Addio ai ghiacci

Già nel 2005 la riduzione dei ghiacci nella zona artica del pianeta aveva cominciato a raggiungere dimensioni impressionanti di milioni di chilometri quadrati, oggi, con gli aumenti record delle temperature medie registrate, la situazione è diventata naturalmente sempre più grave. Tra le conseguenze ancora non del tutto accertate scientificamente ma certo più che probabili, c’è la possibilità che lo scioglimento dei ghiacci possa liberare virus antichi, rimasti in ibernazione per molti secoli e capaci di sopportare l’alternanza di caldo e freddi estremi.



Nel mese di settembre l’estate, in Italia e nell’Artico, non era certamente ancora finita, ma già si moltiplicavano le previsioni relative a un 2020 tra gli anni più caldi degli ultimi decenni, anche se forse non sarà stato il più caldo di sempre. Vediamo quindi, con lo sguardo necessariamente retrospettivo delle nostre rilevazioni d’insieme, le informazioni disponibili nel settembre scorso sulla crisi climatica.

Nel Circolo Polare Artico gli incendi di questa estate hanno battuto il record raggiunto nell’anno passato, producendo nuvole di fumo che hanno coperto una superfice equivalente ad un terzo del territorio del Canada.

La maggior parte degli incendi si è verificata nella Repubblica Russa del Sakha, Siberia orientale, dove hanno percorso milioni di acri di terra e causato un picco di anidride carbonica, stimata in 208 megatonnellate nel 2019 e in 395 nel 2020. Inoltre una massa di ghiaccio di 113 chilometri quadrati si è staccata dalla piattaforma 79N, situata nel nord ovest della Groenlandia.

Riportiamo inoltre i dati ripresi da un testo di grande interesse per la comprensione dello stato e delle prospettive delle aree più ghiacciate al Polo Nord e al Polo Sud (Peter Wadhams, “Addio ai ghiacci”, due edizioni in italiano, che è stata allegata alla rivista Le Scienze del settembre 2020) del quale consigliamo vivamente la lettura, in quanto completo nelle analisi e quasi profetico nelle previsioni.

Secondo questa fonte, attualmente il ghiaccio marino dell’Artico (cioè gli strati di ghiaccio che si formano non sulla terraferma ma sul mare) raggiunge la sua massima estensione e spessore a febbraio, e quella minima a settembre.

Già nel 2005 si registrava una grande riduzione dei ghiacci e quello marino si staccava dalle coste della Siberia e dell’Alaska agevolando l’attraversamento del mitico Passaggio a Nord Ovest. In termini quantitativi il ghiaccio si riduceva a 5,3 milioni di chilometri quadrati rispetto ad una media stagionale di circa 8 milioni di chilometri quadrati.

Nel 2007 si è registrata una ulteriore riduzione a 4,1 milioni di kmq. E nel 2012 si è pervenuti a 3,4 milioni sempre di chilometri quadrati. In previsione, è probabile che avremo nei prossimi anni durante l’estate solo delle sacche di ghiaccio per meno di un milione di chilometri quadrati complessivi.

Sempre secondo questo autore, la situazione dell’Antartide è un po’ diversa, l’accumulazione di ghiaccio marino durante l’inverno su coste sempre battute dalle onde e dai venti è molto maggiore, e le diminuzione dello spessore procede più lentamente, mentre dalla banchisa si staccano invece iceberg di grandi dimensioni (uno era grande come la Liguria e la frattura che ha causato il distacco era lunga 160 chilometri).

Infine, da una fonte giornalistica, ogni tanto si ricorda la possibilità che lo scioglimento dei ghiacci potrebbe liberare virus antichi, rimasti in ibernazione per molti secoli e che quando emergono potrebbero liberare antichi virus capaci di sopportare l’alternanza di caldo e freddi estremi.

L’ipotesi che siano ancora attivi e quindi particolarmente pericolosi per gli esseri umani attuali sembra sia ancora da dimostrare sul piano scientifico. Infine, può essere utile ricordare i livelli massimi e minimi raggiunti dalle temperature gli ultimi giorni di agosto: il termometro ha raggiunto a Herat, in Afghanistan i 55,2 gradi centigradi, mentre allo stesso 25 agosto a Dome A, in Antartide si registravano meno 69 gradi centigradi.

Tra i meccanismi globali di danno è da ricordare un dato fornito dall’Agenzia Europea per l’Ambiente: il 13% dei decessi in Europa è dovuto alle diverse forme di inquinamento.

In Cina la situazione è decisamente più grave perché il solo inquinamento dell’aria causa tra 1,2 e 1,5 milioni di morti ogni anno. I dati si riferiscono la concentrazione registrata tra il 2000 e il 2016 delle polveri sottili Pm 2,5, e quindi in complesso circa trenta milioni di morti premature tra gli adulti.

I dati disponibili riguardano le emissioni globali di gas serra. Tra il 1990 e il 2015 sono state emesse 722 gigatonnellate di gas serra, per circa la metà dovute ai consumi del 10% più ricco della popolazione mondiale (630 milioni di persone ( in Usa, Ue, Cina e India) che hanno un reddito netto di almeno 38mila dollari all’anno.

L’1% della popolazione con un reddito di almeno 109mila dollari, è responsabile del 15% delle emissioni. La classe media, 2,5 miliardi di persone, è responsabile del 40% delle emissioni, mentre la metà più povera causa solo il 7% delle emissioni.


Eventi estremi

Naturalmente, questi cambiamenti climatici hanno causato un numero impressionane e crescente di eventi meteorologici estremi.

Cicloni. Durante il passaggio dell’uragano Laura, si sono contati 29 morti, di cui 20 in Louisiana, 8 in Texas e 1 in Florida. Lo stesso evento aveva già causato la morte di 35 persone nei Caraibi, in particolare ad Haiti e nella Repubblica Dominicana. I venti hanno raggiunto i 240 chilometri orari e quindi si è trattato dell’uragano più forte degli ultimi 150 anni. L’uragano Sally, con venti fino a 155 chilometri orari, ha raggiunto Alabama e Florida, causando alluvioni e interruzioni di corrente elettrica.

Il tifone Haishen, in Corea del Sud, con venti fino 180 chilometri orari, ha causato alluvioni e la cancellazione di centinaia di voli.

In precedenza , aveva causato due morti in un’isola a sud-ovest del Giappone. Il ciclone Ianos, nel Mediterraneo con 120 chilometri all’ora ha colpito la Grecia nella Tessaglia e ha causato tre morti , mentre almeno 5000 case sono state danneggiate.

Incendi. Dall’inizio dell’anno, in California, gli incendi hanno distrutto più di 8000 chilometri quadrati di vegetazione, una superficie uguale a quello dello Stato del Delaware, è il dato più alto dal 1987. Gli incendi senza precedenti che dall’inizio dell’estate si sono propagati in California, Oregon e Stato di Washington hanno distrutto più di due milioni di ettari di vegetazione e hanno causato 35 morti.

In Argentina, secondo alcune associazioni ambientaliste locali, gli incendi hanno distrutto più di 350mila ettari di zone umide nel delta del fiume Paranà e 48mila ettari di foreste nella provincia di Cordoba. Per il 95% sarebbero di origine dolosa. Secondo il programma europeo Copernico, gli incendi di quest’anno in Siberia hanno prodotto emissioni record di anidride carbonica, e precisamente 244mila tonnellate , contro le 181mila del 2019.

Un incendio in Andalusia, Spagna, ha distrutto circa 10mila ettari di vegetazione e costretto 3200 persone ad abbandonare le loro case.

Alluvioni. A seguito di estese alluvioni, in Niger sono morte 35 persone dall’inizio di giugno e 300 mila sono state costrette a lasciare le loro abitazioni. In Pakistan sono state almeno 38 le persone morte a causa delle forti piogge, mentre in Burkina Faso i morti per la stessa causa sono stati 13.

In Sudan sono morte 99 persone e le case danneggiate oltre 100mila, e il Nilo ha fatto registrare il più alto livello raggiunto dalle sue acque da quando sono iniziate le rilevazioni. Molta pioggia è inoltre caduta su 5 delle 10 regioni dell’Etiopia, con almeno 200mila persone rimaste senza casa. Infine in Senegal le vittime delle piogge sono state 5.

Fulmini. In Uganda sono stati colpiti a morte 9 bambini.

Carenze idriche. Acqua generalmente sfruttata in modo insostenibile, con le acque fossili in netta riduzione in Africa.

Invasione di meduse. Anche se in realtà sono gli esseri umani ad invadere il loro habitat. A livello mondiale, sono circa diecimila le specie di meduse conosciute e vivono da oltre 500 milioni di anni sul pianeta, in quanto sono i primi animali pluricellulari ad essersi affermati nei mari.

Possono superare i due metri di diametro e pesare più di 200 chili. Quali sono le cause principali dell’invasione di mari diversi? La pesca intensiva di cetacei, tartarughe e tonni e il riscaldamento generale delle acque dei mari.


Aree colpite da disastri.

Dal mese di luglio l’Arcipelago delle Mauritius ha affrontato un grave disastro ambientale. A metà del mese una nave cargo, la MV Wakashio si è prima incagliata e poi spezzata in due parti a Grand Salle, una delle isole, e da essa sono fuoriuscite almeno 1000 tonnellate di petrolio.

Il 31 agosto, un vecchio rimorchiatore, uscito per trainare una chiatta che doveva raccogliere il petrolio, è affondato causando la morte di tre uomini dell’equipaggio.

Può sembrare che nel mondo vi siano meno incidenti che coinvolgono petroliere, ma in realtà il petrolio che fuoriesce è in quantità molto maggiori perché le navi hanno ormai dimensioni sempre più grandi.

Con le maggiori dimensioni, i percorsi più a rischio sono quelli attraverso gli stretti di Hormuz, Malacca, Bosforo, Suez, Bab Al Mandeb e quelli vicino alla Danimarca.

Il campo di accoglienza per immigrati di Moria, sull’isola di Lesbo, che ne accoglieva quantità molto maggiori della sua capienza e li manteneva in condizioni miserevoli, è bruciato nel mese di agosto. Alcuni paesi europei sono intervenuti per ricollocare almeno in parte gli immigrati, però hanno accettato solo 400 bambini, ben poca cosa rispetto alle 13.000 persone che affollavano il campo.

In Kenya, le grandi aziende petrolchimiche che producono la plastica stanno cercando di far modificare le norme in vigore nel paese, ma in realtà sono interessate anche ad altri paesi africani.

Queste imprese hanno investito 200 miliardi di dollari nelle attività produttive. Inoltre nel 2019 hanno spedito quasi 700mila tonnellate di rifiuti di plastica in 96 paesi, dove solo una parte sarà riciclata secondo modalità corretta, mentre il resto sarà disperso nell’ambiente.

I flussi di rifiuti verso l’Africa sono quadruplicati dopo che la Cina nel 2018 ha bloccato queste importazioni. E’ tuttavia importante notare che in Africa 34 paesi su 57 hanno vietato l’uso dei sacchetti di plastica.

Kobalt Belt, la grande area dove si estrae il cobalto, un minerale prezioso per costruire le batterie di auto e telefonini, la richiesta mondiale ammonta 200mila tonnellate.

A 2000 chilometri dalla capitale del Congo, nella regione del Katanga, oltre ai minatori ufficiali che lo estraggono, lavorano oltre 40.000 tra bambini e adulti che scavano a mani nude o con strumenti rudimentali le pietre incrostate del prezioso minerale, che sarà poi purificato nell’impianto di una multinazionale inglese, la Glencore.

Per reperire e raccogliere dieci chili di pietre servono due giornate di lavoro pagate da 3 a 5 dollari ciascuna, mentre i prezzi internazionali del minerale aumentano ogni giorno.


Politiche dannose per l’ambiente

In Egitto, sono molto discussi i progetti di due autostrade che sembra debbano attraversare la zona turistica delle Piramidi

E’ in corso la costruzione della Trans Adriatic Pipeline, il gasdotto che costerà all’Italia 4,5 miliardi di euro e attraverserà la Puglia, per far arrivare il gas dal Mar Caspio e dall’Azerbaigian.

Il reddito garantito, volto ad eliminare il lavoro nero In Italia, ha fatto emergere 200mila cameriere e badanti, ma un numero molto ridotto di braccianti agricoli.

L’Alleanza per lo Sviluppo Sostenibile chiede che siano cancellati i 19 miliardi di sussidi alle imprese che con le loro attività produttive e commerciali continuano a causare rilevanti danni all’ambiente.

Un articolo riporta che almeno il 43% delle spiagge italiane è colpito da forme di erosione e sottolinea che la possibilità di procedere ad un arretramento degli stabilimenti balneare e degli altri locali impiantati sulle spiagge è stata finora completamente ignorata, mentre le cifre pagate dai concessionari per l’uso del demanio pubblico continuano ad essere ridicolmente basse.

L’Eni e il governo annunciano su molti giornali la creazione vicino Ravenna del più grande centro di cattura e stoccaggio dell’anidride carbonica già presente nell’atmosfera, che verrà quindi bloccata ad almeno tremila metri di profondità, negli spazi lasciati liberi dal petrolio e dai gas estratti in precedenza.

Le fonti non precisano le quantità da prelevare e immagazzinare e i costi complessi di tutta l’operazione. E’ bene ricordare che queste soluzioni tecnologiche a uno dei più gravi problemi ambientali sono state pochissimo sperimentate e potrebbero risultare eccessivamente costose.

Ma l’aspetto più preoccupante è quello del rapporto tra le emissioni che continuano ad aumentare e le quantità di CO2 che in quantità crescenti si accumulano nell’atmosfera.

In altre parole, la priorità assoluta dovrebbe essere data a una rapida riduzione delle emissioni di gas serra, fino a farle sparire entro pochissimi anni (e su questo versante ancora si agisce in misura praticamente irrilevante): vi è cioè il rischio che le soluzioni tecnologiche distraggano dagli obiettivi reali da perseguire subito.

Mancano inoltre indicazioni precise sulle reali possibilità di trasformare l’anidride carbonica in sostanze utili e sui costi relativi. Infine un dato che dovrebbe essere approfondito e confermato. Su un giornale, che faceva riferimento alla “lentocrazia” c’era un dato preoccupante: i decreti finora emanati contenenti misure anticovid sembra siano stati attuati solo nella misura del 28%! C’è solo da sperare che si tratti della immaginazione troppo fervida di un giornalista poco scientifico…

Alberto Castagnola

fonte: comune-info.net


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