Usa e Ue dovrebbero fare 5 volte di più, il Giappone 10 volte. Il contributo della Russia è zero

Diciotto grandi Organizzazioni non governative hanno presentato il
rapporto “Fair Shares: A Civil Society Equity Review of INDCs”,
un’analisi dei contributi nazionali (Intended Nationally Determined
Contributions – INDCs) che tiene conto dei due temi essenziali: la
scienza e l’equità in vista della Conferenza delle parti dell’United
Nations Framework Convention on Climate Change (COP21 Unfccc).
All’inizio di ottobre, 146 Paesi, che rappresentano circa l’87% delle
emissioni mondiali di d gas serra, hanno sottoposto all’Onu i loro
piani di azione climatica, questi INDCs costituiranno la pietra
angolare del nuovo accordo mondiale sul clima che dobvrebbe essere
firmato alla COP21, ma il nuovo rapporto presentato da ActionAid
International, Asian Peoples Movement on Debt and Development, Climate
Action Network South Asia, CARE International, Center for International
Environmental Law, Christian Aid, CIDSE, Climate Action Network Latin
America, EcoEquity, Friends of the Earth International, International
Trade Union Confederation, LDC Watch International, Oxfam, Pan African
Climate Justice Alliance, SUSWATCH Latin America, Third World Network,
What Next Forum e WWF International, dimostra che c’è ancora uno scarto
tra le misure che bisognerebbe prendere per evitare un cambiamento
climatico catastrofico e quello che fi no ad ora propongono i governi.
Il rapporto stima quale sia la parte equa che spetterebbe ad ogni
Paese nella lotta al cambiamento climatico, in funzione del suo livello
di responsabilità storica e della sua capacità di lottare contro il
riscaldamento globale. Le 18 organizzazioni sottolineano: «Anche se
l’equità è un principio fondamentale del processo dell’Onu per trovare
un nuovo accordo mondiale sul clima, i Paesi hanno però fino ad oggi la
possibilità di determinare e di fissare loro propri obiettivi su una
base puramente nazionale, senza tener di conto quel che deve essere
fatto nel quadro dello sforzo mondiale necessario o di quel che è
giusto». Inoltre il rapporto ricorda che «Abbiamo davanti a noi da 10 a
15 anni per ridurre drasticamente le nostre emissioni, se vogliamo
evitare un cambiamento climatico incontrollabile».
Secondo il rapporto, «I più grandi Paesi emettitori devono fare di
più per colmare lo scarto attuale, il che deve essere fatto in maniera
equa. I Paesi emettitori ricchi devono ridurre le loro emission in
maniera significativa ed impegnarsi ad aiutare i Paesi poveri a fare di
più in materia di adattamento e di attenuazione, fornendo loro dei
finanziamenti aggiuntivi ed accesso alla tecnologia».
Il rapporto fa delle raccomandazioni perché l’Accordo di Parigi
presenti un quadro all’interno del quale i governi fissino degli
obiettivi basati sull’equità e sulla scienza: «Al fine di evitare un
mondo a 3° C, i governi devono accettare degli obiettivi di riduzione
delle emissioni nel 2025, 2030, 2040 e 2050, con l’obiettivo di
raggiungere quasi le emissioni zero entro la metà del secolo; L’Accordo
di Parigi deve includere un meccanismo che permetta di rilevare
l’ambizione degli attuali obiettivi prima che entrino in vigore nel 2020
e, in seguito, ogni 5 anni; Deve includere un cambiamento radicale nei
finanziamenti climatici internazionali; Deve creare un piano di azione
chiaro e giusto che permetta di colmare l’attuale scarto attraverso una
cooperazione rafforzata ed un sostegno accresciuto dei Paesi sviluppati
più responsabili».
Il rapporto, presentato alla Climate change conference a
Bonn, l’ultimo round negoziale prima della COP21, invece sottolinea
che «Le ambizioni di tutti i Paesi sviluppati sono molto inferiori
alla loro giusta quota, non solo in termini di azione interna, ma anche
di finanziamenti internazionali» e che gli INDCs presentati non sono
sufficienti a limitare il riscaldamento globale a 2 gradi centigradi
sopra i livelli pre-industriali. Gli INDCs degli USA e dell’Unione
europea rappresentano solo un quinto della loro “parte giusta”, mentre
il Giappone dovrebbe incrementare di ben 10 volte le sue misure
climatiche rispetto a quel che prevedono i suoi impegni nazionali. Il
contributo della Russia alla lotta climatica è a zero.
Azeb Girmai, direttore climatico di LDC Watch International,
sottolinea che «Gli anni di inazione dei Paesi sviluppati minacciano già
la stessa sopravvivenza dei Paesi poveri e delle popolazioni più
vulnerabili al cambiamento climatico. Questa presentazione degli INDCs
dimostra di nuovo che i Paesi sviluppati non rispettano i loro impegni
di ridurre sostanzialmente le loro emissioni, conformemente alle
esigenze scientifiche e giuste». Invece ti lo studio afferma che i piani
nazionali della maggioranza dei Paesi in via di sviluppo «superano o
rispettano globalmente la loro giusta parte». Tra i Paesi virtuosi ci
sarebbe anche la Cina, che fa più di quanto sarebbe la sua parte,
impegnandosi a ridurre le sue emissioni di carbonio entro il 2030 e a
ridurre nello stesso periodo le sue emissioni per unità di PIL dal 60 al
65% rispetto al 2005. Inoltre Pechino ha annunciato che stanzierà 20
miliardi de yuan (circa 3,15 miliardi di dollari) per creare un fondo
Sud-Sud per il clima ed aiutare così gli altri Paesi in via di sviluppo a
combattere i cambiamenti climatici, mentre gli Usa hanno promesso 3
miliardi di dollari per il Green Climate Fund.
Asad Rehman, direttore clima di Friends of the Earth International
ha detto che «Da Washington a Bruxelles, I decisori dovrebbero essere
morti di vergogna vedendo che I Paesi poveri sono pronti a fare più di
loro. I paesi ricchi, i maggiori responsabili del cambiamento
climatico, ci stanno mettendo in corsa per un cambiamento climatico
irreversibile e più devastante invece di intraprendere l’urgente azione
radicale di cui c’è bisogno di ridurre le loro emissioni di anidride
carbonica, Friends of the Earth ha messo in guardia».
Per Susann Scherbarth, responsabile giustizia climatica e energia di Friends of the Earth
Europe,
«Gli impegni per tagliare le emissioni assunti finora dai Paesi ricchi
sono meno della metà di quello che ci serve per evitare cambiamenti
climatici fuori controllo. Il progetto di Accordo di Parigi in corso di
negoziazione questa settimana dimostra che molti sembrano pronti ad
accettare conseguenze irreversibili e devastanti per le persone e il
pianeta. Questo progetto smonterebbe anche alcuni principi fondamentali
della Convenzione ONU sul clima, come l’equità
. Questo
è semplicemente inaccettabile. I Paesi più ricchi devono fare la loro
parte. Il nuovo trattato deve proteggere i Paesi più poveri e le
persone, non lasciare che i Paesi più ricchi si tirino fuori dai guai».
Dipti Bhatnagar, coordinatrice per la giustizia climatica di Friends
of the Earth International, rincara la dose: «I politici sono sulla
buona strada per far fallire l’occasione del vertice di Parigi. Molti
politici, sotto pressione da parte delle multinazionali inquinatrici che
traggono profitto dai combustibili fossili e dall’energia sporca,
stanno promuovendo il carbone, il fracking e l’energia nucleare all’Onu
e a livello nazionale. Invece, dovrebbero impegnarsi a drastici tagli
delle emissioni e ad una trasformazione del nostro sistema energetico. I
nostri governi devono smetterla con l’energia sporca e seguire con
urgenza i veri leader: le persone, non gli inquinatori. Sempre più
persone stanno sostenendo le soluzioni reali, resistendo all’estrazione
di combustibili fossili e ci conducono verso le società della scurezza
climatica».
fonte: www.greenreport.it