e dell’agenda 21.
Elementi cardini per la compartecipazione e condivisione di strategie e di risultati.
Altrimenti il ricorso all’Europa è, per movimenti ed associazioni, la strada obbligata.
E le relative sanzioni, in itinere e in nuce, certe.

Zero Waste Italy

Riciclo e urban mining, quali sono le reali potenzialità

Un nuovo progetto finanziato dall’UE esplorerà le opportunità commerciali della raccolta delle materie prime essenziali e dei metalli preziosi dai RAEE


Riciclo e urban mining, quali sono le reali potenzialità

Nelle nostre città esiste un prezioso tesoro che ancora troppo spesso è relegato in discariche, più o meno legali. Parliamo dei RAEE, i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche che costituiscono oggi delle vere e proprie miniere urbane o urban mining; basti pensare che da una tonnellata di schede elettroniche, si possono ricavare più di 2 quintali di rame, oltre 46 chili di ferro, quasi 28 chili di stagno e alluminio e circa 18 chili di piombo, oltre a quantità minori di argento, platino e palladio.

Ma per capire quali siano vere le potenzialità commerciali insite nel recupero delle materie prime critiche e dei metalli preziosi dall’e-waste, in Europa è partito un progetto ad hoc. Parliamo di CRM Recovery project, iniziativa guidata dalla britannica WRAP, che si propone studiare i processi di recupero delle materie prime e metalli preziosi tra cui oro, argento e platino. “Questi elementi sono essenziali per molti prodotti elettrici e la crescente pressione sulla loro fornitura costituisce una preoccupazione economica crescente per aziende e governi”, spiega WRAP in una nota stampa. Nel corso dei prossimi tre anni e mezzo CRM Recovery cercherà di aumentare del 5% il recupero di una gamma di materie prime critiche da prodotti come l’elettronica di consumo, apparecchiature ITC e piccoli elettrodomestici.

Il progetto collegherà gli attuali metodi di raccolta, come ad esempio la raccolta differenziata porta a porta, il ritiro da parte dei rivenditori e il reso via posta, alle modalità con cui i componenti materiali di questi prodotti possono essere smontati in modo efficiente, recuperati e restituiti al mercato, al fine di capire come i primi influenzino i secondi. Quattro paesi parteciperanno all’iniziativa –il Regno Unito, la Germania, l’Italia e la Turchia – ognuno dei quali rappresenterà diversi stadi di maturità della filiera di recupero, consentendo così dei confronti incrociati. I risultati verranno quindi trasmessi alla Commissione europea (che ha finanziato il progetto) sotto forma di raccomandazioni e proposte per lo sviluppo delle infrastrutture di recupero efficienti e di politiche ad hoc.

fonte: www.rinnovabili.it

Ecco i vestiti realizzati con le bucce d’arancia. Si producono a Catania (Video)

Il prodotto Orange Fiber è stato brevettato da due ricercatrici siciliane al Politecnico di Milano. Una bella opportunità per trasformare lo spreco di arance (700mila tonnellate all’anno) in una nuova risorsa industriale. Un progetto da moda Non sprecare.
Ecco i vestiti realizzati con le bucce d’arancia. Si producono a Catania (Video) 

VESTITI CON BUCCE DI ARANCIA: ORANGE FIBER -

Ci siamo. È partita a Catania la produzione di vestiti, un’intera linea di abbigliamento, realizzati con gli scarti delle bucce d’arancia. Una bella scommessa per tutta l’isola sia sul piano industriale e della ricerca sia per quanto riguarda la lotta a uno spreco assurdo che si consuma durante tutta la stagione autunnale sull’isola.
Il progetto, Orange Fiber, portato avanti da due giovani ricercatrici siciliane, Adriana Santonocito ed Enrica Arena, in collaborazione con il Politecnico di Milano, prevede, mediante processi innovativi che permettono l’estrazione di cellulosa dagli scarti degli agrumi e il loro riutilizzo per il settore tessile, la realizzazione di tessuti a partire dalle bucce delle arance.

ORANGE FIBER START UP -

In pratica dalle bucce, cioè dalle fibre, attraverso un processo di trasformazione, brevettato dal Policlinico, si ricava una pasta da cui poi si ottiene la cellulosa, il filato e infine il tessuto vero e proprio.
«La moda ha sempre bisogno di materiali alternativi, e noi siamo partite dalla denuncia degli aranceti dove i frutti finiscono per marcire e vengono distrutti. Così abbiamo pensato di trasformare lo spreco in una risorsa…» raccontano le due ricercatrici. E i numeri sono dalla loro parte. Durante la trasformazione industriale per produrre i succhi, per esempio il 60 per cento delle arance viene gettato nella spazzatura (spesso nelle discariche) per un totale di 700mila tonnellate. Adesso, finalmente, da quelle bucce sarà possibile realizzare vestiti con un tessuto perfino “vitaminico”, che a contatto con il corpo rilascia vitamine A, E e C.

TESSUTO RICAVATO DALLE ARANCE -

Attraverso le nanotecnologie l’olio essenziale degli agrumi viene fissato sui tessuti. Successivamente la rottura delle microcapsule presenti nel tessuto, a poco a poco, comporta il rilascio sulla pelle delle vitamine, una caratteristica garantita per almeno una ventina di lavaggi anche se le due ricercatrici stanno cercando di mettere a punto anche una modalità per la ricarica con ammorbidenti specifici. L’obiettivo è quello di portare la collezione in commercio entro il 2015.
(L’immagine di copertina è tratta dalla pagina Facebook Orange Fiber)

fonte: http://www.nonsprecare.it

Raccolta rifiuti, controlli nel centro storico


Proseguono i controlli in materia di raccolta differenziata dei rifiuti attuati dagli ispettori ambientali di Iren e dal corpo di polizia municipale contro gli abbandoni e per correggere i comportamenti sbagliati in tema di conferimento dei rifiuti. Dopo quelli effettuati nella zona del Centro storico, parte nord, la settimana precedente, le verifiche hanno interessato nel centro storico nella parte sud.
In particolare sono state sottoposte a controlli borgo e piazzale San Lorenzo, borgo e piazzale del Cabone e borgo Santa Chiara, durante il turno di esposizione del sacco giallo destinato a plastica, barattolame e tetrapak dove sono stati esposti un totale di 59 sacchi, di cui 5 sono risultati essere non conformi. E’ stata emessa una sanzione. La percentuale di esposizione rispetto agli utenti presenti in quelle vie è stata del 43 %.
I controlli hanno anche interessato, per quanto riguarda l’esposizione del rifiuto residuo, che ha riguardato le utenze non domestiche e non domestiche, la zona di borgo e piazzale San Lorenzo, borgo e piazzale del Carbone e borgo Santa Chaira dove, su un totale di 35 esposizioni sono stati rilevati 13 sacchi non conformi e dove sono state emesse 3 sanzioni. La percentuale di esposizione rispetto agli utenti presenti in quelle vie è stata del 26 %.
Le attività di controllo hanno anche evidenziato che alcune utenze non hanno mai ritirato il kit. E’ stata, pertanto, svolta attività d’informazione delle famiglie interessate che sono state invitate a ritirare i sacchi idonei e sono state messe al corrente sulle corrette modalità di esposizione dei rifiuti stessi.
Questa settimana il controllo interesserà la zona di San Leonardo.
Ormai da cinque settimane i vigili ambientali del Comune e il personale di Iren hanno avviato azioni di controllo sistematico nelle diverse zone della città per verificare tempi e modalità di esposizione dei rifiuti, sanzionare i comportamenti irregolari (abbandoni) e correggere quelli non corretti. Nello specifico, i casi di conferimenti scorretti vengono segnalati tramite adesivi affissi su contenitori o sacchi, e se possibile, cercando un contatto con il proprietario ai fini di una corretta informazione, prima di procedere eventualmente a sanzionare gli utenti per cui è rilevata un’infrazione.

fonte: http://www.parmadaily.it/

Ford Hemp Car: l'auto ecologica esisteva già 70 anni fa

ford_hempcar











Quasi tutti sanno che nel 1903 Henry Ford fondò una delle case automobilistiche che hanno fatto la storia: la Ford Motor Company. Sono invece pochi a conoscere che lo stesso Ford progettò un veicolo costruito principalmente di fibre di cellulosa biodegradabili derivate da canapa , sisal e paglia di grano, ma - soprattutto - alimentata per mezzo di etanolo di canapa. Correva l'anno 1941. E la vettura in questione era la Hemp Body Car, l'auto più ecologica del mondo.
Henry Ford non aveva mai nascosto il sogno di realizzare "...vetture a prezzi ragionevoli, affidabile ed efficienti..." e tutt'ora, con le dovute remore dettate dal mercato, la casa statunitense da lui fondata è in effetti una delle più accattivanti per quanto riguarda il rapporto qualità prezzo. Per quanto riguarda il progetto della "bio vettura" si erano, però, creati tutti i presupposti per trovarsi di fronte ad un mezzo che avesse le capacità di esaudire totalmente le volontà di Ford. 
Già nel 1925 lo stesso Ford rilasciò al New York Times una dichiarazione che fece supporre quanto avesse competenze e volontà adeguate a creare un'autovettura capace di utilizzare carburanti alternativi: "Il carburante del futuro sta per venire dal frutto, dalla strada o dalle mele, dalle erbacce, dalla segatura, insomma, da quasi tutto. C'è combustibile in ogni materia vegetale che può essere fermentata e garantire alimentazione. C'è abbastanza alcool nel rendimento di un anno di un campo di patate utile per guidare le macchine necessarie per coltivare i campi per un centinaio di anni". Ford all'epoca azzardò l'ipotesi che si potesse arrivare a vetture fatte di canapa che utilizzassero l'etanolo come carburante.

Unendo la passione per la natura ed un indubbio fiuto per gli affari, l'imprenditore americano volle ad ogni costo che venisse realizzata una vettura che "uscisse" dalla terra. Per realizzare questo affascinante progetto impegnò nella ricerca fior fiore di ingegneri che nel 1941, dopo 12 anni di studi, diedero forma concreta alla più ecologica delle automobili. La Hemp Body Car era una realtà: interamente composta da plastica in fibre di canapa, biodegradabile e dieci volte più leggera delle auto con carrozzeria d'acciaio.
Inoltre per dimostrare quanto fosse valido tale progetto si realizzò persino uno spot in cui la vettura veniva colpita ripetutamente con un martello da incudine senza che si scalfisse o graffiasse minimamente. Ma la grande novità, come detto, era nel carburante: la Hemp Body Car era difatti alimentata dalla canapa distillata, il cui impatto inquinante era pari ad un clamoroso "valore zero". Henry Ford morì sei anni dopo e, nel 1955, la coltivazione della canapa venne proibita negli Usa. I re dell'acciaio e del petrolio ripresero il controllo delle operazioni lasciando che quest'idea "fumosa" venisse dimenticata.
A questo punto la domanda che viene naturale porsi è: perché solo ora, e per giunta timidamente, stanno rispuntando supposizioni, studi, progetti e dichiarazioni che Henry Ford nei primi ventenni del novecento aveva cercato di promuovere?
henry-fordLa risposta può essere senz'altro riscontrata nel processo economico politico che ha portato il petrolio ad essere un combustibile dal grande "potere" finanziario, capace di non favorire la reale funzionalità di una tecnologia rispetto ad un'altra, ma appoggiando esclusivamente gli interessi e le strategie politiche.
Questi progetti risultarono sicuramente scomodi all'epoca, per via della crescita delle nazioni che potevano continuamente beneficiare di risorse petrolifere (gli stati medio orientali, ad esempio, si scoprirono grossi beneficiari di oro nero proprio in quegli anni). Oggi, con una crisi petrolifera sempre più evidente, con la crescita di un'educazione orientata alla salvaguardia ambientale e, soprattutto, con una volontà nell'abbassare sprechi e consumi, si potranno forse portare a termine le volontà del fondatore del marchio Ford.
La casa automobilistica dall'ovale blu sta dimostrando di essere una delle più motivate ad orientarsi a questo tipo di approccio, mettendo in commercio, ed è stata la prima in assoluto a farlo, una vettura alimentata a bioetanolo a basso contenuto di CO2. Sembrerebbe che, a distanza di quasi 70 anni, le previsioni del suo padre fondatore si stiano finalmente verificando.  

fonte: www.greenme.it

Micropolis: Rifiuti e Veleni

fonte: Micropolis

I rifiuti dalla macellazione (sottoprodotti animali) non sono fonti rinnovabili


http://www.isde.it/wp-content/uploads/2014/12/Rifiuti_316x180_4.jpg
ISDE Italia, insieme a Medicina Democratica e all’Associazione Gestione Corretta Rifiuti e Risorse GCR di Parma, ha sottoscritto una nota relativamente ai rifiuti dalla macellazione (sottoprodotti animali) che non sono fonti rinnovabili.

Vogliamo esprimere sconcerto e rammarico in relazione alla puntata del 18 Ottobre 2015 di Report, in cui è stato affrontato il tema dell’utilizzo del grasso animale come combustibile.
Leggi la comunicazione.

Pavia e provincia, record di morti per l'inquinamento

Gli esperti: "Nei campi si spargono 400mila tonnellate di fanghi, la metà della Lombardia"


LINAROLO. La provincia di Pavia è al secondo posto in Italia, battuta da Milano, per decessi causati dall’inquinamento dell’aria, 25mila morti a livello nazionale, secondo i dati Istat.
L’altro record negativo condiviso con il territorio milanese è l’incidenza di tumori che, nella nostra provincia, sono causa di morte per il 40% dei maschi e per il 27% delle femmine. Nel 2015, secondo il rapporto Asl, il tasso di mortalità per tumori nei maschi pavesi è superiore del 10% a quello dei lombardi e del 18% rispetto alla media nazionale, mentre nelle femmine pavesi è superiore dell’11% rispetto a quelle lombarde e del 19% rispetto alla media nazionale.
Dati choc snocciolati da Giuseppe Damiani, biologo ricercatore Cnr, durante l’assemblea organizzata dai 14 Comuni della Consulta ambiente e territorio per parlare di fanghi, pesticidi, inceneritori. E del rapporto, accertato scientificamente, tra sostanze chimiche utilizzate in agricoltura, tra scorie di incenerimento liberate nell’aria e malattie oncologiche. Davanti ad una sala gremita da sindaci, cittadini, rappresentanti di comitati un pool di esperti ha sottolineato l’inadeguatezza delle normative, denunciato la mancanza di controlli, riportato indagini che indicano lo stato di una provincia che, ricorda Alberto Maccabruni, geologo, conta 11 impianti di produzione di fanghi, due inceneritori, a Corteolona e a Parona, la raffineria più grande d’Europa a Sannazzaro, discariche, un impianto di pirolisi in itinere.
«Una concentrazione preoccupante di insediamenti», dice Enrico Berneri, presidente della Consulta e sindaco di Monticelli, mentre Pietro Scudellari, primo cittadino di Linarolo ammonisce: «Gli effetti su ambiente e salute sono drammatici e le conseguenze si vedranno tra alcuni anni. Ma sarà troppo tardi».



«Preoccupiamoci – dice Damiani – del fatto che il 76% delle uova nei pollai che si trovano ad una distanza di 10 chilometri da siti inquinati sono avvelenati da livelli di sostanze tossiche oltre i limiti di legge. Indagini scientifiche ci fanno sapere che 1 persona su 2 avrà un tumore, e che 1 bambino su 5 avrà problemi di neurosviluppo». Mostra il rapporto Asl in cui si legge che per le malattie cardiovascolari e cerebrovascolari il tasso di mortalità in provincia, per gli uomini, è superiore del 6,9% alla media lombarda e del 4% rispetto alla media nazionale. Per le donne è il 9% in più rispetto alla media lombarda e l’1% in più rispetto a quella italiana. E la provincia di Pavia non va meglio per le malattie dell’apparato respiratorio che causano l’8% dei decessi nei maschi e il 7% nelle femmine: il 16% in più rispetto alla media lombarda e il 25% in più rispetto a quella nazionale per gli uomini, mentre è superiore del 14% rispetto alla media lombarda e del 26% rispetto a quella nazionale per le donne. «L’interesse economico – sottolinea Stefano Marton, medico legale – prevale sulla tutela della salute, con il contributo di normative poco chiare che favoriscono le autorizzazioni». I fanghi nei campi contengono, fa sapere Damiani, «anche scorie di materiale plastico e farmaci”. Eppure di questi fanghi provenienti da depuratori civili, impianti che depurano acque industriali e quelli di depurazione delle industrie agroalimentari nei campi della nostra provincia ne vengono sparse, come ricorda Maccabruni, 400mila tonnellate, 50% dei quantitativi dell’intera Lombardia, regione con una produzione annua di circa 800mila tonnellate e in cui viene smaltito il 40% della produzione nazionale, pari a 2milioni di tonnellate. Tocca al geologo sottolineare come «la legge non preveda controlli specifici sulle acque sotterranee». Con il pericolo che eventuali sostanze tossiche contenute nei fanghi finiscano per intaccare le acque utilizzate per scopi irrigui e per approvvigionamenti potabili. Ricorda quali sono gli elementi chimici con poteri cancerogeni Matteo Da Vià, ematologo del San Matteo, sottolinea le conseguenze negative che i pesticidi possono avere sulla salute: linfomi, carcinomi bronchiali, cancro alla prostata, al fegato. «Non vanno dimenticati i solventi – aggiunge -. Il più conosciuto è il benzene che può provocare linfomi e leucemie». Stefania Prato

fonte: http://laprovinciapavese.gelocal.it 

A PERUGIA IL RICICLATORE INCENTIVANTE PER TETRA PAK.


Una corretta raccolta differenziata dei rifiuti porta benefici all'ambiente e alle nostre tasche. È questa la sintesi di"Riciclare Conviene", campagna ambientale itinerante che torna in Umbria per l'edizione numero 11, dopo aver fatto tappa a Terni nel 2013.
Per rendere tangibile il risparmio che deriva dalla raccolta differenziata e dal riciclo dei rifiuti, è in funzione nel centro commerciale Quasar Village di Corciano, a pochi chilometri da Perugia, la postazione interattiva dedicata alla raccolta differenziata dei cartoni Tetra Pak. Qui ad ogni conferimento saranno rilasciati gli eco-scontrini,che danno diritto ai buoni sconto sulla spesa nel Conad Ipermercato.
Nel 2014 sono state raccolte in modo differenziato e riciclate in Italia oltre 22.700 tonnellate di confezioni Tetra Pak, circa 1,3 miliardi di contenitori.



 

CS - RIFIUTI ZERO: L’UNICA SOLUZIONE





In Umbria la raccolta differenziata (RD) aumenta ma nelle discariche si portano sempre più rifiuti, nel compost ci finisce di tutto, le discariche sono causa di inquinamento e multe della Comunità Europea. Se ne deduce che la gestione dei rifiuti in Umbria è completamente sbagliata, infatti, mentre in tutta Italia con l’aumentare della RD le tariffe diminuiscono da noi accade il contrario, allora, forse, i dati della RD non rispondono al vero.
Questo, e tanto altro, è quanto i comitati umbri sostengono da decenni ed è anche il motivo per cui il Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero non è stupito per le recenti notizie relative all’indagine su Gesenu e Tsa.
Tanto per fare un esempio nel 2013 nell’Ati 2 (Perugia, comuni del Lago, assisano, tuderte) la RD dell’umido rappresentava il 42% della RD totale. A Pietramelina il 56% di questo umido veniva scartato e tornava in discarica. Quindi il comune di Perugia riesce a riciclare solo il 37% del 59% di RD. A questo potremmo aggiungere che nell’impianto di Ponte Rio il 39% della RD multi materiale (plastica, vetro e metalli) diventa scarto il che praticamente dimezza la percentuale della RD dichiarata.
Ulteriori conferme di quanto diciamo siamo sicuri che verranno dalle indagini dalla magistratura. Quello che è incredibile è vedere gli Amministratori umbri commentare questi fatti come se solo ora cominciassero a capire quanto stava accadendo sotto i loro occhi.
C’è però una cosa che non sembra abbiano ancora capito: questa non è solo un’indagine sulle presunte malefatte di Gesenu e Tsa ma è il verdetto che condanna la politica umbra sulla gestione dei rifiuti. Una politica troppo spesso più vicina al gestore  che ai cittadini, una politica che troppo spesso ha preferito le scorciatoie che nella gestione dei rifiuti, come stiamo vedendo, non portano lontano. Cosa dire, poi, degli impianti di trattamento per l’umido che stanno sorgendo in Umbria? Sono dimensionati per 370.000 tonnellate circa di potenzialità contro una produzione regionale di circa 100.000 tonnellate. Sarà un ulteriore regalo ai soliti noti che faranno arrivare rifiuti da fuori regione con altissimi guadagni e con tanti disagi per i cittadini?
Invece è proprio adesso il momento di un vero cambio di passo. Quando all’inizio di quest’anno contestavamo l’adeguamento del Piano Regionale dei Rifiuti la regione, con una certa dose di arroganza, non l’ha nemmeno portato in partecipazione. La verità è che in Umbria non serve un adeguamento di piano ma un nuovo Piano che partendo dalla strategia Rifiuti Zero punti all’azzeramento dei rifiuti da smaltire, non porti inquinamento e crei nuovi posti di lavoro.
Un sogno? No. Ormai ci sono realtà molto vicine a questo obiettivo e l’Umbria potrebbe seguirle, magari partendo dalla bozza di Piano che il nostro Coordinamento aveva lasciato all’allora Assessore Rometti, più di tre anni fa, e che è rimasto in un cassetto (o è finito nella raccolta differenziata della carta) senza che ci sia mai stata una risposta.
Coordinamento Regionale Umbria Rifiuti Zero

Ma fare la raccolta differenziata costa di più? controdeduzioni

Ma fare la raccolta differenziata costa di più? controdeduzioni
Su “Repubblica” (un quotidiano dalla cui autorevolezza ci aspetteremmo una maggiore attenzione alla solidità delle informazioni diffuse) è comparso un articolo, mal confezionato ed ancor peggio argomentato, che sosteneva la tesi della moltiplicazione dei costi all’aumentare della raccolta differenziata.
Secondo quanto riportato nell’articolo, lo stesso prendeva le mosse da studi condotti o commissionati da alcune grosse Multiutility dell’area Emiliano-Romagnola. Il primo sospetto generato dalla lettura del pessimo articolo (ripeto, e con linguaggio più sfumato possibile, ma dettato da cognizione tecnica: un articolo argomentato in modo poco avveduto) è che tali Mutiutility possano essere mosse dalla preoccupazione di fermare la diffusione progressiva del porta a porta; evidentemente la recente approvazione della nuova Legge Regionale in Emilia Romagna (che traguarda obiettivi più avanzati di raccolta differenziata e prevede meccanismi di promozione e finanziamento delle raccolte domiciliari, individuate come strumento necessario per conseguire tali obiettivi) è destinata ad imprimere una ulteriore accelerazione al sistema, e chi ha sempre basato la propria proposta operativa su iper-cassonettizzazione, ed assimilazione “larga” di rifiuti non strettamente urbani, in modo da garantire flussi corposi di RUR al sistema degli inceneritori, si sente franare il terreno sotto i piedi.
L’articolo avrebbe tuttavia fatto meglio ad usare argomentazioni più solide, per attaccare il porta a porta, perché quelle incluse nell’articolo sono già state confutate una quindicina di anni fa. Sì, quindici-anni-fa. Ma siccome repetita iuvant, mettiamo nuovamente a disposizione concetti e relative evidenze. Qui sotto, le controdeduzioni che abbiamo tempestivamente elaborato, messo a disposizione di chi ci ha segnalato l’articolo, e che tanti ci hanno chiesto di condividere nei canali consueti ed in quelli allargati.
Le mettiamo dunque a disposizione, perché si possano usare argomentazioni ed evidenze in risposta a chi, per dabbenaggine o malafede, citerà l’articolo di Repubblica. Pessimeamente fondato, lo ripetiamo un’altra volta.
Come gli ultimi giapponesi nella jungla, un articolo pubblicato oggi su un giornale a grande tiratura nazionale, e le fonti in esso riportate, si ostinano ad adottare le valutazioni di un pessimo studio di Bain; uno studio di qualche anno fa che usava ancora il parametro degli Euro/t per la valutazione dei costi dei servizi di Igiene Urbana, quando invece tutti gli altri studi usano ormai da diversi anni il parametro degli Euro/abitante: come è peraltro ragionevole che sia, visto che il servizio di igiene urbana lo paga l’abitante, non la tonnellata.
Evidentemente, dividere gli euro sulle tonnellate, premia i sistemi più dissipativi, ossia quelli in cui si producono più tonnellate di rifiuto, è un effetto distorsivo matematico, che già attorno al 1995 segnalammo, sottolineando l’opportunità di adottare il parametro Euro/abitante, criterio poi seguito in tutti gli studi di settore e nella sezione di analisi economiche del Rapporto Nazionale Rifiuti pubblicato annualmente.
La migliore risposta alla tesi sottesa all’articolo (“fare tanta raccolta differenziata fa lievitare i costi”) viene dalla ricerca ufficiale, dunque avulsa da alcun interesse specifico di alcun operatore, della regione Lombardia, eseguita nel 2010. Base statistica: 10 Milioni di persone, 1545 Comuni – dite che in 5 anni qualcuno ancora non ha avuto tempo di leggerla? Ecco la slide che ne riassume gli esiti, e che è eloquente.
costi disaggregati RD
Altra argomentazione-cardine inclusa nell’articolo che ci ha fatto perplimere e sorridere: l’artifizio strumentale di comparare i costi odierni con quelli di 10 anni fa. Lo schema (poco) logico sarebbe: prima affermare “oggi gestire i rifiuti costa di più – e ci mancherebbe: il sistema sconta (e meno male che è così) l’evoluzione determinata dalle Direttive UE, come la “Direttiva Discariche”, con obblighi di pretrattamento, 30 anni di responsabilità finanziaria nel post-discarica, ma anche il passaggio dei limiti alle emissioni degli inceneritori a 0,1 ng-TEQ anziché i precedenti 10 ng-TEQ di diossine e furani…. oltre all’aumento del costo del lavoro, delle attrezzature, dei combustibili, ecc. ecc.
Poi però l’articolo sostanzialmente deduce, e qui sta il salto logico e la scorrettezza della analisi: “siccome nello stesso periodo è aumentata la RD, allora l’aumento di costo è colpa della RD”. Un sillogismo davvero risibile, equivalente a dire (giusto per fare capire quanto sia irricevibile il meccanismo logico): “Le grandi multiutility sono state costituite negli ultimi anni, e siccome negli stessi anni c’è stata la crisi economica globale, allora le multiutility sono responsabili della crisi economica globale”.
Una logica davvero poco solida, sia nel caso di esempio, come nella analisi inclusa nell’articolo.
Orbene: anche su questo tema, lasciamo rispondere all’evidenza.
Basta il grafico riportato sotto, che fa vedere l’aumento dei costi dei servizi di igiene urbana in Italia in 10 anni (= 60% circa), e nello stesso tempo, l’andamento nel Consorzio CONTARINA (uno dei Consoorzi-record a livello mondiale per tassi di raccolta differenziata e pratiche di minimizzazione dello smaltimento: 86% di RD. Bene, nel loro caso si registra solo l’8% di aumento del costo del Servizio, largamente inferiore non solo all’aumento medio in Italia, ma allo stesso aumento dell’indice ISTAT o indice dei prezzi al consumo): con ogni evidenza, dunque tanta raccolta differenziata non solo fa risparmiare, ma contiene anche l’aumento del costo nel tempo, anche se a chi non crede in essa conviene dire, con il salto logico sopra evidenziato, che “l’aumento è colpa della RD”.
costi RD
Ma siamo, con ogni evidenza, nel campo delle argomentazioni strumentali. Continuiamo solo, e con deferenza, a sperare che un giornalismo avveduto non ne cada (più) vittima. Prontissimi a fornire tutte le evidenze del caso, perché il prossimo articolo in merito sia più solido e faccia davvero informazione, non distorsione della stessa.
da Enzo Favoino, Coordinatore Comitato Scientifico Zero Waste Europe
fonte: http://mimporta.it

Cambiamento climatico: i Paesi sviluppati non fanno la loro “giusta parte”

Usa e Ue dovrebbero fare 5 volte di più, il Giappone 10 volte. Il contributo della Russia è zero
Rapporto clima 0
Diciotto grandi Organizzazioni non governative hanno presentato il rapporto “Fair Shares: A Civil Society Equity Review of INDCs”, un’analisi dei contributi nazionali (Intended Nationally Determined Contributions – INDCs) che tiene conto dei due temi essenziali: la scienza e l’equità in vista della Conferenza delle parti  dell’United Nations  Framework Convention on Climate Change (COP21 Unfccc).
All’inizio di ottobre, 146 Paesi, che rappresentano circa l’87% delle emissioni mondiali di d gas serra, hanno sottoposto all’Onu i loro piani di azione climatica, questi  INDCs costituiranno la pietra angolare del nuovo accordo mondiale sul clima che dobvrebbe essere firmato alla  COP21, ma il nuovo rapporto presentato da ActionAid International, Asian Peoples Movement on Debt and Development, Climate Action Network South Asia, CARE International, Center for International Environmental Law, Christian Aid, CIDSE, Climate Action Network Latin America, EcoEquity, Friends of the Earth International, International Trade Union Confederation, LDC Watch International, Oxfam, Pan African Climate Justice Alliance, SUSWATCH Latin America, Third World Network, What Next Forum e WWF International, dimostra che c’è ancora uno scarto tra le misure che bisognerebbe prendere per evitare un cambiamento climatico catastrofico e quello che fi no ad ora propongono i governi.
Il rapporto stima quale sia la parte equa che spetterebbe ad ogni Paese nella lotta al cambiamento climatico, in funzione del suo livello di responsabilità storica e della sua capacità di lottare contro il riscaldamento globale. Le 18 organizzazioni sottolineano: «Anche se l’equità è un principio fondamentale del processo dell’Onu per trovare un nuovo accordo mondiale sul clima, i Paesi hanno però fino ad oggi  la possibilità di determinare e di fissare loro propri obiettivi su una base puramente nazionale, senza tener di conto quel che deve essere fatto nel quadro dello sforzo mondiale necessario o di quel che è giusto». Inoltre il rapporto ricorda che «Abbiamo davanti a noi da 10 a 15 anni per ridurre drasticamente le nostre emissioni, se vogliamo evitare un cambiamento climatico incontrollabile».
Secondo il rapporto, «I più grandi Paesi emettitori devono fare di più per colmare lo scarto attuale, il che deve essere fatto in maniera equa. I Paesi emettitori ricchi devono ridurre le loro emission in maniera significativa ed impegnarsi ad aiutare i Paesi poveri a fare di più in materia di adattamento e di attenuazione, fornendo loro dei finanziamenti aggiuntivi ed accesso alla tecnologia».
Il rapporto fa delle raccomandazioni perché l’Accordo di Parigi presenti un quadro all’interno del quale i governi fissino degli obiettivi basati sull’equità e sulla scienza: «Al fine di evitare un mondo a 3° C, i governi devono accettare degli obiettivi di riduzione delle emissioni nel  2025, 2030, 2040 e 2050, con l’obiettivo di raggiungere quasi le emissioni zero entro la metà del secolo; L’Accordo di Parigi deve includere un meccanismo che permetta di rilevare l’ambizione degli attuali obiettivi prima che entrino in vigore nel 2020 e, in seguito, ogni 5 anni; Deve includere un cambiamento radicale nei finanziamenti climatici internazionali; Deve creare un piano di azione chiaro e giusto che permetta di colmare l’attuale scarto attraverso una cooperazione rafforzata ed un sostegno accresciuto dei Paesi sviluppati più responsabili».
Il rapporto, presentato alla Climate change conference a  Bonn, l’ultimo round negoziale prima della COP21,  invece sottolinea  che «Le  ambizioni di tutti i Paesi sviluppati sono molto inferiori alla loro giusta quota, non solo in termini di azione interna, ma anche di finanziamenti internazionali» e che gli INDCs  presentati non sono sufficienti a limitare il riscaldamento globale a 2 gradi centigradi  sopra i livelli pre-industriali. Gli INDCs degli USA e dell’Unione europea rappresentano solo un quinto della loro “parte giusta”, mentre il Giappone dovrebbe incrementare di ben 10 volte le sue misure climatiche rispetto a quel che prevedono i suoi impegni nazionali. Il contributo della Russia alla lotta climatica è a zero.
Azeb Girmai, direttore climatico di LDC Watch International, sottolinea che «Gli anni di inazione dei Paesi sviluppati minacciano già la stessa sopravvivenza dei Paesi poveri  e delle popolazioni più vulnerabili al cambiamento climatico. Questa presentazione degli INDCs dimostra di nuovo che i Paesi sviluppati non rispettano i loro impegni di ridurre sostanzialmente le loro emissioni, conformemente alle esigenze scientifiche e giuste». Invece ti lo studio afferma che i piani nazionali della maggioranza dei Paesi in via di sviluppo «superano o rispettano globalmente la loro giusta parte». Tra i Paesi virtuosi ci sarebbe anche la Cina, che fa più di quanto sarebbe la sua parte, impegnandosi a ridurre le sue emissioni di carbonio entro il 2030 e a ridurre nello stesso periodo le sue emissioni per unità di PIL dal 60 al 65% rispetto al 2005. Inoltre Pechino ha annunciato che stanzierà 20 miliardi de yuan (circa 3,15 miliardi di dollari) per creare un fondo Sud-Sud per il clima ed aiutare così gli altri Paesi in via di sviluppo a combattere i cambiamenti climatici, mentre gli Usa hanno promesso 3 miliardi di dollari  per il Green Climate Fund.
Asad Rehman, direttore clima di Friends of the Earth International  ha detto che «Da Washington a Bruxelles,  I decisori dovrebbero essere morti di vergogna vedendo che I Paesi poveri sono pronti a fare più di loro. I paesi ricchi,  i maggiori responsabili del cambiamento climatico,  ci stanno mettendo in corsa per un cambiamento climatico irreversibile e più devastante invece di intraprendere l’urgente azione radicale di cui c’è bisogno di ridurre le loro emissioni di anidride carbonica, Friends of the Earth ha messo in guardia».
Per Susann Scherbarth, responsabile giustizia climatica e energia di  Friends of the Earth Europe, «Gli impegni per tagliare le emissioni assunti finora dai Paesi ricchi sono meno della metà di quello che ci serve per evitare cambiamenti climatici fuori controllo. Il progetto di Accordo di Parigi in corso di negoziazione questa settimana dimostra che molti sembrano pronti ad accettare conseguenze irreversibili e devastanti per le persone e il pianeta. Questo progetto  smonterebbe anche alcuni principi fondamentali della Convenzione ONU sul clima,  come l’equità. Questo è semplicemente inaccettabile. I Paesi più ricchi devono fare la loro parte. Il nuovo trattato deve proteggere i Paesi più poveri e le persone, non lasciare che i Paesi più ricchi si tirino fuori dai guai».
Dipti Bhatnagar,  coordinatrice per la giustizia climatica di Friends of the Earth International, rincara la dose: «I politici sono sulla buona strada per far fallire l’occasione del vertice di Parigi. Molti politici, sotto pressione da parte delle multinazionali inquinatrici che traggono profitto dai combustibili fossili e dall’energia sporca, stanno promuovendo il carbone, il fracking e l’energia nucleare  all’Onu  e a livello nazionale. Invece,  dovrebbero impegnarsi a drastici tagli delle emissioni e ad una trasformazione del nostro sistema energetico. I nostri governi devono smetterla con l’energia sporca e seguire con urgenza i veri leader: le persone, non gli inquinatori. Sempre più persone stanno sostenendo le soluzioni reali, resistendo all’estrazione di combustibili fossili e ci conducono verso le società della scurezza climatica».

fonte: www.greenreport.it

Emirati Arabi: rinnovabili dallo 0 al 24% entro i prossimi 6 anni

Il piano per il taglio delle emissioni lascia a desiderare, ma spicca l’investimento massiccio in energie rinnovabili di un Paese tradizionalmente fossile


Gli Emirati Arabi Uniti prevedono di ricavare il 24% dell’energia da fonti rinnovabili entro il 2021, un bel passo avanti rispetto allo 0,2% del 2014. È questa la misura più concreta contenuta nell’impegno per il clima presentato alle Nazioni Unite ieri, tre settimane dopo la scadenza ufficiale per il deposito degli INDCs (Intended Nationally Determined Contributions).
Si tratta del secondo Paese del Golfo a rendere nota la sua strategia contro il riscaldamento globale dopo l’Oman, ed è il 153° membro dell’UNFCCC su 196 a farlo. Il resto del piano è a dir poco lontano dalle necessità globali. A differenza di molti altri, la federazione di sette sceiccati non ha fissato un obiettivo a per contenere le emissioni di gas serra. Agli Emirati interessa l’idea di un accordo sul clima non vincolante, limitato a contributi volontari. La stessa posizione degli Stati Uniti, e uno dei temi che hanno ormai convinto gli osservatori del limitato effetto di questa prossima COP 21 sui cambiamenti climatici.
L’impegno è ritenuto dagli EAU «coerente con il riconoscimento delle circostanze particolari dei Paesi in via di sviluppo con alta dipendenza da combustibili fossili». Anche se presenta l’economia più diversificata del Golfo, lo Stato dipende da petrolio e gas per circa il 25% della sua ricchezza.

Nonostante i suoi cittadini siano i 19esimi più ricchi del mondo, la monarchia costituzionale non ha aperto i cordoni della borsa per aiutare i Paesi poveri nella mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.
«Lo sviluppo non è solo ricchezza – si è giustificato il negoziatore climatico Majid Al Suwaidi alla COP 20 di Lima dello scorso anno – Ci rendiamo conto che è una cosa a breve termine e dobbiamo pensare alle nostre prospettive future. Anche se stiamo lavorando molto duramente per diversificare la nostra economia, rimaniamo molto dipendenti dai combustibili fossili».
La strategia conservativa si inserisce in un quadro più ampio, che vede tutti gli Stati esportatori di petrolio molto restii a impegnarsi in un taglio delle emissioni. L’Oman, ad esempio si è offerto di ridurre i gas serra del 2% rispetto a uno scenario business as usual entro il 2030: ciò significa che, a livello assoluto, le emissioni cresceranno invece di diminuire. L’Arabia Saudita, il Venezuela e la Nigeria non hanno ancora presentato alcun piano. Stesso discorso per l’Iran, il più grande inquinatore a restare ancora nell’ombra. Il Paese si propone di svelare il suo piano a metà novembre, secondo quanto riferito da Bloomberg. Abdalla Salem El-Badri, capo dell’OPEC, ha difeso di recente i suoi membri per il loro ritardo.

fonte: www.rinnovabili.it

Comunicato Stampa - Prorogate fino al 6 novembre le iscrizioni alla Settimana Europea per la Riduzione dei Rifiuti 2015


fonte: www.envi.info

CONFRONTO RACCOLTA RIFIUTI EMILIA ROMAGNA

Le slide seguenti sono la sintesi di un lavoro di ricerca e analisi sui dati ARPA 2014 relativi ai vari sistemi di raccolta rifiuti urbani da parte dei Comuni dell'Emilia Romagna.








fonte: http://reterifiutizeroemiliaromagna.blogspot.it

Rifiuti: Tornano i minimi ed i massimi del 1999 - Cade la flessibilità sui coefficienti



fonte: il sole 24 ore

Cittadini protagonisti del monitoraggio ambientale

I cittadini producono sempre più dati con gli strumenti di misurazione, rendendoli subito disponibili e contribuendo così al fenomeno della "citizen science"
La così detta “citizen science” nasce nel 1900 da un’idea dell’ornitologo Frank M. Chapman come alternativa alla tradizionale caccia di natale (l’uccisione del maggior numero di animali possibile): la Christmas Bird Count è infatti un censimento ornitologico ancora oggi in funzione.
Attività di osservazione e raccolta dati come quella “inventata” da Champan oggi sono davvero alla portata di tutti, grazie agli strumenti tecnologici e di condivisione delle informazioni, che permettono ai cittadini di contribuire attivamente alla ricerca di base e applicata. In questo senso la “citizen science” è stata talvolta definita come "partecipazione del pubblico nella ricerca scientifica"; possiamo infatti senza dubbio collocare questo genere di attività nella più ampia esperienza della partecipazione dei cittadini, approccio sempre più diffuso nelle comunità e nella realtà delle più moderne democrazie. Il fine ultimo dei progetti di “citizen science” è infatti quello di esplorare e sperimentare nuove vie per rendere i cittadini reali protagonisti nelle decisioni e nelle scelte politiche.
L’amministrazione Obama, nel corso di un recente forum sul tema, ha presentato un memorandum il cui obiettivo è quello di diffondere e istituzionalizzare la partecipazione dei cittadini a vari progetti di citizen science; il documento presenta infatti una lista di progetti fin qui realizzati con obiettivi sociali, di ricerca e innovazione, di formazione e comunicazione delle scienze.
A livello europeo, già a fine 2013 la Commissione Europea promuoveva un Libro verde per la Citizen Scienze, collocandola in un processo di “empowerment” sociale.
La citizen science in ambito ambientale
In particolare, sta assumendo oggi un ruolo sempre più determinante la partecipazione attiva e volontaria dei cittadini nella ricerca e nello sviluppo di politiche ambientali a supporto dei decisori. I cittadini infatti esprimono crescente interesse e preoccupazione per l'impatto umano sull’ambiente che necessariamente comporta la perdita di biodiversità e il peggioramento della qualità della vita.
Attraverso la loro partecipazione attiva in campagne e progetti di “citizen science”, i cittadini arricchiscono dunque la conoscenza del territorio in cui abitano e stimolano le agenzie di controllo ambientale ad effettuare monitoraggi più estesi ed accurati. I dati prodotti, messi a disposizione della comunità attraverso internet, vanno poi ad arricchire la gamma dei cosiddetti “open data”.
Foto dal portale del progetto MIPP Monitoring of insects with public participation
Alcune esperienze in Italia : il coinvolgimento dei cittadini per acquisire informazioni utili alla ricerca scientifica
Nel campo del monitoraggio della qualità dell’aria, si ricordano i progetti Zero Ipa di PeaceLink e Green Tour di EuThink: il primo, lanciato nel 2010, prevede il monitoraggio degli idrocarburi policiclici aromatici da parte dei cittadini muniti di un analizzatore che non richiede analisi chimiche ma si basa su uno spettro di luce che analizza in tempo reale gli agenti inquinanti; il secondo prevede un sistema di raccolta, elaborazione, diffusione e georeferenziazione dei dati ambientali sulla qualità dell’aria. Recentemente abbiamo già raccontato l’esperienza di misurazione della torbidità atmosferica (foschia) da parte di cittadini milanesi.
Nel campo della biodiversità sono maggiori le esperienze che si possono trovare. Il programma LIFE+ della Commissione europea ha finanziato alcuni di questi progetti:
Il progetto ARVe (Atlante dei Ropaloceri del Veneto) consiste in un’indagine collettiva dedicata al riconoscimento delle farfalle diurne che vivono nel Veneto.
Un gruppo di ricerca dell’Università di Bologna (Marine Science Group) studia le relazioni tra l’ambiente e le dinamiche della biodiversità nel Mediterraneo e nel Mar Rosso coinvolgendo in modo attivo e consapevole il pubblico nella raccolta dei dati.
Un’altra esperienza di ricerca diretta sul campo è quella prevista dal progetto internazionale La Scuola delle Formiche di cui è partner italiano il Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Parma: lo scopo è quello di studiare la distribuzione delle varie specie di formiche che vivono in ambienti urbani.
La Lipu ha promosso il portale per aiutare le rondini che prevede la possibilità per chiunque di segnalare attraverso il sito Web la presenza di rondini ovunque si riesca a identificarne la presenza, dal giardino di casa al prato di campagna o sul tetto di un palazzo del centro storico.
L'Università del Salento-CoNISMa e la Ciesm (Mediterraean Science Commission) hanno promosso una ricerca scientifica aperta al pubblico che prevede l’avvistamento e la relativa segnalazione di meduse.
In questo contesto non si può non citare il progetto di cui è stata partner ARPAT Gionha (Governance and Integrated Observation of marine Natural Habitat) che prevedeva la possibilità di segnalare, tramite sito Web l’avvistamento ci cetacei.

Caos Rifiuti: M5S chiede commissione d’inchiesta in Regione


Il caso Gesenu, l’interdittiva antimafia; ancora le discariche e la loro grave e reiterata criticità ambientale; l’attrattività criminale di alcuni impianti, i conflitti di interesse, i muti intrecci tra politica e affari. Lo diciamo da tempo: è necessaria una superiore presa di coscienza da parte della classe dirigente della Regione Umbria di fronte a un simile fallimento.
Ecco perché nelle prossime ore il M5S richiederà con atto ufficiale la costituzione di una Commissione d’Inchiesta sui rifiuti, ai sensi dell’art. 36 del Regolamento Interno. Sono trascorsi 15 anni dalla costituzione di analogo organismo in seno al Consiglio Regionale, una Commissione d’inchiesta all’epoca presieduta da Carlo Ripa di Meana sui famigerati inceneritori: ebbene, dopo tre lustri, nulla sembra essere cambiato in Umbria.
Infatti, oggi come allora, il business dei rifiuti continua a passare ben sopra le teste dei cittadini; sono quegli stessi cittadini che profumatamente pagano un servizio assai carente, oggetto di ripetute indagini da parte della Magistratura, fino alla clamorosa svolta di queste settimane: è tardi, ma è forse ancora possibile far luce su questa scandalosa situazione, adottando sin da subito politiche finalmente virtuose, sostenibili e a buon mercato, ripubblicizzando il servizio, così come il M5S sostiene da anni. Accade invece l’esatto opposto. Gli esiti sono sotto gli occhi di tutti.

fonte: http://www.livegubbio.it

Sharing economy, la gratuità si estende


sharing economy

















Sarà la crisi economica, sarà una presa di coscienza, saranno tutti e due, ma il fenomeno della gratuità nel nostro mondo dove tutto ha un prezzo (e niente ha un valore) si sta estendendo. Anche se a piccolissimi passi. “Contadini evoluti”, come li chiamo io, non legati ai consorzi agrari e al mondo della chimica, si scambiano semi che sono al di fuori del commercio, che non si trovano in vendita. Chi è amministratore avveduto di un Comune, può varare in esso una banca del tempo, dimodoché ognuno possa mettere a disposizione le proprie competenze.
Se un proprietario di un alloggio ha a casa sua un divano o un letto liberi con il couchsurfing può metterli a disposizione di ragazzi che girano il mondo. Chi termina di leggere un libro, lo può regalare ad una biblioteca, o fare il bookcrossing, dimodoché altri lo possano leggere. A Bologna un gruppo di volontari ha aperto una boutique “solidale” per chi non si può comprare i vestiti. Lì sono gratis.
Le pagine Facebook di “Te lo regalo se vieni a prenderlo” (il cui contenuto è intuibile) contano decine di migliaia di iscritti. E questo per non parlare di chi dei soldi fa a meno per vivere. E sono solo esempi, non esaustivi. Certo, tutto questo sembra fuori dal mondo, il mondo in cui si spingono i consumi, in cui l’economia deve girare. Ma non quella del dono e della gratuità. Bensì quella dei grandi centri commerciali, della globalizzazione. Ma anche qui le buone notizie non mancano. McDonald’s negli Stati uniti chiude più locali di quanti ne apra. Un piccolo segnale di speranza.

fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it

CONVEGNO "AGROECOLOGIA, STRUMENTO DEL NUOVO UMANESIMO". Dall'Enciclica "Laudato si'”, di Papa Francesco - Roma, 31 Ottobre 2015




Coordinatore Scientifico: Dr. Giuseppe Altieri, Agroecologo

Per le Iscrizioni al Convegno contattare la Segreteria organizzativa: 
Studio AGERNOVA - Servizi Avanzati per l'Agroecologia e la Ricerca

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