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Decarbonizzazione, la ricetta del Wwf


















Il WWF ha redatto uno studio per identificare le politiche necessarie a intraprendere con decisione la strada della decarbonizzazione in vista del Piano Nazionale Energia e Clima, la cui bozza va ultimata dal Governo entro dicembre. Nel report vengono proposti degli strumenti utili, per il WWF, ad attuare l’Accordo di Parigi nel settore energetico, in particolare su energia rinnovabile, efficienza energetica e uscita dal carbone (a cominciare dal settore elettrico).
Obiettivo, garantire un percorso di azzeramento delle emissioni di carbonio (decarbonizzazione) al 2050, per il quale andrà varata un’apposita strategia a lungo termine entro il prossimo anno, garantendo la sicurezza dei sistemi energetici.
Emission Performance Standard - A un anno dall’approvazione della Strategia Energetica Nazionale, che prevede l’uscita dal carbone entro il 2025, per dare concretezza all’intento politico di chiudere le centrali a carbone al 2025, le cui altissime emissioni di CO2 sono incompatibili con le politiche di salvaguardia climatica, il WWF chiede l’introduzione di un Emission Performance Standard di 500gCO2/kWh a partire dal 2025. "Lo strumento se introdotto da subito, permetterebbe di programmare la chiusura delle centrali in tempo per garantire uno sviluppo delle infrastrutture necessarie ad assicurare standard adeguati di sicurezza del sistema elettrico ed impostare strumenti per un’equa transizione nel rispetto di quanti sono oggi impiegati nel settore."
Rinnovabili - Nel settore delle rinnovabili lo studio interviene su aspetti specifici del decreto rinnovabili in fase di approvazione suggerendo di incrementare i contingenti d’asta ed assicurare un equilibrato sviluppo di eolico e fotovoltaico. Quindi raccomanda l’introduzione di strumenti per la promozione di contratti di acquisto da fonti rinnovabili a mercato nel lungo periodo, i cosiddetti Power Purchasing Agreement (PPA). Lo strumento proposto consiste nella garanzia di prezzo dei contratti attraverso la costituzione di un fondo alimentato dai proventi delle aste di CO2 il cui gettito è stimato in circa 1,5 miliardi anno. Contestualmente è richiesta l’introduzione di un carbon floor price[2] sulle emissioni di CO2 nel settore termoelettrico per limitare gli effetti negativi sul mercato delle fonti rinnovabili dovuti alla forte volatilità del costo dei permessi di emissione nel sistema di Emission Trading europeo ed assicurare contestualmente una programmazione del gettito delle entrate da permessi di CO2.
Infatti, In considerazione di un contributo FER al 2030 superiore al 55% nel settore elettrico, e progressivamente prossimo al 100% nel 2050, occorre istituire meccanismi e costruire un mercato che risponda progressivamente alle esigenze dei fondamentali degli impianti rinnovabili e sempre meno di quelli fossili. Il periodo 2021-2030 dovrà essere dedicato a questa progressiva trasformazione.

Efficienza energetica - Nel settore dell’efficienza energetica il WWF auspica un riordino dei meccanismi di promozione dell’efficienza nell’ottica di una maggiore efficacia in termini di riduzione della domanda finale di energia e suggerisce l’estensione dell’obbligo di risparmio attraverso il meccanismo dei titoli di efficienza energetica (TEE) al settore della vendita di energia elettrica e gas naturale. Ad oggi i TEE gravano unicamente sui distributori di energia e questo non è ritenuto sufficiente nel lungo periodo a fronte di obiettivi quantitativi sempre maggiori richiesti dalle direttive europee.

Gli scenari rispetto alla SEN - Lo studio sottolinea come le quantità di fonti rinnovabili e promozione dell’efficienza energetica dovranno per prima cosa essere aggiornate ed incrementate in relazione agli obiettivi proposti dalle nuove versioni delle Direttive Europee sulle fonti di energia rinnovabile (FER) e sull’efficienza energetica (EE).
Sulle energie rinnovabili, il nuovo obiettivo di coprire con queste fonti il 32% dei consumi finali al 2030 corrisponde ad un ulteriore necessario aumento della produzione pari a 4-5 Mtep (Mega Tonnellate di petrolio equivalente).
Rispetto alla bozza di decreto sulle fonti rinnovabili cosiddette mature il report suggerisce di introdurre la garanzia per lo sviluppo minimo di impianti per ciascuna tecnologia, eolico e fotovoltaico, sottolineando l’importanza di garantire una filiera industriale nelle diverse tecnologie proprio a fronte di obiettivi di sviluppo delle FER nel lungo periodo.
è opportuno, in ragione di un costo massimo per il sistema, mirare al maggiore sviluppo possibile delle FER in termini di nuova generazione elettrica. Il meccanismo attuale di asta definisce i MW di nuovi impianti, indipendentemente dal costo complessivo per il sistema e dalla quantità di elettricità generata. La proposta chiede, una volta definito un costo massimo per il sistema, di riassegnare nuova capacità in ragione dei risultati delle aste stesse. Non è pensabile, infatti, rallentare lo sviluppo delle FER in un contesto in cui l’apporto delle rinnovabili nel settore elettrico al 2030 dovrà essere ben superiore al 55% come già definito dalla SEN.

Infrastrutture e governance - Infine il report del WWF sottolinea l’importanza dello sviluppo delle infrastrutture nel settore energetico, e di una governance in cui le politiche di energia e cambiamenti climatici siano maggiormente integrate, sul modello del Ministero per la Transizione Ecologica in Francia e altre esperienze simili in molti Paesi europei.
In merito alle infrastrutture energetiche si raccomanda di accelerare la diffusione delle tecnologie di accumulo (batterie e altro) superando la fase sperimentare ed inaugurando, sul modello inglese, un mercato dei servizi di dispacciamento riservato agli accumuli in modo da renderne il ricorso interessante per gli investitori privati. Sul tema della governance si avanza la proposta per una maggiore integrazione tra ministeri che si occupano di mercati energetici e politiche climatiche.
Download attachments:
reportwwf88_energia_e_clima_2018.pdf (2 Downloads)

fonte: https://www.oggigreen.it/

Efficienza energetica, la fotografia dell’Enea

Il residenziale ha sostanzialmente raggiunto l’obiettivo atteso al 2020, l’industria è circa a metà del percorso previsto, mentre risultano ancora indietro trasporti e terziario, settore quest’ultimo in cui rientra la PA. Il 7° Rapporto Annuale sull’Efficienza Energetica dell’ENEA.























Grazie all’ecobonus le famiglie italiane hanno investito nel 2017 oltre 3,7 miliardi di euro per realizzare circa 420mila interventi di riqualificazione energetica, con un risparmio di oltre 1.300 GWh/anno. A ciò si aggiunge anche un risparmio di circa 2 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio (Mtep) derivante dall’emissione di 5,8 milioni di Titoli di Efficienza Energetica, i cosiddetti Certificati Bianchi, di cui 62% nell’industria e il 31% nel civile.
Sono questi i dati principali che emergono dal 7° Rapporto Annuale sull’Efficienza Energetica dell’ENEA (RAEE) presentato oggi a Roma dall’Enea, che ha evidenziato anche come tutte le misure adottate nel settore dell’efficientamento dal 2011 al 2017 abbiano generato complessivamente risparmi energetici per 8 Mtep/anno di energia finale, pari a due miliardi e mezzo di euro risparmiati per minori importazioni di gas naturale e petrolio e a circa 19 milioni di tonnellate di CO2 in meno rilasciate in atmosfera.
Tali risparmi – osserva in una nota l’Enea – equivalgono al 52% dell’obiettivo al 2020 previsto dal Piano d’Azione Nazionale per l’Efficienza Energetica (PAEE) e dalla Strategia Energetica Nazionale (SEN) e derivano per circa il 37% dai Certificati Bianchi e per oltre un quarto dalle detrazioni fiscali per interventi di efficientamento energetico.
A livello settoriale, il residenziale ha sostanzialmente raggiunto l’obiettivo atteso al 2020, l’industria è circa a metà del percorso previsto, mentre risultano ancora indietro trasporti e terziario, settore quest’ultimo in cui rientra la PA, che ha potuto contare quest’anno su 62 milioni di euro per interventi di efficientamento nelle proprie strutture tramite il “Conto Termico”.
Inoltre, in risposta alla normativa Ue sulla riqualificazione energetica del 3% della superficie degli immobili della PA centrale, nel periodo 2014-2017, risultano conclusi, in fase di realizzazione o programmati interventi su oltre 190 immobili, per una superficie utile complessiva di circa 1,9 milioni di m2.
Insieme al RAEE è stato presentato il Rapporto ENEA sulle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica del patrimonio edilizio che illustra gli investimenti stimolati dall’ecobonus. Nel periodo 2014-2017, gli interventi di riqualificazione energetica hanno portato a un risparmio medio sulla bolletta annuale dei consumatori compreso tra i 250 euro del 2014 e i 150 euro del 2017, anche per effetto dei differenti livelli dei prezzi del gas. Di fatto, questi interventi equivalgono a un risparmio medio annuo del 15% sul totale della spesa energetica delle famiglie.
Dall’avvio dell’ecobonus nel 2007 sono stati realizzati oltre 3,3 milioni di interventi, di cui circa 1,5 milioni nel periodo 2014-2017. La quota principale dell’ultimo quadriennio, pari ad oltre 6 miliardi di euro, ha riguardato la sostituzione di 2,6 milioni di serramenti, mentre 2,1 miliardi di euro sono stati destinati a circa 70mila interventi sulle pareti orizzontali ed inclinate.
Il risparmio di oltre 1.300 GWh/anno per gli interventi eseguiti nel solo 2017 è stato ottenuto principalmente grazie a due tipologie che presentano il miglior rapporto costo/efficacia, vale a dire la sostituzione di serramenti (circa il 40% del risparmio) e la coibentazione di solai e pareti (oltre il 25%).
Circa l’80% degli investimenti attivati nel 2017 (2,9 miliardi di euro su oltre 3,7 complessivi) riguarda edifici costruiti prima degli anni ‘80. In particolare, circa il 25% delle risorse totali (oltre 920 milioni di euro) è stato destinato ad edifici costruiti negli anni ‘60. Circa il 40% degli investimenti (oltre 1,4 miliardi di euro) ha riguardato una costruzione isolata (villette mono o plurifamiliari), mentre il 35% circa delle risorse (circa 1,3 miliardi di euro) ha interessato interventi su edifici in linea e condomini con più di tre piani fuori terra.
fonte: www.qualenergia.it

Oltre i target SEN guadagnandoci, grazie a 52 GW di nuovo fotovoltaico: uno studio

L’Italia può arrivare al 2030 al 59% di rinnovabili sui consumi elettrici, cioè ben oltre il target del 55% previsto dalla Strategia Nazionale e abbandonare il carbone senza costi e senza nuovi impianti a gas. Un nuovo studio dell'European Climate Foundation dedicato al nostro Paese.





















Anziché al 55% di rinnovabili nel mix elettrico previsto dalla SEN come obiettivo 2030, possiamo arrivare al 59%, tagliando le emissioni del 66% anziché del 40% rispetto al 1990, grazie soprattutto al calo dei costi del fotovoltaico.
L’eliminazione del carbone, poi, non comporta oneri maggiori per l’Italia e possiamo perseguirla senza dotarci di nuovi impianti a gas.
Sono queste, in estrema sintesi, le conclusioni più significative di un nuovo studio sull’Italia curato dall’ European Climate Foundation e dal consorzio  Energy Union Choices, “Più pulita, intelligente e conveniente: come cogliere le opportunità della transizione energetica in Europa” (allegato in basso).
Lo studio analizza due scenari, che riflettono diversi livelli d’ambizione .
Il Baseline Scenario riflette lo stato attuale della politica energetica dell’UE, incluso il pacchetto sull’Energia Pulita proposto dalla Commissione Europea. In sostanza si basa sull’ EUCO30, lo scenario centrale sviluppato e adottato dalla Commissione europea per il 2030, ma a differenza di questo (stilato nel 2014 ed obsoleto per certi sapetti), assume costi delle rinnovabili aggiornati.
Poi c’è l’Opportunity Scenario, che prevede un portafoglio di politiche più ambizioso. Si prevede che gli Stati membri adottino piani nazionali per ritirare le centrali a carbone (e il nucleare dove c’è) e che si attui un’ “elettrificazione intelligente”: politiche per attivare flessibilità della domanda, con un focus specifico sull’integrazione intelligente dei carichi da solare fotovoltaico, veicoli elettrici, processi industriali e pompe di calore.
Come si vede dal grafico sotto, lo scenario Opportunity è quello più economico, anche se va detto che qui non si considerano tante ricadute che lo renderebbero ancora più conveniente (occupazione, indotto degli investimenti, costi sanitari ed ambientali, etc).
I costi per la rapida eliminazione del carbone e la necessità di una maggiore flessibilità della domanda ammontano infatti a 3 miliardi di euro l’anno. Essi sono collegati all’utilizzo intensivo degli impianti a gas già esistenti (+ € 2,3 miliardi l’anno), alla capacità fotovoltaica aggiuntiva (+ € 0,6 miliardi l’anno) e alla capacità d’interconnessione (+ € 0,1 miliardi l’anno). Tuttavia, questi costi sono controbilanciati dai risparmi derivanti dalle mancate importazioni di carbone (- € 1,6 miliardi all’anno), dalle minori importazioni di elettricità (- € 1,5 miliardi all’anno) e dai mancati costi di adeguamento ambientale per le centrali a carbone (- € 0,2 miliardi all’anno). In sintesi, tutto ciò equivale ad un risparmio netto di circa € 400 milioni l’anno.
Sul fonte clima, seguendo questa traiettoria, si stima, le emissioni di CO2 come detto potrebbero diminuire del 66% rispetto al 1990, superando dunque di netto la riduzione prevista nello scenario EUCO30, del 40% rispetto al 1990.
Centrale, si spiega, l’efficienza elettrica insieme a una coordinata strategia europea per la promozione delle fonti pulite .
“Le importazioni di elettricità e la cooperazione regionale rappresentano soluzioni strategiche e convenienti al fine di ridurre il peso della bolletta elettrica e aumentare la sicurezza energetica, sia per l’Italia che per i Paesi limitrofi”, si sottolinea nel report.
La gestione della domanda attiva e lo stoccaggio giornaliero attraverso i veicoli elettrici poi “sono fondamentali per soddisfare il fabbisogno di flessibilità richiesto dall’aumento delle rinnovabili”, soprattutto del FV. Le interconnessioni sono “strategiche sia per aumentare la flessibilità sia per sostituire l’energia elettrica da carbone con importazioni a basso costo e basso impatto ambientale.”
Ma il vero protagonista è il fotovoltaico: “presenta un enorme potenziale per la generazione di elettricità a zero emissioni e a basso costo”, si legge nello studio che per questa fonte assume un valore LCOE di 40 €/MWh (già raggiunto oggi come media europea per gli impianti più grandi, vedi QualEnergia.it, Se il fotovoltaico non aspetta più gli incentivi).
Entro il 2030 – si prevede – il fotovoltaico potrebbe raggiungere una capacità installata complessiva di 52 GW, cioè un aumento del 174% rispetto al 2015, contribuendo a soddisfare più del 22% della domanda di elettricità in Italia.
In questo modo, insieme a uno sviluppo dell’eolico di 18 GW (cioè un aumento del 100% rispetto ai 9 GW del 2015), nonché delle biomasse e dell’idroelettrico, le energie rinnovabili possono contribuire per il 59% al consumo interno di elettricità.
fonte: www.qualenergia.it

L’Italia deve fare molto di più per eliminare i sussidi alle fonti fossili

Diverse organizzazioni no-profit hanno monitorato i progressi compiuti dai paesi del G7 per cancellare il sostegno a carbone, gas e petrolio entro il 2025, pochi finora. Almeno cento miliardi di dollari l’anno continuano a essere destinati ai combustibili “sporchi”, tra esenzioni fiscali e finanziamenti pubblici.



















Sono almeno 100 miliardi di dollari i sussidi che le economie più “forti” del mondo (quelle del G7) continuano a elargire ai combustibili fossili, in una contraddizione sempre più palese con la promessa di eliminarli del tutto entro il 2025 e con l’obiettivo di combattere i cambiamenti climatici.
A rimarcare la distanza tra il “dire” e il “fare” per quanto riguarda l’abbandono delle fonti energetiche più inquinanti, con una posizione ancora troppo conservativa per l’Italia, è il documento pubblicato da diverse organizzazioni non governative, G7 fossil fuel subsidy scorecard, vedi la tabella seguente con la classifica delle sette nazioni.









Gli autori dello studio hanno monitorato il progresso dei paesi in varie categorie: quanto sono trasparenti nel comunicare i dati finanziari sul sostegno alle risorse fossili, quali impegni hanno annunciato finora contro il supporto a carbone, gas e petrolio, se hanno già iniziato a diminuire, e di quanto, i sussidi destinati all’estrazione, produzione e utilizzo delle fonti “sporche”.
È bene chiarire che è molto complesso stimare l’esatto ammontare di tali sussidi (vedi anche QualEnergia.it).
Nei cento miliardi/anno lo studio include sia le esenzioni fiscali (fiscal support) che i finanziamenti pubblici (public finance) nei diversi settori, dai trasporti all’industria, passando per il residenziale, l’agricoltura e così via.
In Italia, evidenzia il documento, resta molto elevato il sostegno fiscale per l’utilizzo di gasolio nei trasporti, tanto da far scivolare il nostro paese in quinta posizione nella classifica complessiva, dietro Francia, Germania, Canada e Gran Bretagna.
La Francia ha meritato il punteggio totale migliore tra i membri del G7, grazie soprattutto a due recenti iniziative: riallineare gradualmente la tassazione benzina/diesel e bloccare i permessi per l’esplorazione di nuovi giacimenti di gas e petrolio sul territorio nazionale (vedi QualEnergia.it).
Tornando al nostro paese (scheda completa allegata in basso), la graduatoria stilata delle organizzazioni no-profit, tra cui Oil Change International (OCI) e International Institute for Sustainable Development (IISD), ha premiato la completa assenza di sussidi rivolti all’estrazione di carbone a livello globale.
Ricordiamo, poi, che la Strategia energetica nazionale prevede di chiudere definitivamente tutti gli impianti termoelettrici che ancora utilizzano questa fonte entro il 2025.
L’Italia, si legge poi nel documento, è “relativamente trasparente” nel diffondere le informazioni sul supporto finanziario ai carburanti fossili, da quando il ministero per l’Ambiente ha cominciato a pubblicare il catalogo sui sussidi dannosi, che secondo le stime per il 2016 erano pari a circa 11,5 miliardi di euro.
Risultati certamente peggiori, invece, sono stati attribuiti alla nostra economia per le eccessive esenzioni fiscali che favoriscono l’impiego di prodotti petroliferi, di cui beneficiano, ad esempio, le società dell’autotrasporto e le compagnie aeree.
Inoltre, l’Italia continua a supportare in vario modo la produzione di energia elettrica con le fonti tradizionali, compreso il carbone, tramite misure fiscali e prestiti/garanzie a progetti fossili, su cui investono imprese italiane in diverse parti del mondo.
In contrasto, quindi, con le più recenti campagne che puntano a cancellare gli investimenti nelle risorse energetiche più inquinanti, coinvolgendo un numero crescente di banche e assicurazioni e testando un nuovo metodo, sviluppato dalla task-force sulla trasparenza finanziaria istituita dal G20 (TCFD, Task Force on Climate-related Financial Disclosures), per aiutare le società pubbliche/private a individuare i rischi legati ai portafogli molto esposti su carbone, gas e petrolio.
Nel “contratto di governo M5S-Lega”, ricordiamo, manca qualsiasi riferimento alla fiscalità ambientale da sempre caldeggiata dal Movimento 5 Stelle, che dovrebbe prevedere, ad esempio, misure per collegare il livello di tassazione (e quindi anche delle accise sui carburanti) alle emissioni inquinanti dei veicoli.
Tra l’altro, l’idea contenuta nel contratto  di “eliminare le componenti anacronistiche delle accise sulla benzina” (vedi tutti i dettagli su QualEnergia.it), in realtà, andrebbe nella direzione opposta alle iniziative raccomandate dallo Scorecard per tagliare progressivamente i sussidi alle fonti fossili.
Ricordiamo, infine, che Bruxelles ha appena proposto un pacchetto legislativo per promuovere gli investimenti “sostenibili” con particolare riferimento alle fonti rinnovabili e all’efficienza energetica, dando seguito al piano d’azione per la finanza “verde” presentato lo scorso marzo.
fonte: www.qualenergia.it

Sviluppo rinnovabili: urge emanazione decreti ministeriali

Dopo oltre un anno e mezzo di ritardi, un ulteriore slittamento post elezioni metterebbe a rischio l’industria delle rinnovabili in Italia, vanificando tutti gli sforzi fatti finora.


Questo il grido d'allarme lanciato ieri con un comunicato stampa dal Coordinamento FREE(Coordinamento Fonti Rinnovabili ed Efficienza Energetica), che raggruppa oltre 30 associazioni del settore.
"Nonostante le ripetute rassicurazioni ricevute dalle istituzioni – si legge nel comunicato - ad oggi la Strategia Energetica Nazionale (SEN) varata dal governo lo scorso Novembre risulta inattuabile, nella parte che riguarda le fonti rinnovabili di energia, per mancanza di provvedimenti normativi che diano indicazioni concrete per il raggiungimento degli obiettivi individuati".
Mancano infatti all'appello, da oltre un anno e mezzo, i decreti ministeriali attuativi indispensabili per lo sviluppo delle rinnovabili per gli anni 2017-2020. Secondo il Coordinamento FREE, un eventuale ulteriore rimando al periodo post elezioni "metterà a serio rischio un’industria solida ma ancora molto giovane e che necessita quindi di strutturarsi grazie a politiche di medio lungo periodo basate su provvedimenti che diano la certezza necessaria per pianificare investimenti futuri".
Il Coordinamento FREE auspica quindi l'emanazione di tali decreti prima delle prossime elezioni, evitando così di vanificare gran parte degli sforzi fatti dal nostro Paese negli ultimi anni, proprio ora che il costo delle rinnovabili è sceso significativamente.

Quali prospettive per il fotovoltaico post SEN?

Come accelerare il numero delle installazioni solari in modo da passare dalla produzione annua degli attuali 25 TWh ai 72 TWh indicati nella SEN per il 2030?





















Non è una cosa banale, considerato che si tratterà di incrementare la nuova potenza collegata alla rete arrivando in poco tempo a livelli di 3 GW/a, cioè otto volte la media registrata nel recente passato. Si dovranno infatti installare entro la fine del prossimo decennio ben 35 nuovi GWuna volta e mezzo la potenza collegata alla rete in Italia dal 2005 ad oggi, con impianti residenziali, sistemi per il comparto terziario/industriale e grandi installazioni a terra. Inoltre, nel prossimo decennio molti dei nuovi impianti dovranno essere abbinati a sistemi di accumulo.
L’obiettivo del 2030 potrà essere raggiunto e anche essere superato  grazie alla progressiva riduzione dei prezzi e in presenza dell’introduzione di diverse misure di carattere normativo e regolatorio. Va infatti considerata la possibilità di un innalzamento dell’obiettivo del 27%, come richiesto nei giorni scorsi dalle Commissioni Ambiente, Industria e Energia del Parlamento europeo.
Una proposta che potrebbe essere approvata subito riguarda l’estensione dell’utilizzo del modello unico semplificato, attualmente valido solo per sistemi fotovoltaici inferiori ai 20 kW complanari alle coperture e per gli edifici posti fuori dai centri storici. Sembrerebbe ragionevole una sua applicazione per tutti gli impianti con le stesse caratteristiche per potenze fino a 1 MW.
Andrebbe quindi definito un provvedimento che consenta l’impiego di Sistemi di Distribuzione Chiusi, come richiesto dall'ordine del giorno 2085/48/10 approvato nella decima Commissione del Senato e sollecitato anche dalla Autorità Garante del Mercato e della Concorrenza.  Si consentirebbe così, per esempio, di utilizzare in maniera efficace i tetti di decine di migliaia di edifici consentendo alle famiglie di usufruire dell’elettricità solare, definendo un giusto valore per gli oneri di rete.
Per favorire l’introduzione delle batterie andrebbero poi previste delle soluzioni premiali per l’autoconsumo dell’elettricità fotovoltaica.
Si dovrebbe inoltre accelerare la timida apertura del Mercato del Servizio di Dispacciamento agli impianti rinnovabili distribuiti e ai sistemi di accumulo, valorizzando anche il contributo proveniente dal governo della domanda (Demand Response). La remunerazione di questi servizi contribuirà infatti a valorizzare gli investimenti effettuati.
A seguire, dovrebbero essere considerati prioritari anche agli impianti collocati in "siti a vocazione prioritaria" appositamente identificati dalle Regioni.
Andrebbero poi da subito sperimentati i contratti di lungo termine (PPA, Power Purchase Agreement) che tanto successo hanno avuto all’estero, prevedendo una garanzia pubblica in modo da favorire l’incrocio tra domanda e offerta.

Partiamo dalle semplificazioni autorizzative e degli iter burocratici. Per quanto riguarda gli impianti a terra, il tema principale è quello delle autorizzazioni. Premesso che andranno privilegiate aree industriali, discariche di rifiuti e cave dismesse, si potrebbero privilegiare le aree agricole abbandonate per i progetti che prevedano l’abbinamento con la coltivazione di prodotti agricoli. Una sperimentazione "agro fotovoltaica" è stata condotta con successo dal Fraunhofer Institute presso il Lago di Costanza utilizzando moduli fotovoltaici bifacciali installati ad un altezza di cinque metri. Confrontando la produzione agricola con quella di un vicino campo di riferimento, la resa è risultata inferiore del 5-20% per le diverse coltivazioni, ma la produzione dell’impianto fotovoltaico è stata di un terzo superiore rispetto alla media tedesca.  Queste tipologie di impianti, oltre a facilitazioni autorizzative, dovrebbero avere una priorità di accesso alle aste. 
Su un altro versante, quello "decentrato",le aste dovrebbero poter prevedere 
la partecipazione di aggregazioni di pluralità di impianti, favorendo in tal modo anche 
la crescita dei soggetti "aggregatori".

Insomma, sono molti gli interventi che potrebbero consentire di fare rapidamente 
ripartire il comparto fotovoltaico, con costi molto ridotti. 
Ma i tempi sono stretti ed occorrono segnali chiari, veloci e coerenti con l’ambizione 
degli obiettivi contenuti nella SEN.

*Gianni Silvestrini, Direttore scientifico Kyoto Club e QualEnergia

fonte: http://www.nextville.it/

Dall’industria agli ambientalisti, le idee del Paese al servizio dell’economia circolare

Semplificazione normativa, leve fiscali, investimenti e campagne di sensibilizzazione i punti fondamentali 



















Due mesi per raccogliere spunti di riflessione e critiche costruttive da convogliarsi – si spera – in un rinnovato slancio fattivo: si è appena chiusa la consultazione pubblica avviata a luglio dal governo sul documentoVerso un modello di economia circolare per l’Italia”, presentato dal ministero dell’Ambiente come necessario per «fornire un inquadramento generale dell’economia circolare nonché di definire il posizionamento strategico del nostro paese sul tema, in continuità con gli impegni adottati nell’ambito dell’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, in sede G7 e nell’Unione Europea».
I contributi arrivati al governo sul tema, a ulteriore dimostrazione di quanto questo sia trasversale, uniscono associazioni ambientaliste, ong come pure associazioni confindustriali, tra le quali spicca Assocarta: con 7 miliardi di fatturato e 200mila addetti (e altri 680mila nell’indotto), l’industria cartaria italiana rappresenta sia un robusto settore industriale sia un fondamentale attore nella filiera del riciclo. Le cartiere sono dei veri e propri impianti di recupero – il 48,1% delle materie prime impiegate nei loro processi produttivi sono costituiti da carta da riciclare – e al contempo, come ogni impianto industriale, a loro volta dei produttori di (nuovi) rifiuti che debbono essere gestiti: produrre 1 kg di carta riciclata vuol dire infatti produrre fino a 0,4-0,5 kg di pulper e fanghi.
Per questo Assocarta sottolinea nel documento inoltrato al ministero dell’Ambiente l’importanza della «gestione del “waste by waste”, ciò il recupero dei rifiuti dal riciclo. Se non teniamo conto di questo aspetto, c’è il rischio di una bella costruzione a monte che però non regge su fondamenta solide».
Più in generale, Assocarta sottolinea un dato ovvio ma che spesso sfugge: «I materiali riciclati devono competere sul mercato con i materiali vergini. Poiché la convenienza di un investimento in tecnologie e progetti di riciclo ha senso solo se la vendita o il costo di un materiale riciclato è in grado nel tempo di ripagare gli investimenti. Più a misure di compensazione e di equilibrio dei prezzi e dei costi, ad esempio attraverso interventi sulla fiscalità per consentire di mantenere vive le attività di riciclo, occorre spingere su un programma di investimenti che, analogamente a Industria 4.0, permetta di avanzare negli obiettivi di riciclo e di recupero dei rifiuti e di utilizzo dei sottoprodotti. In questo senso la questione normativa è fondamentale, anzi è la “questione”». Una questione che fa rima con semplificazione: «Per incentivare e rendere più efficienti le attività di recupero degli scarti e dei residui sarebbe necessario semplificare e ridurre i vincoli normativi e amministrativi», in quanto «la normativa spesso richiede dei meri adempimenti formali che non rappresentano una garanzia per una maggior tutela dell’ambiente e causano un irrigidimento del sistema che di conseguenza non è incentivato a sviluppare progetti di miglioramento e riduzione dei rifiuti prodotti».
Si tratta di un punto molto sentito, nel mondo dell’industria come in quello dell’ambientalismo. Sulla necessità impellente di una semplificazione normativa che possa dare gambe al riciclo e all’ancor più vasto mondo dell’economia circolare insistono Confindustria e Fise Assoambiente come anche Legambiente e Kyoto club, il cui vicepresidente Francesco Ferrante ha recentemente definito il ritardo nell’adeguamento normativo italiano sul tema «ormai a livello patologico».
E all’urgenza della semplificazione normativa si affianca quella delle risorse e degli incentivi fiscali, sottolineata non solo da Assocarta ma anche in contributi come quello che proprio il Kyoto club ha offerto al governo. L’ong suggerisce all’esecutivo di «spostare tutti gli incentivi pubblici dai settori “non-circolari” / con bassa o nulla efficienza nell’uso delle risorse a quelli con maggiori caratteristiche di “circolarità”», anche tramite la «defiscalizzazione per gli interventi a sostegno di tutte le fasi della catena del valore, sul modello – che ha dato risultati positivi – già usato per favorire l’efficienza energetica». In concreto, questo si tradurrebbe in una «tassazione sempre più alta per la produzione e i consumi di “prodotti noncircolari”», riflesso di una «tassazione sempre più bassa per la produzione e i consumi di “prodotti circolari”».
Oggi tutto questo non è presente in Itali, dove anzi tra le barriere il Kyoto club sottolinea «l’assenza di provvedimenti legislativi a sostegno della transizione, per favorire, ben oltre il comparto dei rifiuti, il decollo dell’economia circolare», i «mancati successi, ad oggi, del Green public procurement» e – fattore trasversale – la «mancanza di informazione rispetto ai vantaggi che l’economia circolare può portare», dalla quale discende la necessità di sostenere «campagne informative di sensibilizzazione dedicate».
Il documento “Verso un modello di economia circolare per l’Italia” riuscirà a promuovere tutto questo? L’impostazione adottata dal governo al momento non è incoraggiante: si tratta di un documento in consultazione «“di inquadramento e di posizionamento strategico” (necessariamente?) ancora limitato alla teoria. La sfida è il salto di qualità verso la pratica», come osservano con amarezza dal Kyoto club.

fonte: www.greenreport.it

SEN, più tempo per la consultazione

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Il Ministero dello Sviluppo economico e il Ministero dell'Ambiente hanno prolungato ancora il periodo di consultazione sulla Strategia energetica nazionale. C'è tempo fino al 12 settembre 2017.
La consultazione, avviata il 12 giugno scorso, si sarebbe dovuta concludere il 12 luglio 2017. Ma, tenendo conto della rilevanza del tema e della complessità del documento in consultazione, i Ministeri avevano fatto slittare la scadenza fino al prossimo 31 agosto.
Ieri è arrivata la seconda proroga: i soggetti interessati hanno ora tempo fino al 12 settembre 2017.
La decisione - ha specificato il Ministero dello sviluppo nel suo comunicato stampa - è stata presa perchè sono pervenute ulteriori richieste di proroga e anche "in considerazione dell’attenzione rivolta al tema, alla complessità dell’argomento ed alla sua portata strategica sulle traiettorie di sviluppo del Paese, che richiedono una approfondita analisi congiunta da parte dei due competenti Ministeri".
Riferimenti

Prorogata al 12 settembre la consultazione pubblica sulla SEN
il comunicato stampa del Ministero dello sviluppo economico


fonte: http://www.nextville.it

Auto elettriche, Silvestrini: veicoli a zero emissioni ai margini SEN














Auto elettriche ed efficientamento spinto degli edifici italiani (interi) marginali nella nuova SEN. A sostenerlo è Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e presidente del Green Building Council Italia, che sottolinea come nella Strategia Energetica Nazionale lo spazio riservato a questi due settori sia clamorosamente ridotto quando non assente.
Come ha affermato lo stesso Silvestrini sul portale Qualenergia, a stupire è proprio la marginalità con cui vengono trattate due aree d’intervento, ritenute dallo stesso direttore scientifico del Kyoto Club di assoluta importanza nel prossimo decennio:
Parliamo della mobilità elettrica e della riqualificazione spinta di interi edifici, entrambe decisive per il raggiungimento degli obiettivi di riduzione al 2030 delle emissioni climalteranti nei settori non ETS che, ricordiamolo, è del 33% rispetto ai valori del 2005 e del taglio del 30% dei consumi energetici finali rispetto allo scenario tendenziale.
Va certamente dato atto che nel documento si parla di “Deep renovation” del nostro parco costruito, un’attenzione che non era presente in passato. Così pure si accenna al ruolo del trasporto elettrico, snobbato in passato. Il fatto è che su questi temi vengono spese poche righe.
Il timore espresso da Silvestrini è che l’Italia punti a frenare l’innalzamento degli obiettivi UE per non rischiare di mancare clamorosamente il nuovo bersaglio. L’idea del governo si baserebbe su una sorta di “teoria dei rendimenti decrescenti”, irragionevole secondo il presidente di Green Building Council Italia, che spiega:
La teoria dei rendimenti decrescenti non regge in presenza di rapidi cambiamenti tecnologici. Tanto più se il potenziale di risparmio è molto elevato, come è il caso del nostro parco edilizio e di quello dei trasporti.
Del resto, sono molte le esperienze nelle quali l’innovazione e un approccio olistico nella gestione degli interventi per l’efficienza hanno consentito di ridurre e non di accrescere i costi con il passare del tempo.

fonte: www.greenstyle.it

Gli scienziati italiani passano al setaccio la SEN

Il Gruppo di scienziati di Bologna “Energia per l’Italia” pubblica alcune considerazioni sulla bozza della Strategia Energetica Nazionale


















Quasi in contemporanea con la pubblicazione da parte del Mise  della consultazione sulla strategia energetica nazionale (SEN 2030), gli scienziati e i ricercatori “Energia per l’Italia” (Coordinatore, Vincenzo Balzani) redigono un articolo di attente considerazioni sui nuovi indirizzi energetici dell’Italia. Pubblichiamo di seguito il testo, in versione ridotta (Qui il documento integrale).

La bozza della Strategia Energetica Nazionale (SEN) presentata dal Governo il 10 maggio si propone tre obiettivi:
  1. Competitività (ridurre il gap di prezzo dell’energia rispetto ai prezzi UE);
  2. Ambiente (raggiungere obiettivi in linea con COP21);
  3. Sicurezza (flessibilità di approvvigionamento).

Esame della SEN

Dopo un’attenta lettura della bozza SEN, si possono fare le seguenti considerazioni.
Coordinamento. Considerata la stretta connessione fra la scelta delle fonti energetiche e le conseguenze che ne possono derivare su clima e ambiente, risulta difficile capire le motivazioni per cui il Ministero delle Sviluppo Economico prepari una Strategia Energetica Nazionale e, allo stesso tempo, il Ministero dell’Ambiente prepari una Strategia energia-clima. In altri paesi si procede solitamente alla preparazione di un unico programma che, oltre a rispettare gli accordi di Parigi e gli obiettivi UE, tiene conto delle caratteristiche e delle esigenze specifiche del paese.

Fonti rinnovabili. L’obiettivo della SEN è in linea con quelli europei (27% di rinnovabili nei consumi finali al 2030; ad oggi la stima è del 17,5%). C’è però chi pensa che sia necessario giungere al 35% di energia rinnovabile per rispettare lʼaccordo di Parigi. LʼItalia, in ogni caso, deve e può fare di più. Alla fine del 2015 avevamo circa 19 mila MW di fotovoltaico installato e circa 9 mila MW di eolico. Il nostro paese ha conosciuto un forte sviluppo delle fonti rinnovabili fino al 2013, ma da più di tre anni è in stasi con la conseguente perdita di migliaia di posti di lavoro.
Più in dettaglio, non si può che essere d’accordo con l’obiettivo della SEN di promuovere l’autoconsumo per i possessori di piccoli impianti, soluzione finora fortemente scoraggiata dalla burocrazia e persino impedita da alcune norme. Parallelamente sarà però necessario facilitare la diffusione di metodi di accumulo. Positiva anche la decisione di promuovere la costruzione di grandi impianti fotovoltaici. A questo proposito, non si capisce perché Enel sia così attiva nel costruire grandi impianti di energie rinnovabili all’estero e del tutto assente, in questo campo, in Italia. Forse perché disturberebbe altri importanti operatori del settore energetico?

Efficienza energetica. La SEN riconosce che è necessaria una riqualificazione energetica su larga scala del nostro patrimonio edilizio, agendo su palazzi, agglomerati di edifici e interi quartieri con metodologie simili a quelle adottate con successo in altri paesi ed intervenendo, contemporaneamente, sulle criticità sismiche. Perché il programma abbia successo, è però necessario un piano adeguato di incentivi per anticipare le risorse necessarie.
In ogni caso, il problema delle compensazioni per impianti non adeguatamente sfruttati deve insegnarci che le grandi opere nel settore energetico vanno valutate in base all’effettivo bisogno che ci sarà in futuro (vide infra).

Investimenti per il gas. La SEN prevede di investire sul gas per ottenere elettricità in sostituzione del carbone, come risorsa di back up delle fonti rinnovabili e per diversificare le fonti di approvvigionamento. A questo proposito bisogna anzitutto notare che il consumo di gas, che era di circa 85 Gm3 all’anno nel periodo 2005-2008, è diminuito negli ultimi anni (71 Gm3 nel 2016) e certamente continuerà a diminuire. C’è quindi il rischio di costruire infrastrutture che rimarranno inutilizzate o sotto utilizzate, come è accaduto per i rigassificatori, con spreco di denaro pubblico o con la necessità di successive compensazioni per il mancato uso. Poiché in futuro per vari motivi si produrrà e si userà sempre più energia elettrica, sarebbe meglio investire in sistemi di accumulo dell’elettricità piuttosto che in centrali a gas di back up o in impianti di stoccaggio geologico del gas di importazione.

Trasporti. La SEN propone di estendere l’uso del gas come combustibile. Questo è anche quanto sostiene Eni nelle numerose pagine pubblicitarie sulla stampa e nei frequenti spot TV: il metano come ponte verso l’uso (remoto) delle fonti rinnovabili. Bisogna notare, però, che l’utilizzo del metano abbatte solo in parte l’inquinamento atmosferico e non porta alcun vantaggio per quanto riguarda il cambiamento climatico. E’ vero, infatti, che a parità di energia prodotta la quantità di CO2 generata dal gas naturale è inferiore di almeno il 20% di quella generata quando si usano derivati del petrolio, ma è anche vero che il metano è un gas serra 72 volte più potente di CO2quando l’effetto è misurato su 20 anni e 25 volte più potente quando misurato su 100 anni. Poiché nella lunga filiera del metano si stima ci siano perdite di almeno il 3% rispetto alla quantità di gas usato, è chiaro che passando al metano non si combatte affatto il cambiamento climatico.



Conclusioni
Definire le linee di indirizzo per una valida Strategia Energetica Nazionale è un problema complesso, che deve essere affrontato congiuntamente da almeno cinque prospettive diverse: scientifica, economica, sociale, ambientale e culturale.
A nostro parere gli obiettivi principali delle Strategia Energetica Nazionale per un paese come l’Italia dovrebbero essere due, come già avemmo modo di segnalare al precedente governo:
  1. Ridurre il consumo di energia, obiettivo che deve essere perseguito mediante un aumento dell’efficienza energetica e, ancor più, educando alla cultura della parsimonia, principio di fondamentale importanza per vivere in un mondo che ha risorse limitate.
  2. Facilitare e accelerare la transizione dall’uso dei combustibili fossili a quello delle energie rinnovabili, anche nell’ottica di una più generale transizione dall’economia lineare all’economia circolare.

Perseguendo questi due obiettivi, si potrebbero raggiungere importanti risultati:
riduzione delle importazioni di combustibili fossili;
– maggiore indipendenza energetica;
– miglioramento nella bilancia dei pagamenti;
– riduzione (non espansione!) fino a totale cessazione dell’estrazione di combustibili fossili nel nostro suolo e nei nostri mari, evitando così la degradazione del paesaggio e il rischio di incidenti che potrebbero compromettere il turismo, che è un’enorme fonte di ricchezza certa per l’economia nazionale;
– superamento dei modesti obiettivi dichiarati dal nostro paese alla COP21, con un conseguente maggiore abbattimento non solo di gas serra, ma anche delle sostanze inquinanti e quindi dei costi sociali ed economici da esse provocati; ricordiamo che secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente in Italia avvengono più di 90 mila morti premature ogni anno (in termini di anni di vita persi, circa 16 anni ogni 1000 abitanti).
– creazione di nuovi posti di lavoro particolarmente nel settore manifatturiero.

Gruppo di scienziati di Bologna energiaperlitalia.it
Vincenzo Balzani (coordinatore), Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università; Nicola Armaroli, Istituto ISOF-CNR; Alberto Bellini, Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi”, Università; Giacomo Bergamini, Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università; Enrico Bonatti, ISMAR-CNR; Alessandra Bonoli, Dipartimento di Ingegneria Civile, Chimica, dell’Ambiente e dei Materiali, Università; Carlo Cacciamani, Servizio IdroMeteoClima, ARPAE; Romano Camassi, INGV; Sergio Castellari, Divisione servizi climatici, CMCC e INGV; DanielaCavalcoli, Dipartimento di Fisica ed Astronomia, Università; Marco Cervino, ISAC-CNR; Maria Cristina Facchini, ISAC-CNR; Sandro Fuzzi, ISAC-CNR; Luigi Guerra, Dipartimento di Scienze dell’Educazione «Giovanni Maria Bertin», Università; Giulio Marchesini Reggiani, Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Università; Vittorio Marletto, Servizio IdroMeteoClima, ARPAE; Enrico Sangiorgi, Dipartimento di Ingegneria dell’Energia Elettrica e dell’Informazione “Guglielmo Marconi”, Università; Leonardo Setti, Dipartimento di Chimica Industriale, Università; Micol Todesco, INGV; Margherita Venturi, Dipartimento di Chimica “G. Ciamician”, Università; Stefano Zamagni, Scuola di Economia, Management e Statistica, Università; Gabriele Zanini, UTVALAMB-ENEA

fonte: www.rinnovabili.it