In Italia l’Accordo sul clima di Parigi è
come se non fosse mai entrato in vigore. Mentre nel mondo molte
nazioni, città, imprese hanno accelerato il loro impegno, da noi tutto
tace.
Anzi, il nostro paese riafferma una posizione difensiva
rispetto agli obbiettivi proposti dalla UE al 2030. Ponendoci così più
vicini alla carbonifera Polonia che alle posizioni della Germania e
della Francia.
E quando si decide di intervenire, lo si fa in maniera maldestra come ci ricorda la proposta di rivisitare la SEN coinvolgendo un consulente esterno
con potenziali conflitti di interesse, invece di utilizzare Enea, Rse e
Ispra. E, soprattutto, senza prevedere un’ampia consultazione pubblica.
Per di più, mentre il MiSE si avvia su questa strada, il Ministero dell’Ambiente
lavora (?) alla strategia climatica. Insomma, una bella confusione,
dettata da mancanza di chiarezza, timidezza politica e assenza di regia.
E
così, molto opportunamente, il prossimo 25 gennaio il Coordinamento
FREE terrà a Roma una conferenza stampa alla Camera per riflettere
criticamente sull’attuale impostazione e per avanzare una proposta sul
modello partecipativo e sulle linee guida che dovrebbero ispirare la
strategia climatica.
L’avvio di una
seria politica di contrasto al riscaldamento del pianeta può infatti
rappresentare una straordinaria opportunità per modernizzare il paese e
rilanciare l’economia, sollecitando cambiamenti profondi in molti settori.
Pensiamo, ad esempio, agli obiettivi al 2030 nei settori non ETS
che implicano una riduzione delle emissioni del 18% rispetto ai valori
attuali. Un risultato ottenibile solo con un salto di qualità nei
comparti dell’edilizia (riqualificazione spinta di interi quartieri) e
trasporti (decollo della mobilità elettrica), che negli ultimi 25 anni
non hanno registrato un calo delle emissioni.
E un analogo colpo d’ala sarà necessario per coprire il 50% della domanda elettrica al 2030 con le fonti rinnovabili.
Ma
una riflessione critica, un rilancio della progettualità sono necessari
non solo per raggiungere gli obiettivi previsti per la fine del
prossimo decennio, ma anche per riflettere sui cambiamenti a lungo
termine ed evitare scelte dannose.
Non a caso, l’Accordo sul Clima prevede la predisposizione di efficaci strategie di decarbonizzazione al 2050.
Al
momento, anticipando i tempi, cinque paesi (Usa, Canada, Messico,
Germania e Francia) hanno già depositato i propri documenti presso il
Segretariato.
Altre realtà avevano già elaborato propri scenari a metà secolo. Così nel 2011 l’Unione Europea aveva predisposto la “Energy Roadmap 2050” che prevedeva una riduzione delle emissioni climalteranti tra l’80 e il 95% rispetto al 1990.
Il
Regno Unito con il Climate Change Act del 2008 si era già impegnato nel
2008 ad un taglio dell’80%. E i governi di Svezia e Danimarca
vorrebbero diventare totalmente “Fossil Free” entro il 2050.
Ma perché è importante capire come e dove ridurre le emissioni sul lungo periodo?
Innanzitutto per avere la consapevolezza dell’ambizioso percorso da compiere, delle implicazioni per i vari comparti, degli investimenti da evitare.
Il
cambiamento che abbiamo di fronte non ha infatti eguali nella storia
dell’umanità. In un terzo di secolo le fonti fossili, che al momento
garantiscono il 78% dei consumi mondiali e l’81% di quelli italiani,
dovrebbero avviarsi verso un uso residuale. La necessità di questa
rapida retromarcia è difficile da interiorizzare e ha notevoli
implicazioni.
Prendiamo il caso del metano. Se al 2050 i consumi di gas dovessero azzerarsi, o anche ridursi solo dell’80%, la costruzione di molti nuovi gasdotti diverrebbe uno emblematico e costoso esempio di investimenti inutili.
E
ci sono anche riflessi interni. Non a caso i gestori delle
infrastrutture inglesi di trasporto di metano hanno valutato quattro
possibili scenari di decarbonizzazione al 2050.
Tornando all’elaborazione degli scenari climatici, va sottolineata l’importanza del metodo del “backcasting”,
cioè dell’esplorazione delle trasformazioni necessarie per raggiungere
un determinato obbiettivo ad una certa data: nel nostro caso il taglio
dell’80-95% delle emissioni climalteranti al 2050.
Così, ed esempio, si dovranno analizzare i percorsi e gli obiettivi intermedi in grado di portare l’intero patrimonio edilizio su valori “nearly zero energy”.
Individuata la traiettoria di riduzione diventano indispensabili le
verifiche intermedie, per aggiustare il tiro se è il caso.
La Francia, ad esempio, ha introdotto i “Budget di carbonio” che prevedono la verifica ogni 5 anni dell’adeguatezza delle politiche nei vari comparti.
Ma una “Strategia Climatica 2050” deve necessariamente abbracciare tematiche molto più ampie di quelle energetiche.
Il percorso di decarbonizzazione è infatti strettamente legato alla transizione verso un’economia sempre più circolare.
Deve quindi prevedere la valorizzazione della bioeconomia, l’impegno
contro l’obsolescenza programmata dei prodotti, il contenimento
dell’espansione antropizzata sui territori.
Vista poi l’importanza dei trasporti,
devono essere affrontati i cambiamenti radicali in arrivo, includendo
ipotesi chiare sul ruolo della mobilità elettrica senza guidatore.
Ma, la strategia deve necessariamente riguardare anche l’agricoltura,
l’allevamento, la gestione forestale, la possibilità di catturare il
carbonio nei boschi e nel suolo, includendo una riflessione critica sul
nostro modello alimentare.
Sul versante della fiscalità, va considerato lo strumento della carbon tax,
spingendo per una sua adozione a livello europeo. Infine, vanno
ovviamente considerate le azioni necessarie per adattarsi ai cambiamenti
climatici che si accentueranno nei prossimi decenni
Come
si vede, l’elaborazione è necessariamente molto trasversale e richiede
da un lato il coinvolgimento attivo e non solo formale dei vari
stakeholders, dall’altro una cabina di regia delle varie amministrazioni
che, in assenza di un Ministero dei cambiamenti climatici, non può che essere allocata presso la Presidenza del Consiglio.
Vista la portata degli ostacoli e delle opportunità connesse con questa sfida, un processo partecipato
nella formulazione del Piano è fondamentale affinché tutti i
protagonisti della società abbiano consapevolezza dell’ampiezza e
radicalità dei cambiamenti necessari e siano protagonisti delle scelte
da avviare.
Questa è peraltro la
strada già seguita dalla Germania e dalla Francia nell’elaborazione dei
propri piani. Il documento tedesco è stato predisposto attraverso un
ampio processo partecipativo che ha visto il coinvolgimento dei Länder,
di 60 città e di 125 associazioni del mondo delle imprese, del lavoro e
della società civile.
Nell’arco di sei mesi, con il supporto di Istituti di ricerca, sono state predisposte e consegnate al governo 96 proposte. È partito quindi un processo di elaborazione e confronto tra i vari ministeri durato un anno che ha portato al “German Climate Action Plan 2050”
che prevede una riduzione delle emissioni a metà secolo dell’80-95%
rispetto al 1990, con un obiettivo di riduzione del 55% al 2030
articolato per settori (fig. 1 e 2).
Vista la forte presenza industriale, è previsto anche uno specifico programma di ricerca
per approfondire i percorsi che possono portare ad una neutralità delle
emissioni climalteranti in questo comparto, includendo la cattura e
l’impiego della CO2.
Il Piano francese è meno ambizioso di quello tedesco, ma pur sempre impegnativo, con una riduzione delle emissioni del 40% al 2030 e del 75% al 2050 (Fig. 3). In Francia un intenso processo partecipativo si era già registrato in vista dell’adozione nel luglio 2015 della Legge per la “Transizione energetica per uno sviluppo verde”.
Nel merito dei programmi previsti, risultano molto stringenti gli obiettivi sul parco edilizio,
con una riduzione dell’87% delle emissioni rispetto ai livelli attuali.
Ma il Piano climatico francese affronta esplicitamente molti temi oltre
a quello energetico. Così, il passaggio ad un’economia circolare ha un
ruolo centrale, con un’attenzione alla durata dei prodotti, allo spreco
alimentare, alla bioeconomia, alla riduzione del consumo di suolo.
Si evidenzia il rischio degli “stranded assets” nell’analisi
degli investimenti. Si propone una carbon tax progressivamente
crescente (opzione che però è stata congelata per il 2017). Un largo
spazio viene inoltre dedicato al ruolo dell’agricoltura e dei boschi.
Tornando
al nostro paese è importante che si evitino false partenze. E chissà
che Paolo Gentiloni, ricordando la sua militanza ambientalista, non
riesca a dare la giusta priorità alle politiche climatiche ... Mai dire
mai!
fonte: http://www.qualenergia.it