Zero plastica e zero sprechi: si moltiplicano i negozi che rinunciano agli imballaggi plastici per gli alimenti (e non solo)


















Mentre il mondo sembra finalmente accorgersi del fatto che un impiego planetario dissennato della plastica sta uccidendo il mare, e mentre in Italia da mesi si vive una situazione paradossale e tragicomica relativa all’utilizzo dei sacchetti biodegradabili, in diversi paesi si segnalano esperienze incentrate su un unico obbiettivo: quello dell’annullamento dell’uso di plastiche non biodegradabili in ambito alimentare. Ne illustra alcune Civil Eats, premettendo che solo nel 2014 gli Stati Uniti hanno prodotto 33,3 milioni di tonnellate di plastica, con un incremento di circa 2 milioni di tonnellate rispetto al 2010, e che circa l’80% dei rifiuti marini sono costituiti da plastiche, il 70% delle quali è non riciclabile.
A questi numeri inquietanti, la città di Denver (Colorado) risponde con The Zero Market, una catena di negozi con merci confezionate solo con materiali biodegradabili o riciclabili, e New York con The Fillery, che offe solo alimenti sfusi. In Gran Bretagna invece sono ormai diffusi i negozi biologici di Earth.Food.Love, che vantano un bilancio zero quanto a imballaggi e sprechi, mentre in Olanda ci sono gli Ekoplaza, totalmente privi di plastiche. Online si trovano già portali di vendita come The Package Free Shop, che propone soluzioni e imballi del tutto riciclabili e privi di plastiche non solo per alimenti, mentre alcuni blog come Litterless facilitano la comunicazione tra consumatori e danno visibilità ai tentativi esistenti in diversi paesi, offrendo anche guide agli shop plastic-free di varie città tra le quali Londra, Nashville e Oakland. Queste e altre iniziative sono supportate da A Plastic Planet, fondazione nata appunto per promuovere l’addio alla plastica alimentare in tutto il mondo.








Ma uno dei casi forse più interessanti è quello di Nada Grocery di Vancouver, in Canada, che ha eliminato quasi tutti gli imballaggi adottando una politica definita BYOC, ossia Bring Your Own Container (porta con te il tuo contenitore), che quindi chiede ai clienti uno sforzo in più: quello appunto di portare da casa i contenitori e gli imballi nei quali mettere gli alimenti comprati, pensando che si tratta solo di modificare le proprie abitudini. Uscendo di casa ciascuno deve quindi prendere con sé barattoli, bottiglie, tupperware e sacchetti per alimenti, esattamente come fa con la borsa o il cellulare, e come sta imparando a fare con le sacche di tela per la spesa. I negozi di Nada offrono anche contenitori da acquistare, per chi ha una necessità non prevista o ha dimenticato di portare il proprio imballo, ma si tratta sempre di materiali riciclabili e biodegradabili, per i quali, oltretutto, è previsto un rimborso qualora i clienti li riportino al negozio dopo averli usati.
Per quanto riguarda frutta e verdura, farine, legumi e granaglie, oppure polveri quali lo zucchero e il sale non ci sono problemi specifici, mentre per l’acquisto di carne, pesce, e di alcuni alimenti liquidi o semiliquidi (si pensi, per esempio, alle minestre o alle salse) è evidente che la cosa è più complessa. Ma secondo i fondatori di Nada è risolvibile con, appunto, confezioni vendute apposta, imballaggi sottovuoto fatti al momento e contenitori portati da casa.








C’è chi critica questa modalità di vendita giudicandola poco sicura per le possibili contaminazioni alimentari, e chi sottolinea il fatto che molti di questi negozi hanno chiuso in breve tempo (come In.gredient di Austin, Texas, focalizzato sui prodotti per la prima infanzia) non riuscendo a restare sul mercato. C’è anche chi ricorda però che non avere imballaggi significa non avere pubblicità e costi relativi agli stessi, e quindi i prezzi al consumatore dovrebbero presto diventare inferiori rispetto a quelli dei cibi confezionati, se già non lo sono, e chi mette in luce un altro effetto collaterale, questa volta positivo: la diminuzione dello spreco, perché chi deve comprare dosando fa più attenzione a non acquistare alimenti inutili o deperibili in eccesso, come invece accade spesso con quelli già porzionati e confezionati.
Si tratta in definitiva di modificare abitudini che nessun abitante del pianeta si può più permettere come quella di usare diversi imballi di plastica ogni giorno, ma che in fondo possono essere presto cambiate senza grandi sforzi: un barattolo alla volta.
Fonte Immagini: The Zero Market, Nada Grocery, Ekoplaza
fonte: www.ilfattoalimentare.it