Semplificazione normativa, leve fiscali, investimenti e campagne di sensibilizzazione i punti fondamentali
Due mesi per raccogliere spunti di riflessione e critiche costruttive
da convogliarsi – si spera – in un rinnovato slancio fattivo: si è
appena chiusa la consultazione pubblica avviata a luglio dal governo sul documento “Verso un modello di economia circolare per l’Italia”,
presentato dal ministero dell’Ambiente come necessario per «fornire un
inquadramento generale dell’economia circolare nonché di definire il
posizionamento strategico del nostro paese sul tema, in continuità con
gli impegni adottati nell’ambito dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti
climatici, dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo
sostenibile, in sede G7 e nell’Unione Europea».
I contributi
arrivati al governo sul tema, a ulteriore dimostrazione di quanto questo
sia trasversale, uniscono associazioni ambientaliste, ong come pure
associazioni confindustriali, tra le quali spicca Assocarta: con 7
miliardi di fatturato e 200mila addetti (e altri 680mila nell’indotto),
l’industria cartaria italiana rappresenta sia un robusto settore
industriale sia un fondamentale attore nella filiera del riciclo. Le
cartiere sono dei veri e propri impianti di recupero – il 48,1% delle materie prime impiegate
nei loro processi produttivi sono costituiti da carta da riciclare – e
al contempo, come ogni impianto industriale, a loro volta dei produttori
di (nuovi) rifiuti che debbono essere gestiti: produrre 1 kg di carta
riciclata vuol dire infatti produrre fino a 0,4-0,5 kg di pulper e
fanghi.
Per questo Assocarta sottolinea nel documento
inoltrato al ministero dell’Ambiente l’importanza della «gestione del
“waste by waste”, ciò il recupero dei rifiuti dal riciclo. Se non
teniamo conto di questo aspetto, c’è il rischio di una bella costruzione
a monte che però non regge su fondamenta solide».
Più in
generale, Assocarta sottolinea un dato ovvio ma che spesso sfugge: «I
materiali riciclati devono competere sul mercato con i materiali
vergini. Poiché la convenienza di un investimento in tecnologie e
progetti di riciclo ha senso solo se la vendita o il costo di un
materiale riciclato è in grado nel tempo di ripagare gli investimenti.
Più a misure di compensazione e di equilibrio dei prezzi e dei costi, ad
esempio attraverso interventi sulla fiscalità per consentire di
mantenere vive le attività di riciclo, occorre spingere su un programma
di investimenti che, analogamente a Industria 4.0, permetta di avanzare
negli obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti e di utilizzo dei
sottoprodotti. In questo senso la questione normativa è fondamentale,
anzi è la “questione”». Una questione che fa rima con semplificazione:
«Per incentivare e rendere più efficienti le attività di recupero degli
scarti e dei residui sarebbe necessario semplificare e ridurre i
vincoli normativi e amministrativi», in quanto «la normativa spesso
richiede dei meri adempimenti formali che non rappresentano una garanzia
per una maggior tutela dell’ambiente e causano un irrigidimento del
sistema che di conseguenza non è incentivato a sviluppare progetti di
miglioramento e riduzione dei rifiuti prodotti».
Si tratta di un
punto molto sentito, nel mondo dell’industria come in quello
dell’ambientalismo. Sulla necessità impellente di una semplificazione
normativa che possa dare gambe al riciclo e all’ancor più vasto mondo
dell’economia circolare insistono Confindustria e Fise Assoambiente come anche Legambiente
e Kyoto club, il cui vicepresidente Francesco Ferrante ha recentemente
definito il ritardo nell’adeguamento normativo italiano sul tema «ormai a
livello patologico».
E all’urgenza della semplificazione
normativa si affianca quella delle risorse e degli incentivi fiscali,
sottolineata non solo da Assocarta ma anche in contributi come quello che proprio il Kyoto club ha offerto al governo.
L’ong suggerisce all’esecutivo di «spostare tutti gli incentivi
pubblici dai settori “non-circolari” / con bassa o nulla efficienza
nell’uso delle risorse a quelli con maggiori caratteristiche di
“circolarità”», anche tramite la «defiscalizzazione per gli interventi a
sostegno di tutte le fasi della catena del valore, sul modello – che ha
dato risultati positivi – già usato per favorire l’efficienza
energetica». In concreto, questo si tradurrebbe in una «tassazione
sempre più alta per la produzione e i consumi di “prodotti
noncircolari”», riflesso di una «tassazione sempre più bassa per la
produzione e i consumi di “prodotti circolari”».
Oggi tutto
questo non è presente in Itali, dove anzi tra le barriere il Kyoto club
sottolinea «l’assenza di provvedimenti legislativi a sostegno della
transizione, per favorire, ben oltre il comparto dei rifiuti, il decollo
dell’economia circolare», i «mancati successi, ad oggi, del Green
public procurement» e – fattore trasversale – la «mancanza di
informazione rispetto ai vantaggi che l’economia circolare può portare»,
dalla quale discende la necessità di sostenere «campagne informative di
sensibilizzazione dedicate».
Il documento “Verso un modello di economia circolare per l’Italia”
riuscirà a promuovere tutto questo? L’impostazione adottata dal governo
al momento non è incoraggiante: si tratta di un documento in
consultazione «“di inquadramento e di posizionamento strategico”
(necessariamente?) ancora limitato alla teoria. La sfida è il salto di
qualità verso la pratica», come osservano con amarezza dal Kyoto club.
fonte: www.greenreport.it