Cambiamenti climatici e agricoltura, il presente e il futuro



Gran parte degli scienziati concordano nell’attribuire anche all’agricoltura un ruolo importante nelle emissioni di gas serra, responsabili del cambiamento del clima. Occorrono azioni di adattamento, servizi climatici per previsioni a lungo termine e strumenti per la loro applicazione in campo agricolo.




Le condizioni generali del clima terrestre non sono buone. Stiamo assistendo da alcuni decenni, e più marcatamente dal 2000 in poi, a tendenze evidenti di aumento delle
temperature, e anche all’intensificazione dei cosiddetti eventi estremi (ondate di
calore, periodi siccitosi, precipitazioni intense e localizzate, uragani e tornado,
mareggiate).
La stragrande maggioranza degli studiosi sono ormai convinti che questa
situazione climatica sia riconducibile alle attività umane, in particolare alle
enormi emissioni di gas serra (più di 30 miliardi di tonnellate l’anno) legate alla
produzione di energia da fonti fossili, ma anche all’agricoltura industrializzata e
alla deforestazione nei tropici (Brasile e Indonesia in particolare).
Il clima della Terra, oltre che dal Sole, dipende in effetti anche dalla concentrazione in atmosfera di particolari gas – quali vapor d’acqua, anidride carbonica (CO2), metano e altri minori – che, assorbendo le radiazioni infrarosse sprigionate continuamente dalla
superficie terrestre, interferiscono con il bilancio energetico del pianeta e con la
sua temperatura.


L’effetto serra che deriva da queste interazioni tra gas serra e raggi infrarossi
è di per sé benefico, e garantisce una temperatura di circa 15 °C, mediamente
superiore al punto di congelamento (in assenza di effetto serra la Terra si
troverebbe invece intorno ai -20 °C).
Purtroppo le misure disponibili dimostrano che le attività umane sopra
citate stanno producendo un aumento rilevante dei gas serra. In particolare
la CO2 ha recentemente superato il livello di 400 parti per milione (ppm),
notevolmente sopra quello preindustriale, che non superava 280 ppm, come
dimostrano le analisi su campioni di aria antica rinvenuti nei ghiacci antartici
(figura 1). 



FIG. 1
ANIDRIDE CARBONICA IN ATMOSFERA
La CO2 ha recentemente superato il livello di 400 parti per milione (ppm), notevolmente superiore a
quello preindustriale, che non superava 280 ppm.







 


Anche altri gas serra, come il metano (CH4) e il protossido di azoto (N2O), in 
buona parte riconducibili all’agricoltura e agli allevamenti di bestiame, sono in forte
ascesa e contribuiscono con i loro effetti combinati per l’equivalente di altri 50
ppm di anidride carbonica.
Pur tenendo conto dell’effetto “rinfrescante” delle polveri e dei fumi sospesi in aria (aerosol), l’effetto complessivo delle emissioni umane è quindi quello di riscaldare la superficie terrestre e gli oceani.
I dati disponibili evidenziano in effetti che il riscaldamento climatico ha già
innalzato la temperatura terrestre di circa un grado (+0,8 °C) in un secolo (figura 2),
e ciò sta già provocando effetti visibili, il più clamoroso dei quali è senz’altro
la grande diminuzione del volume dei ghiacci artici, calati del 40% negli ultimi
35 anni.






 



FIG. 2
CLIMA E TEMPERATURE GLOBALI
Andamento delle temperature globali 1880-2015, espresse come anomalie rispetto alle
medie degli anni 1951-80. I valori preliminari per il 2016 confermano le tendenze al forte riscaldamento.




Molto chiara anche la reazione dei mari, che si stanno gonfiando per l’aumento
della temperatura dell’acqua, e sollevando per i continui deflussi di acque dolci di
scioglimento dei ghiacciai posti sulla terraferma (nel corso del XX secolo il
livello medio degli oceani è cresciuto di 15 cm e il ritmo odierno è di +3 mm/
anno).

Tutti i sistemi di calcolo modellistico messi a punti dai climatologi indicano
la necessità di intervenire pesantemente sulle emissioni antropiche di gas serra per
evitare che questi cambiamenti climatici proseguano inalterati, portando a fine
secolo le temperature a livelli pericolosi per la nostra civilizzazione.
In effetti nel 2015 i governi di tutto il mondo hanno dimostrato di comprendere
i rischi incombenti e hanno sottoscritto l’accordo di Parigi, già ratificato nel 2016
in Marocco, che prescrive azioni concrete per il contenimento dell'aumento delle
temperature al di sotto di +2 gradi, con un obiettivo ideale di +1,5 °C.
In generale la “ricetta” richiede il progressivo e rapido abbandono delle
fonti energetiche fossili e la loro sostituzione con fonti rinnovabili (in
particolare produzione di energia elettrica da sole acqua e vento).


È anche indispensabile diminuire drasticamente lo spreco di energia
attraverso una maggior efficienza (a titolo di esempio un motore a scoppio spreca
sotto forma di calore l’80% dell’energia contenuta nel carburante, mentre un
motore elettrico equivalente solo il 20%). E sono stati definiti meccanismi
economici compensativi che inducano i paesi responsabili a fermare la tendenza
al disboscamento, e anzi a invertirla.
Nonostante questi sforzi tesi alla “mitigazione” delle cause di cambiamento
climatico il clima per alcuni decenni continuerà a cambiare, e quindi bisogna
adoperarsi a tutti i livelli per il cosiddetto “adattamento”, un processo attivo che
aumenti la “resilienza” dei nostri sistemi produttivi e dell’habitat, ai fini di gestire
e sopportare meglio le conseguenze del nuovo clima terrestre.
Nelle aree urbane per esempio, è possibile e necessario evitare allagamenti e altri
disagi integrando nel territorio edificato sistemi innovativi di adeguata gestione
delle acque meteoriche derivanti da precipitazioni estreme, mentre in quello
agricolo si deve intervenire sulle varietà e sulle tecniche colturali per razionalizzare
e diminuire le esigenze irrigue delle coltivazioni.
La combinazione di mitigazione delle emissioni e di adattamento al nuovo
clima induce notevoli mutamenti socioeconomici e favorisce in generale
l’innovazione: questa indispensabile attività può dunque creare, se
adeguatamente stimolata e guidata, nuove opportunità di occupazione e sviluppo
sostenibile.
A questo proposito sono molto interessanti gli sviluppi relativi ai
cosiddetti “servizi climatici”, tesi alla fornitura di previsioni a lungo termine
(dalla stagione al decennio) e di strumenti per la loro applicazione anche
in campo agricolo. Arpae è impegnata da anni in questo senso e ha sviluppato
il sistema iColt che fornisce previsioni irrigue stagionali ai consorzi di bonifica
dell’Emilia-Romagna prima dell’estate (http://www.tinyurl.com/arpaeicolt).
Dall’integrazione di questo sistema con altri metodi e dati soprattutto satellitari
nel 2015 è nata in ambito Horizon2020 l’azione di innovazione europea Moses
(www.moses-project.eu) che tende a sviluppare un servizio completo di
previsione irrigua a lungo e breve periodo basato su una piattaforma geografica
gestita dall’azienda coordinatrice Esri Italia. In Emilia-Romagna, oltre ad
Arpae, collaborano l’università di Bologna (dipartimento Dipsa), il Canale
emiliano-romagnolo, il Consorzio di bonifica Romagna e l’azienda Agromet.


Vittorio Marletto
Arpae Emilia-Romagna