Mentre a Taormina si apre quello che alcuni definiscono come il
vertice “più impegnativo” degli ultimi anni per i 7 “grandi” della
terra, Re:Common lancia “L’anima nera dell’Italia”. E’ un nuovo video
realizzato per denunciare l’attività delle imprese che, nel territorio
nazionale e all’estero (in Montenegro, in particolare), continuano a
gestire centrali a carbone altamente inquinanti, nonostante ne siano
ormai riconosciuti da tutti i danni ambientali. Le comunità locali
hanno già pagato un prezzo troppo alto “allo sviluppo”, le alternative
energetiche e di sviluppo locale non possono che escludere gli
altri combustibili fossili, a cominciare dal gas naturale
Prodotto dall’associazione e realizzato dai documentaristi Mario e
Stefano Martone e da Fosco d’Amelio, il video di 9 minuti mostra come
imprese italiane, nel nostro Paese e all’estero (nella fattispecie in
Montenegro) gestiscano ancora centrali a carbone altamente inquinanti,
nonostante siano universalmente riconosciuti gli impatti negativi della polvere nera, nonché gli impatti deleteri per il clima del pianeta.
Le recenti
dichiarazioni del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e
dell’amministratore delegato dell’Enel Francesco Starace, che
prefigurano uno stop alle centrali a carbone entro un arco di tempo di
10-15 anni, vanno solo parzialmente nella giusta direzione, dal momento
che sono troppo generiche e soprattutto lasciano in sospeso alcuni temi
di enorme rilievo. In primis la
necessità di avere da oggi date certe e molto ravvicinate di chiusura
degli impianti inquinanti, a partire dalla mega centrale di Brindisi in cui nessun nuovo investimento andrà fatto, tranne che per lo smantellamento dell’impianto e la bonifica del territorio.
Con questo lavoro Re:Common vuole sollevare da subito anche la questione dei
costi per le bonifiche e la mitigazione e compensazione degli effetti
nefasti sulla salute della popolazione e sull’ambiente locale causati
dalle attività delle centrali, per arrivare a che
cosa accadrà nelle comunità dopo la chiusura degli impianti.
E soprattutto è necessario da subito discutere con le comunità
locali che hanno già pagato un prezzo troppo alto “allo sviluppo” le
alternative energetiche e di autentico sviluppo locale sostenibile e
democratico per i territori segnati dagli impianti. Alternative che, una
volta mandato in “pensione” il carbone, escludano anche gli
altri combustibili fossili ed in particolare il gas naturale.
Luca Manes - Re:common
fonte: comune-info.net